La stanza delle mele di Matteo Righetto

In ogni casa rurale delle nostre valli alpine c'era una stanza o un luogo, spesso un solaio o un angolo del fienile dove venivano riposte e conservate le mele. Ed è proprio attorno a una vecchia casa, e alla sua stanza delle mele, che Matteo Righetto porta il lettore
Pubblichiamo la recensione di Andrea Formagnana, pubblicata nella rubrica libri di Montagne360 del mese di agosto 2022 In ogni casa rurale delle nostre valli alpine c'era una stanza o un luogo, spesso un solaio o un angolo del fienile dove venivano riposte e conservate le mele, per lo più selvatiche, affinché maturassero e potessero essere consumate durante i lunghi mesi invernali. Ed è proprio attorno a una vecchia casa, un maso sulle pendici meridionali del Col di Lana, e alla sua stanza delle mele, che Matteo Righetto porta il lettore.
La copertina del libro © Matteo Righetto
Sembra di sentirlo il profumo delle mele selvatiche. Con questo romanzo, ambientato dal secondo dopoguerra ai nostri giorni, l’autore torna sulle sue montagne, quelle del Fodóm, di Livinallongo, lui che per diversi mesi all'anno vive ormai a Colle Santa Lucia, semplicemente Col in ladino, la lingua retoromana che qui la popolazione locale cerca fieramente di tenere in vita. Il Col di Lana non è solo uno sfondo congeniale. La montagna, a suo modo, è protagonista. Conosciuta per le sanguinose battaglie che si consumarono durante la prima guerra mondiale, oggi è una meta escursionistica. I più vi arrivano dal passo di Valparola. Pochi dal versante di Livinallongo. Il sentiero passa dalla frazione di Palla, ed è proprio tra les vilas di questa frazione e quelle di Daghè, che prende avvio la storia di Giacomo. Sullo sfondo ci sono le montagne del mito, quelle che custodiscono le storie del popolo di Fanes, alleato con le marmotte, sconfitto dall’hybris di un proprio re che all’umile roditore preferisce la nobile aquila. Quanto avrebbero da insegnarci, se solo sapessimo ascoltarle, ancora oggi quelle leggende… A Giacomo è la nonna a raccontargliele. La mamma non l'ha più e nemmeno il papà. È un’infanzia dura quella che deve affrontare. Il romanzo di Matteo Righetto, in alcune pagine dai toni noir, ci regala uno spaccato di quella montagna dell’abbandono che nel corso del ‘900 ha interessato ampi tratti dell’arco alpino. Di Daghè potrebbero essercene 10, 100, 1000. E anche Giacomo chiude dietro di sé la porta del vecchio maso dove era cresciuto. C’è anche il sacro in questo romanzo. È nella montagna, nella natura. È incarnato nella vecchia emarginata che vive all’alpe e che Righetto le fa dire «non preghiere per me davanti a una croce, ma piuttosto sussurra il mio nome al vento delle Dolomiti».

Info libro

Feltrinelli 18 euro 240 p.