La scienza partecipata per favorire la conservazione della biodiversità

Sulla citizen science e sul suo apporto per la preservazione del capitale naturale dei territori montani abbiamo dialogato con Paolo Crosa Lenz, scrittore e alpinista, componente del Tavolo dedicato al capitale naturale del 101esimo congresso del Club alpino italiano
Paolo Crosa Lenz © Paolo Crosa Lenz


Basterebbe l’origine Walser di Paolo Crosa Lenz, scrittore e alpinista ossolano, a fornire la prima traccia di una biografia e di una sensibilità ben radicata nelle sue opere e nei suoi interventi focalizzati sui territori montani. La responsabilità per il buono stato di salute della montagna appartiene ai cittadini e alle persone che quei luoghi li vivono e li frequentano, ci dice Crosa Lenz. Un importante strumento per aumentare la consapevolezza del proprio ruolo e delle proprie possibilità, è la citizen science, basata sulla raccolta e sull’analisi di dati relativi al mondo naturale da parte di un pubblico che prende parte a un progetto di collaborazione con scienziati professionisti. 

Su questo aspetto e sulle sue implicazioni per la preservazione del capitale naturale dei territori montani abbiamo dialogato con Crosa Lenz in un’intervista che potete leggere qui sotto. Buona lettura.  


Partiamo dalle basi, una definizione di citizen science?
«L’idea è di chiara matrice anglosassone, in italiano potrebbe essere “scienza partecipata”, Ricordo una grande canzone di Giorgio Gaber: “la libertà non è star sopra un albero, la libertà e partecipazione”! Il concetto di Citizen Science, cioè “la raccolta e l’analisi di dati relativi al mondo naturale da parte di un pubblico, che prende parte a un progetto di collaborazione con scienziati professionisti” (dizionario Oxford English) è riconosciuto a livello accademico internazionale e oggi è uno strumento ampiamente utilizzato dalla comunità scientifica per raccogliere dati. I cittadini diventano parte integrante del processo scientifico finalizzato alla conservazione della biodiversità. Il Cai può diventare un attore strategico nell’ambito dei progetti di citizen science ed essere un interlocutore per la raccolta di segnalazioni, soprattutto in ambiente montano e nelle aree protette».

Si tratta di uno dei temi del Tavolo 1,”Il Cai per il capitale naturale”, in che modo verrà affrontato?
«La recente revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione consolida il principio che la tutela della natura è fondamentale per tutti nell’interesse delle generazioni future. Il principio della tutela dell’ambiente diventa “valore costituzionale”, e conseguentemente “principio fondamentale” per tutti gli Italiani e per la pubblica amministrazione. Direi che è proprio questo il principio fondamentale che ci guiderà nei lavori».

Le montagne poi sono un luogo di osservazione privilegiato
«Le Alpi, a differenza delle grandi pianure europee, ricche di campi, industrie e città, possiedono una terza dimensione: quella della verticalità. Non solo lunghezza e larghezza, anche altezza. In montagna tutto è più difficile: coltivare, costruire, spostarsi. Le montagne possono franare. Quando le montagne “vengono giù”, le città si allagano. Proprio la verticalità dell’ambiente fa sì che i cambiamenti climatici in atto a livello globale si manifestino sulle Alpi in modo più evidente ed accentuato. Le Alpi sono un termometro sensibile di fenomeni di più vasta portata. Come gli eventi naturali, così le situazioni economiche. Le crisi che si originano nelle città, si manifestano in modo più crudele ed esplosivo in montagna. Si dice da noi: “Quando il diavolo picchia e prende la mira”. Credo che oggi le montagne d’Italia chiedono di essere non più considerate un problema, ma una risorsa. Le Alpi possono diventare il cuore di una nuova “economia verde” in Europa»

 La citizen science però, ha bisogno di essere validata e interpretata dal mondo scientifico
«È indispensabile costruire la consapevolezza diffusa che i cambiamenti climatici in atto riguardano non solo noi, ma chi viene dopo di noi. Noi siamo responsabili di quanto i territori montani stanno cambiando. I fondamenti di questa consapevolezza sono la conoscenza e la partecipazione attiva alla ricerca, cercando risposte nelle fonti scientifiche»

In che modo?
«La forza delle associazioni civili, in primo luogo il Cai per quanto riguarda i territori montani, consiste nella costruzione di reti di relazioni che collegano l’impegno individuale con gli enti di ricerca (C ARPA, Università, ecc) e le istituzioni di tutela (parchi nazionali, regionali, riserve naturali). I soci, coordinati da sezioni e OTTO, possono svolgere un ruolo attivo di monitoraggio e documentazione su aspetti verificabili da un’assidua frequentazione dei territori montani: la deglacializzazione, l’innalzamento degli orizzonti vegetazionali, il monitoraggio dell’avifauna e delle popolazioni di ungulati, l’andamento delle risorse idriche…».

Il Cai ha di fronte una sfida epocale
«Noi siamo la “terza generazione” delle donne e degli uomini del Club alpino italiano, chiamata ad affrontare sfide di dimensioni nuove. La “prima generazione” è stata quella dell’Ottocento, quando il Sodalizio di Quintino Sella fu chiamato a costruire l’identità nazionale. Era un Cai elitario, espressione di una borghesia illuminata e della nuova classe dirigente dell’Italia liberale e post risorgimentale. La “seconda generazione”, dopo gli anni bui del Fascismo, fu quella del secondo dopoguerra del Novecento. Fu il CAI del “quarto stato” e quei dirigenti seppero trasformare il sodalizio in organizzazione di massa che oggi conta oltre 300.000 soci (nel 1870 erano 288). La “terza generazione” è quella degli anni Duemila quando il Cai è chiamato a sfide nuove e inedite: la costruzione di una nuova cultura dei territori montani, il confronto con una società digitalizzata e globalizzata, l’ancoraggio all’alpinismo ma anche la nuova dimensione sociale dell’escursionismo (azione, contemplazione, conoscenza), il coinvolgimento dei giovani, la necessità di una tutela assoluta della natura e della biodiversità».