Il Rocciamelone in veste invernale © Wikimedia CommonsIl primo settembre 1358 viene salito il Rocciamelone: un’impresa del pre-alpinismo. Il cognome del protagonista non è Rotario d’Asti come spesso si legge, ma Roero; di nome fa Bonifacio. Per adempiere un voto che presumibilmente riguarda la minaccia dello “straniero” sulla città di Asti e la storica liberazione dall’ombra dei Visconti, Bonifacio attraversa le Alpi e raggiunge la città di Bruges, dove commissiona a una bottega di incisori un altarolo portatile di ottone con al centro la Vergine coronata e il Bambino in braccio che le accarezza il mento, a sinistra san Giorgio a cavallo nell’atto di uccidere il drago, a destra lo stesso Bonifacio inginocchiato in preghiera. Intende portare l’incisione in punta al Rocciamelone perché ne ha ammirato la vela bianca durante i viaggi attraverso il Moncenisio e la ritiene la montagna più alta delle Alpi.
I primi tentativi
Il Roc maol, che vuol dire semplicemente “sommità”, separa la Valle di Susa dalla Maurienne con una cresta che raggiunge i 3538 metri. Oggi è una cima molto frequentata dagli escursionisti e dai pellegrini, soprattutto sul versante di Susa. L’itinerario della via normale sale il ghiaioso pendio meridionale, a picco sulla città e la sua valle, con lunghi traversi e dolci pendenze. Le rocce che precedono la vetta sono innocue e sicure, anche se l’altezza si fa sentire e si respira l’aria sottile dell’alta montagna. Al tempo di Bonifacio, uomo di pianura, era una storia completamente diversa. Da Susa alla cima erano tremila metri secchi di dislivello e non esistevano punti di appoggio intermedi. I sentieri finivano con le terre dissodate e bisognava avventurarsi sui ghiaioni senza tracce umane e segni di passaggio. Roero compie due tentativi nella tarda estate del 1358, quando il versante s’è liberato dalla neve e i nudi detriti di pietra promettono maggiori probabilità di successo. Il primo tentativo si arresta a 2800 metri, dove un provvidenziale slargo nella roccia invita al riposo prima del balzo finale. Lì Bonifacio pone una base per la devozione e il ristoro, senza immaginare che quel balcone affacciato sulle Alpi Cozie e il Delfinato diventerà sede del primo rifugio delle Alpi: la Ca’ d’Asti.
La chiesa in vetta al Rocciamelone © Wikimedia CommonsLa salita
“Torneremo” promette ai suoi. “Adesso conosciamo il cammino e la fatica sarà più lieve”.
Ritornano il primo giorno di settembre, quando il cielo ha spurgato i vapori dell’estate. Le ombre lunghe accompagnano i viaggiatori sui monotoni diagonali che precedono la cresta, dove bisogna disegnare dei cammini obliqui per guadagnare quota conservando gambe e fiato. Il sudore cola dalle spalle dei portatori che recano le pesanti tavole del Trittico fiammingo, forse sorretti da qualche corda di fortuna. L’impresa si conclude felicemente sulle rocce di vetta dove viene scavata una piccola grotta, la prima cappella del Rocciamelone, e nella grotta si solleva una pietra a guisa di altare, e sull’altare si appoggia la Madonna con il Bambino, al riparo.
Il Trittico rimarrà sulla cima più di trecento anni, meta delle processioni estive dei pellegrini. Alcuni duchi di Savoia si sobbarcano le nove ore di cammino dalle mura romane di Susa alla grotta del Rocciamelone per pregare la Madonna delle Nevi, finché nel 1673 un contadino di Novaretto, per risparmiare la salita a Carlo Emanuele II, fa la cosa più semplice e sacrilega che si potesse concepire: sale sulla cima, si carica la Madonna sulle spalle e la porta nel Castello di Rivoli, alla portata di sudditi e re. Oggi il Trittico è custodito nel Museo diocesano d’Arte sacra di Susa, mentre Bonifacio è sepolto in qualche posto senza gloria.