“Un prato può essere un pascolo, un pascolo non può essere un prato”. No, non siamo ammattiti, è un’affermazione che ha un senso logico, basta capire di cosa stiamo parlando.
“Prato” (o anche prateria) e “pascolo” sono due parole che, nel linguaggio comune, vengono utilizzate spesso indistintamente per definire uno spazio montano erboso.
In montagna la vegetazione si dispone secondo dei piani altitudinali, cioè delle fasce di quota in cui ogni specie di albero trova le condizioni ideali per crescere. Solitamente in basso troviamo le latifoglie, cioè gli alberi a “foglie piatte” (castagni, faggi, betulle, aceri, ecc.). Salendo di quota troviamo le conifere, ossia gli alberi con le “foglie ad ago” (abeti bianchi e rossi, pini silvestri, neri e cembri, larici, ecc.).
Oltre una certa quota, gli alberi non riescono a sopravvivere a causa delle rigide temperature invernali e del rovente sole estivo: è questa la zona dei prati o delle praterie. Qui riescono a crescere solo erbe di varie specie e, solitamente, le variopinte fioriture nella bella stagione sono davvero indimenticabili.
Più in alto ancora, nemmeno le erbe più spartane riescono ad attecchire, ed è questo il regno delle rocce e, ove presenti, dei ghiacciai.
Praterie d'alta quota in Val Martello (Alto Adige) @Denis Perilli
Queste sono le condizioni naturali, ma sappiamo che noi esseri umani, da secoli se non millenni, mettiamo mano un po’ ovunque, piantando specie diverse o tagliando alberi.
Ed ecco che da qui nascono i pascoli, ossia quegli spazi aperti e modificati dall’intervento dell’uomo, dove le mucche, le pecore e le capre possono pascolare. Di solito vi si trova pure una bella malga, dove si possono degustare ottimi formaggi prodotti con il latte degli animali che in quell’area vivono, almeno nella stagione estiva. Solitamente nei pascoli si trova una vegetazione particolare, adatta ai terreni notevolmente arricchiti di azoto e fosforo derivanti dagli escrementi di tali animali. Quando ci riferiamo a questi ambienti, noi usiamo il termine generico “erbe”, cosa che sicuramente fa impallidire gli amici botanici, ma questi apparentemente semplici luoghi, in realtà, ospitano numerose specie che, nel tempo, sono riuscite ad adattarsi anche agli interventi umani, attraverso la ricerca di un delicato equilibrio ecologico.
Il pascolo di Casera Vedorcia, in Cadore (Veneto) @Denis Perilli
Ecco quindi la differenza: i veri prati si trovano in alta quota, dove gli alberi non riescono a crescere; i pascoli, invece, li incontriamo più in basso, sono tali grazie all’intervento umano e, se abbandonati, cosa che accade sempre più spesso, lasciano terreno al bosco che, pian piano, si riprende i suoi spazi.
In certi casi, un prato d’alta quota può divenire un pascolo, anzi lo diventa abbastanza spesso, visto che gli animali vengono condotti lassù in cerca di erba fresca. Sovente si sente parlare di alpeggio, ed è proprio questa la secolare pratica che prevede l’ascesa degli animali a inizio estate e la discesa prima dell’arrivo della stagione fredda. Non stiamo parlando di una mera e faticosa attività economica, ma di uno stile di vita che coinvolge le popolazioni di intere vallate, anche con rituali e feste che portano idealmente indietro nel tempo, quando non era ancora diffuso il turismo, fonte di reddito relativamente recente.
Praterie appenniniche nei pressi del Lago Scaffaiolo @Simona Bursi