La Cima: amicizie e avventure di Andrea Sarchi

In una serata al Rockspot di Mecenate, l'alpinista che nel 1985 ha salito il Cerro Torre in invernale con Salvaterra, Giarolli e Caruso ha fatto rivivere alla platea anni di spedizioni dal grande fascino. Ora si prepara al giro del mondo in barca a vela
Un momento della serata di martedì © G. Sassi

La Cima è il titolo dell'autobiografia di Andrea Sarchi (Bolis Edizioni); sulla copertina troneggia la sagoma del Cerro Torre e non poteva essere altrimenti, visto che durante la sua vita alpinistica Sarchi ha incrociato più volte le coordinate della montagna simbolo della Patagonia. Il libro è stato presentato martedì sera (26 febbraio) al Rockspot di Mecenate. "Sono stato il primo a fine anni '80 ad avere una palestra fitness qui a Milano e la mia visione era proprio quella di un posto come questo, un luogo per portare la montagna in città. Sono davvero contento che a distanza di tanti anni quell'idea sia diventata qualcosa di concreto. Venendo al libro, durante il Covid ho iniziato a riprendere in mano la scrittura, ci sono voluti tre-quattro anni per arrivare a destinazione. Ha smosso molto dentro di me, è stato un modo anche per proseguire il rapporto con mio padre, dopo che è venuto a mancare". Sarchi parte dall'idea irriverente che "i libri d'alpinismo sono noiosissimi, almeno, quelli che ho letto io. Più che di quello che si è fatto, trovo interessante parlare degli insuccessi, degli amici e delle cose che non vogliamo fare vedere, senza cercare per forza di mostrare la nostra faccia buona"

La serata è proseguita con una bellissima proiezione di immagini della carriera alpinistica - e non solo- di Andrea. In tutti i capitoli il lato umano emerge con forza e la presentazione infatti inizia con un tributo a Ermanno Salvaterra "sicuramente il più grande alpinista patagonico, un amico che mi manca moltissimo". Per prime scorrono le immagini del film Infinito sud, dei 24 giorni in parete trascorsi nel 1995 da L'uomo del Torre con Roberto Manni e Piergiorgio Vidi, per tentare una nuova via. Il freddo estremo, i bivacchi passati nell'Hotel freezer; così viene infatti ribattezzato il prefabbricato in lamiera issato in parete per la prima parte della salita. Neve, gelo, sofferenza e una cima per una volta non calpestata. 


"Il Torre è un incubo, ma uno di quelli grandi...il pericolo è quello di rimanere incantati". Dopo il video di Salvaterra, sono le parole di Cesare Maestri a risuonare in sala, durante la festa organizzata a Pinzolo per festeggiare Sarchi, Salvaterra, Giarolli e Caruso (assente in quell'occasione). E non poteva che essere così, perché i quattro erano tornati dalla Patagonia da meno di un mese, dove sul Grido di Pietra avevano salito per primi la via del compressore in invernale. "Avevamo due telecamere che ci aveva fornito Canale 5, perché eravamo al servizio di Amborgio Fogar e del suo Jonathan. Giravamo tutto da noi ovviamente. Al tempo non c'erano previsioni meteo e poi a El Chalten non c'era niente, per andare al Torre dovevi guadare il fiume e se non stavi attendo ti portava via".

Sarchi, terzo da sinistra, con i compagni di spedizione © archivio Ermanno Salvaterra


 

Durante l'invernale al Cerro Torre del 1985 © archivio Ermanno Salvaterra

La serata prosegue con un altro capitolo importante: lo sci, spesso abbinato all'alpinismo. Meglio se con gli amici di sempre, come per il Trittico di San Valentino: Adamello-Busazza-Presanella, una grande cavalcata, conclusa con un semplice "Non sto in piedi, per oggi basta. E anche per domani mi sa". Quella volta, operatore d'eccezione per l'impresa, niente meno che Fulvio Mariani. Di tutti i video a colpire - oltre che la bellezza delle immagini- è l'atmosfera di semplicità: un naturale votarsi alla montagna privo di sovrastrutture ideologiche, senza traccia di quel culto della personalità oggi tanto diffuso. Umiltà, ironia, voglia di vivere, più che di mostrare la vita vissuta.

Nel racconto della serata arriva anche il turno del Latok (7145 metri) "l'ultima stronz***a", come la definisce Sarchi.  Anche quella volta, nel 2001, Andrea era con Ermanno Salvaterra, oltre a Cege Ravaschietto, Marco Majori e Bruno Mottini. "Si tratta di una montagna mitica, perché gli americani che ci sono saliti per primi hanno attaccato la via senza mettere su campo base né niente. Uno di loro era pure malato, ma hanno continuato fino quasi alla cima. Pensate che per tornare giù hanno fatto più di 50 doppie. Noi eravamo andati con due che erano campioni di scialpinismo e quando abbiamo finito ci hanno detto: noi con l'Ermanno basta eh?! Perché non stava mai fermo. Li svegliava alle 3 del mattino. Ermanno aveva un orologio con il barometro. Ci picchiava sempre su per vedere se cambiava qualcosa. Non appena cambiava di un grado per lui era segno di tempo buono, non stava mai nella pelle per partire". 


La chiusura è sul mare, perché Andrea lo vede come la continuazione della montagna. Nel 2027 partirà per il giro del mondo senza scalo in solitaria, doppiando il Capo di Buona Speranza, Capo Leeuwin e Capo Horn (lo stesso itinerario della Vendée Globe). "Ho fatto e continuo a fare la vita che volevo e che sognavo, più con difficoltà interiori che esteriori, perché devo dire che dal punto di vista materiale ho avuto la fortuna di avere aiuto. Ma è stato impegnativo trovare la mia strada e perseguirla". L'ironia non manca mai. "È un progetto per la terza età, perché se devo arrivare a 99 anni come mio padre e ne ho 55, cosa faccio da qui in avanti...".