Kandersteg: giorni di ghiaccio con il CAI Eagle Team

Sulle cascate svizzere tra timori, scoperte e nuove consapevolezze.
Erica Bonalda © Cai

Kandersteg: è trascorso quasi un anno dalla prima volta che ho sentito nominare questo paesino. Circa un anno fa infatti sono venuta a sapere della possibilità di candidarsi per il CAI Eagle Team, un progetto ideato dal Club Alpino Italiano e da Matteo Della Bordella che si proponeva di selezionare un gruppo di giovani alpinisti con l’obiettivo di affrontare, a seguito di un percorso di sei settimane di formazione, una spedizione in Patagonia a gennaio 2025.  Leggendo il programma del progetto il mio sguardo è stato incuriosito dal nome di questo luogo, in quanto l’unico che non avevo mai sentito nominare. Le immagini che compaiono digitando “Kandersteg” nella barra di ricerca di Google non sono affatto rassicuranti, anzi. Rappresentano cascate di ghiaccio immense, molto verticali, che si sviluppano su una parete di roccia scura, alta circa 300 metri, la Breitwangflue. Pur non essendo avvezza a questo tipo di scalata, mi rendo subito conto che queste cascate non hanno nulla da invidiare a quelle che si vedono sulle foto del Canada. Sono affascinanti, ma anche spaventosamente alte. Subito ho provato a non pensarci e dal momento in cui ho scoperto di essere stata selezionata mi sono concentrata principalmente sull’attività alpinistica che preferisco, ovvero la scalata su roccia, lasciando in un angolino della mente il fatto che a gennaio 2024 sarei venuta in questo posto.

Battesimo di ghiaccio
Kandersteg è un piccolo villaggio della Svizzera tedesca, in mezzo alle imponenti montagne del gruppo dell’Oberland Bernese. Vive grazie al turismo invernale: all’interno del paese si trovano una pista da fondo, diverse funivie che ti portano in quota, e poco distante, uno splendido laghetto ghiacciato dove pattinare; ma soprattutto una vasta scelta di cascate di ghiaccio da scalare. Le più comode raggiungibili a piedi dal paese in meno di 30 minuti. Così, a fine novembre dello scorso anno, con le foto di quelle cascate gigantesche ben stampate in testa, decido di prendere in mano piccozze e ramponi e cimentarmi in questo, per me quasi totalmente nuovo, modo di scalare. Dopo una prima uscita in Dolomiti sul ghiaccio “di casa” in cui arrampico totalmente da seconda di cordata, mi rendo conto di voler provare ad andare da prima. Decido di partire dalla cose semplici, su consiglio di amici, che mi spiegano l’importanza di “acquisire sensibilità” con il terreno del ghiaccio e “imparare a conoscerlo”. Contro ogni aspettativa, mentre all’inizio vedevo questa attività un po’ in secondo piano rispetto all’arrampicata su roccia, scopro di divertirmi molto in questo tipo di scalata. L’entusiasmo nasce dalla possibilità di poter andare a scalare in montagna anche in inverno. Fino ad ora infatti durante la stagione invernale mi ero limitata a frequentare le falesie o al massimo le vie della (per me vicina) valle del Sarca ad Arco di Trento. Fino a quel momento per me inverno significava sci alpinismo e pochissima scalata. Invece ecco che le salite su ghiaccio, in particolare in goulotte, mi appassionano fin da subito. Permettono di ripetere vie in ambiente, anche con le basse temperature, e il tutto è reso ancora più affascinante dal bianco della neve che addolcisce le forme. Senza dimenticare l’azzurro intenso del cielo invernale e la particolarità delle conformazioni che si creano quando l’acqua si trasforma in ghiaccio.

La scoperta dell’effimero
Senza che me ne renda conto arriva l’ora di partire per la Svizzera. Non posso dire di sentirmi pronta, ma posso dire di essermi preparata. Tuttavia, quando la data è sufficientemente vicina e le previsioni meteo pressoché attendibili, i bollettini annunciano temperature ben oltre gli zero gradi. Non ci vuole un esperto scalatore su ghiaccio per capire che non è un buon segno.
Arrivati a Kandersteg, infatti, anche Matteo e i tutor confermano quanto non avremmo voluto sentire, ma in realtà già ci aspettavamo: le condizioni non sono sicuramente ottimali per affrontare le cascate di ghiaccio. Il primo giorno una cordata ripete comunque la famosa cascata Crack Baby alla Breitwangflue, altri invece ritornano indietro date le condizioni pessime. Io partecipo alla giornata organizzata da Matteo e la guida alpina Nicola Tondini all’Ice park di Sunnbuel, durante la quale ci esercitiamo sulla tecnica di scalata su ghiaccio. Per me si rivela una giornata molto formativa, sia dal punto di vista teorico che pratico. Nicola ci regala infatti un sacco di trucchetti per acquisire sensibilità nell’utilizzo di piccozze e ramponi e per affinare il gesto tecnico della scalata su ghiaccio. Fin da subito le nostre aspettative riguardo alle condizioni del ghiaccio non si smentiscono: partita per il primo tiro della giornata, ad appena un paio di metri da terra, Kandersteg mi da il benvenuto con un sordo suono di assestamento del ghiaccio che mi induce a tornare indietro; questo si rivela essere in ogni caso un’occasione di discussione con i tutor riguardo all’importanza della valutazione delle condizioni.

Il giorno successivo con Daniele, anche lui alpinista dell’Eagle Team, optiamo per una via che due compagni hanno provato il primo giorno, a loro detta in condizioni non ottimali per la presenza di neve inconsistente. Si tratta di una via di misto, tipologia di scalata a me poco familiare. Mentre prepariamo gli zaini un’altra cordata decide di aggregarsi a noi. Sono contenta, ma allo stesso tempo sento di essere preoccupata. Anche se dove c’è la roccia mi sento più a mio agio, comunque non sono sicura di sentirmi pronta.  La notte riposo bene, ma già durante l’avvicinamento provo un po’ di timore, alimentato dalla visione della parete e del grande diedro lungo cui corre la nostra via. Ci troviamo sotto l’Ussere Fisistock Verschneidung: dal vivo sembra verticale e molto alto, ma davvero affascinante. Partono davanti Carlo, Luca e Marco; io e Daniele li seguiamo. Una volta iniziato a scalare procediamo bene, anche grazie al lavoro dei nostri compagni che il giorno precedente hanno in parte ripulito le fessure dalla neve inconsistente. Il timore che provavo durante l’avvicinamento a piedi lascia il posto alla concentrazione sulla scalata. La roccia, a differenza del ghiaccio, mi offre una sensazione positiva, mi sento su un terreno a me familiare. Non mancano però momenti in cui prevale la mia indole da scalatrice su roccia: a tratti appendo le piccozze all’imbrago e decido di scalare con le mani. Nonostante non raggiungiamo la cima, sia a causa delle condizioni non ottimali della via, sia per il fatto che non procediamo velocissimi, a fine giornata mi ritengo comunque molto soddisfatta. È stata una bella giornata impegnativa fisicamente e mentalmente, ma appagante. È stata la prima avventura con un nuovo compagno di cordata con cui spero di condividere altre esperienze in futuro.

Sogni di ghiaccio
I giorni seguenti, dato il mancato abbassamento delle temperature, ne approfittiamo per passare del tempo insieme, fare una giornata di dry tooling (arrampicata su roccia con piccozze e ramponi) avendo l’occasione di scalare con Angelika Rainer, e fare un giro con gli sci da alpinismo. L’ultimo giorno, senza più speranza di toccare il ghiaccio svizzero, decidiamo con Camilla e Alessandra di provare comunque ad andare a vedere come sono le condizioni alla Breiwangflue. L’idea è quella di percorrere Starway to the Stars, linea di misto che sale a destra della nota Crack Baby. La via attacca in uno stretto canale, inizia con alcuni tiri in diedro/camino e subito dopo altri in cascata. Le aspettative non sono delle migliori. Il piano è andare e valutare, ed eventualmente salire solo i primi tiri che dovrebbero essere scalabili anche in caso di poco ghiaccio formato. Il nostro piano sembra piacere anche a Riccardo e al tutor Francesco Ratti, che decidono quindi di unirsi a noi. 

Partiamo per le quattro e mezzo dalla casa e in circa due ore siamo all’attacco. Con mio disappunto vediamo che due scalatori francesi ci hanno preceduto e stanno attaccando il primo tiro con le frontali. Probabilmente non siamo state le uniche persone a pensare che questa via sarebbe stata una delle poche percorribili in questi giorni. Decidiamo di dividercela in tre, in modo che ognuno di noi salga almeno due tiri da primo. Contro ogni aspettativa la via si rivela essere in ottime condizioni: il ghiaccio abbondante e ben formato ci permette di scalare utilizzando quasi esclusivamente le viti da ghiaccio per la progressione. Ci portiamo quindi a spasso la doppia serie di friends, chiodi e martello indicati sulla relazione; in ogni caso nessuno di noi osa lamentarsi: “Tutto allenamento!” ci diciamo entusiaste per aver finalmente trovato del ghiaccio piacevole da scalare. Si rivela una giornata stupenda. Sul ghiaccio mi sento bene e sono felicissima di scalare in cordata con due compagne così motivate. Percepisco in loro tanta energia e passione, sono momenti di grande condivisione. Non mi è capitato tante volte di legarmi in cordata con due ragazze con così tanta voglia di sperimentarsi e mettersi in gioco.  

Imparare insieme

Concludiamo la settimana con l’intervento di Matteo su “come si organizza una spedizione alpinistica”. Intervento molto interessante, ma soprattutto in grado di diffondere molta energia. Tra noi ragazzi si percepisce la curiosità e molti di noi iniziano a sognare ad occhi aperti. Penso non sia stata una settimana facile, almeno per molti di noi. Personalmente ci sono stati momenti in cui sono stata felice di essere presente perché è stata un’opportunità di passare del tempo insieme e conoscerci meglio, imparare molto sulla tecnica di arrampicata su ghiaccio e dry tooling; allo stesso tempo a volte mi sono sentita obbligata a restare in un posto dove normalmente non mi sarei mai sognata di venire con queste condizioni. D’altro canto questo è il prezzo da pagare per partecipare ad un’attività di gruppo che richiede prenotazioni e una grande organizzazione. Nel mio piccolo ho cercato di vederla come una prima breve esperienza di “spedizione”. Anche durante una spedizione alpinistica non si può scegliere in ogni momento di tornare a casa, imprevisti e momenti di attesa sono da mettere in conto e fanno parte del gioco.