K2, un sogno lungo 70 anni, da Mario Fantin ad Anna Torretta

Orgogliosa e onorata di esserci andata: la guida alpina di Courmayeur racconta il suo K2, non così diverso da quello che il cineasta bolognese raccontò nel suo diario "K2 - Sogno vissuto", appena ripubblicato da CAI Edizioni
Anna Torretta deposita la targa dedicata a Mario Puchoz al Memorial Gilkey © Riccardo Selvatico

Se anziché nel 1954, Mario Fantin fosse andato in spedizione oggi al K2, non avrebbe probabilmente esitato a servirsi di un drone. La curiosità per la documentazione cinematografica lo aveva preso fin da giovane, lo aveva accompagnato in guerra, era diventata una ragione di vita e lo aveva reso famoso. Le foto che ha scattato allora, portandosi come un alpinista provetto dal campo base ai campi alti (riuscì ad arrivare sotto al quinto, poi Ardito Desio lo volle giù per lasciare spazio a chi stava lavorando per raggiungere la vetta), arrivano a noi con una potenza intatta. Ammirandole nel diario K2 – Sogno vissuto, appena ripubblicato da CAI Edizioni, Anna Torretta si stupisce di quanto siano ancora attuali: “Sono foto bellissime, a chi vuole andare oggi al K2 consiglio di dare un’occhiata a questo libro, scritto con uno stile molto moderno, perché il mondo laggiù è ancora così. Magari non ci sono più i buoi con l’aratro, ma nemmeno le auto elettriche”. Guida alpina di Courmayeur, Torretta è stata una delle 8 alpiniste che hanno partecipato alla spedizione K2-70 organizzata dal CAI con Agostino Da Polenza, in occasione dei 70 anni dalla prima salita, il 31 luglio 1954, frutto degli sforzi della spedizione diretta da Ardito Desio.

Tante comunque le differenze. Alcune piccole: “Confrontandola con quella fotografata da Fantin, la targa di Puchoz è stata ribattuta in maniera diversa, Cresta Abruzzi è scritto maiuscolo”. Altre divertenti: Mi ritrovo in tante situazioni: c’è un passaggio in cui dice che a svegliarli erano gli hunza battendo sulla tenda, da noi invece era Agostino Da Polenza sparando musica classica a tutto volume”. 

 

Parla di K2 come si descrive un sogno, Anna Torretta, proprio come fu per Fantin. Ritorna con la mente a quei giorni freddi e duri, di cui serba un ricordo indelebile: “Il K2 è una delle più belle montagne della terra, una piramide perfetta che non ha nulla a che vedere con gli altri Ottomila, e finché non ci sono stata sotto non ci avrei creduto. È stato un onore per me essere lì e aver provato ad arrivare in cima. Sono orgogliosa e soddisfatta. Abbiamo dato tutto quello che avevamo, ci siamo allenate tanto. Mi resta l’amicizia con tutti i compagni di spedizione, nei vari ruoli”.

Di sicuro è stata un’occasione per riflettere sul suo alpinismo: “Mi è sembrato di tornare a prima di avere figli, quando giravo il mondo con le spedizioni. Per la prima volta dopo tanto tempo ho recuperato obiettivi che avevo accantonato, e mi sono concentrata su una montagna sola”. La difficoltà nel comunicare a casa l’ha aiutata a tenere a bada la nostalgia per la sua famiglia, un marito e due bambine. Ma anche non doversi occupare delle faccende domestiche ha alleggerito la distanza: “Niente bucato e niente da cucinare per quasi due mesi, non male! Chi ha figli può capire bene che staccare ogni tanto fa bene”. Essere guida alpina non la esime infatti dal dover gestire la stessa quotidianità cha affrontano tante altre donne lavoratrici. 

 

Se per il cineasta bolognese tuttavia il K2 restò nel cuore come una bellissima donna con cui ebbe il privilegio di passare del tempo, per lei è stato piuttosto “un vecchio arrabbiato”, dice scherzando.Io non personifico le montagne, alcune sono diventate amiche, man mano che ci conoscevamo ed entravamo in confidenza, ma col K2 ci sarebbe voluto di più, non è una montagna amichevole”. E ha pure una pessima fama: “la montagna più pericolosa” per citare il recente libro di Ed Viesturs. Dati alla mano, uno su quattro muore nel tentativo di scalarlo, meglio di 15 anni fa, grazie alle corde fisse da campo base avanzato alla vetta, che consentono di scendere in doppia, riducendo di molto il pericolo di scivolare. Morì Mario Puchoz, il 21 giugno 1954, che come Anna era guida alpina a Courmayeur, per il cosiddetto “mal di montagna”: ma allora la medicina non poteva chiamarlo così, gli studi sugli effetti dell’alta quota sul corpo umano non c’erano ancora. Sembrava una bronchite, era invece un edema polmonare. Fantin documenta quell’evento ferale con una delicatezza unica, con una sensibilità che appartiene solo alle anime artistiche. Anna Torretta è andata quest’estate al Memorial Gilkey, omaggiando il lontano collega a 70 anni dalla sua morte. 

Siamo state sfortunate col tempo, ma siamo tornati tutti quanti, al di là di qualche momento difficile che non è mancato. Resto curiosa di sapere come reagirebbe il mio corpo a ottomila metri, fin da quando avevo provato il Cho Oyu”, 8201 metri nella catena himalayana al confine tra Cina e Nepal. Era il 2010, le condizioni meteo erano proibitive, pochi giorni dopo morì Walter Nones, nel tentativo di aprire una via nuova. Al K2 quest’estate Anna si è fermata al campo 3, non riuscendo a partecipare al tentativo di vetta che ha visto protagoniste Silvia Loreggian e Federica Mingolla.

 

Resterà sempre un sogno: la montagna perfetta suscita in chi ha la fortuna di vederla da vicino emozioni fortissime. “Ti lascia un segno indelebile, non ci sono altre montagne fatte così. Il Cho Oyu è un grande Monte Bianco, per la maggior parte del tempo si cammina”. Anna sa che potrebbe non esserci un’altra occasione: “È lo stesso effetto che ho provato al Cerro Torre: lo avevo visto tante volte in cartolina, ma dal vivo è pazzesco, anche se le dimensioni non sono confrontabili con quelle del K2. Non riesci a immaginartelo nello spazio finché non sei lì”.

Non è facile nemmeno raccontarlo: per questo Fantin decise di farlo in diretta, per conservare intatto “il vivo racconto della spedizione”, consapevole che la memoria poi aggiusta, ingrandisce, ridimensiona con il passare del tempo. Anche Torretta ha tenuto un diario, da capire ancora cosa farne diventare.

Di certo intende approfondire il tema climatico: “Il K2 è cambiato poco rispetto a quando ci è andata la spedizione del ‘54, a maggio avranno sicuramente trovato più neve, ma il Ghiacciaio del Baltoro si è ritirato poco in questi anni. Invece a mio avviso è cambiata molto la temperatura in alta quota: prevedo grossi cambiamenti nei prossimi anni, si passa senza filtro dal bello al brutto, quando fa bello c’è un caldo tremendo, anche a 8000 metri. Ci sono foto di Liv Sansoz sotto al Collo di Bottiglia (8200 metri di puro rischio, sotto al grande seracco che porta alla vetta, passando dallo Sperone Abruzzi, a sud-est, NdR) col tutone legato in vita e il dolcevita, non indossa neanche il pile. Col sole coperto invece si gelava. Quando è sceso Majori infortunato c’erano torrenti d’acqua che scendevano dal campo 1… nel giro di un paio di giorni la montagna si era trasformata. Ne parlerò con qualche climatologo”.

La copertina del libro, pubblicato da CAI Edizioni. Disponibile in tutte le librerie e su CAI Store.