Silvio "Gnaro" Mondinelli è stato il sesto uomo sulla terra a salire tutti i 14 Ottomila, il secondo italiano a farlo senza ossigeno. Ma il 66enne di Gardone Val Trompia non è certo un uomo che è stato guidato nel suo alpinismo dalla caccia al record. «Non mi piace nemmeno la parola. Ma gli Ottomila sono stati un po' come le caramelle: inizi a mangiarne una e se ce ne sono altre...è difficile dire di no. Oggi però mi piace andare in giro per divertirmi: sulle montagne dietro casa come dall'altra parte del mondo».
Come hai iniziato con l'alpinismo?
Ho iniziato nella Guardia di finanza, io non sapevo niente di alpinismo, manco cosa fosse. Avevo 18 anni, eravamo tutti ragazzini, ad Alagna abbiamo fatto il corso. Non facevamo grandi difficoltà, però strappavamo via i chiodi dalle vie, prendevamo sicurezza così, andando con poche protezioni. A ogni modo, dopo appena un mese sono andato a fare la Costantini-Apollonio alla Tofana (VII, VI obbligatorio, A1, ndr) e lì per uscire mi sono dovuto attaccare con le unghie e con i denti a tutto quello che trovavo. Poi mi pare sono andato a fare anche la Vinatzer sulla Marmolada. Il soprannome l'ho preso al corso perché non mi ricordavo come si chiamavano le persone. Chiamavo tutti “gnaro”, che da noi vuol dire bambino, e alla fine sono diventato Gnaro.
Anche tanta roccia nei primi anni per Gnaro © S. Mondinelli
Ti piaceva la roccia o già guardavi all'alta quota?
Di roccia ne ho fatta, ma comunque andavo su e giù, facevo tanto dislivello fin dagli inizi, abbiamo iniziato a fare vie. Ho conosciuto Graziano Bianchi che aveva fatto il Cervino, con lui siamo andati in Perù (1984, Puscanturpa Norte, Cordillera di Huayhuash, ndr). Poi ho conosciuto Fausto De Stefani e Sergio Martini, siamo andati per salire gli Ottomila. Dovevamo fare la nord all'Everest, ma poi c'è stata la strage di Tienanmen e non ci hanno dato i permessi. Siamo andati a fare il Dhaulagiri ma non ho raggiunto la cima. Gli altri mi hanno visto, mi hanno detto di tornare indietro, che come prima esperienza non era il caso di spingersi troppo in là, di rischiare inutilmente. Erano persone semplici, del fare, non del dire. Non eravamo il team spirit d'equipe, non ci facevamo una gran pubblicità.
Cosa ricordi del tuo primo Ottomila completo?
Sono andato per salire la Messner al Manaslu e magari l'ho fatta per sbaglio o per fortuna, non so. Ne ho fatto qualcun altro, ma non avevo in testa di salirli tutti e poi non avevo nemmeno i soldi. Ma poi ho trovato un amico, il dottore Antonio Prestini. Con lui ero stato alla Piramide del K2 e aveva visto i miei valori. Diceva che avevo il fisico giusto, che andavo bene per quell'alpinismo. E così, grazie anche a quattro soldi che mi hanno dato i primi sponsor, sono riuscito a fare quattro Ottomila in cinque mesi (Everest, Gasherbrum I, Gasherbrum II e Dhaulagiri I, ndr). Ho avuto l'occasione, ho provato, mi è andata bene. Mi è sempre andata bene, purtroppo però nei 14 Ottomila ho perso anche tanti amici.
Qual è stato l'Ottomila che ricordi con più affetto?
Ogni Ottomila ha avuto le sue particolarità. Il K2 sicuramente è una montagna particolare, anche il Kanchenjunga. Ho avuto spedizioni difficili, ho conosciuto però anche tante belle persone ed è la cosa più importante, ho tante porte aperte in giro per il mondo. Le persone “cattive” invece me le sono dimenticate.
E la salita più difficile?
L'Annapurna è stato difficile, ma anche sul K2 mi ricordo che eravamo da soli e abbiamo dovuto attrezzare il Collo di Bottiglia. Un conto è passare con la via già attrezzata, un conto è salire come abbiamo fatto noi.
Sul K2 © S. Mondinelli
L'alpinismo d'alta quota è cambiato tanto. Anche per le spedizioni commerciali?
Molto. Una volta le agenzie ti preparavano: andavi a fare un Seimila, un Ottomila facile e piano piano alzavi l'asticella. Ora basta pagare e ti mandano su dove vuoi, decide il cliente. Ma in montagna c'è gente poco preparata. Al Mera Peak, questa primavera, ho visto persone che non sapevano come si mettono gli scarponi da alpinismo, mancano proprio le basi. Poi ossigeno o non ossigeno è un altro discorso: puoi andare su con o senza, comunque è fatica. Ma il numero di gente che sale è impressionante: quest'anno in cima all'Everest ci sono andate 600 persone ed erano tutte con l'ossigeno, a parte due. E poi ci sono vie attrezzate, vie da attrezzare: un Ottomila può essere salito in tanti modi, ma pare che ormai conti solo farli, a prescindere dal come e questo non riguarda solo le spedizioni commerciali. A Brescia si dice che conta più la lingua che la zappa e purtroppo è vero.
Anche il rapporto tra alpinisti e soccorso è cambiato parecchio.
Una volta per una gamba rotta restavi in giro anche due giorni, ora arriva subito l'elicottero. Fanno delle cose incredibili, volano anche di notte, ma bisognerebbe ricordarsi che anche i soccorritori hanno una vita, una famiglia. In montagna la cosa più importante non è la cima, è tornare a casa sani e amici.
Manca forse una sana vergogna della propria impreparazione?
Nel soccorso ho speso energie ma l'ho fatto sempre volentieri. Anche io sono rimasto sotto una valanga e qualcuno è venuto, è qualcosa di importante. Però non puoi chiamare il soccorso perché sei stanco. Ma comunque c'è moltissima gente in più che va in montagna e ci sono più interventi. Comunque le montagne sono lì anche solo per guardarle, non solo per scalarle.
Sull'Annapurna, un Ottomila molto impegnativo © S. Mondinelli
Le montagne sanno insegnare molto. Secondo te cosa si trova in particolare nell'alta quota?
Sopra una certa quota vedi come si comportano le persone per davvero. Non è come il Monte Rosa, con tutto rispetto, che se vuoi torni giù in giornata. Su un Ottomila puoi rimanerci anche un mese e lì capisci davvero di che pasta è fatta una persona. Io manderei tutti i manager a formarsi lassù, ma non per una settimana, per un mese!
Hai ancora voglia di Ottomila?
No, basta, sarei patetico. Due anni fa sono andato al Manaslu e a 8200 sono tornato giù. Ora voglio solo andare in giro per il mondo e divertirmi. Faccio la guida su cose facili, ho in mente viaggi in Georgia, Pakistan. Ma anche le montagne dietro casa. E comunque qua a casa ho da tagliare il prato, non ci si annoia mai!