In montagna tra limiti da riconoscere e responsabilità da assumere

Chi vive e frequenta le aree montane deve essere cosciente dei cambiamenti che la crisi climatica e le cattive abitudini stanno causando ai territori. Ne abbiamo parlato con Stefano Morcelli, coordinatore del GdL Giovani e del Tavolo 2 per il 101esimo Congresso del Club alpino italiano
Stefano Morcelli a Punta Vioz (Gruppo Ortles Cevedale) © Cai

Iniziare a collocarci in un ordine mentale differente dalla consuetudine, non limitandosi al racconto di ciò che è stato fatto sino ad oggi, non ritenendo immutabili abitudini e comportamenti che si basano su concetti anche moralmente elevati, ma non in sintonia con i tempi odierni e con le sensibilità  delle nuove generazioni. 

Questi concetti, applicati alla frequentazione dei territori montani, saranno tra i temi al centro del 101esimo Congresso nazionale del Club alpino italiano “La montagna nell'era del cambiamento climatico”, in programma a Roma sabato 25 e domenica 26 novembre. Se, a causa dell'aumento delle temperature, sta cambiando la montagna, deve cambiare anche il comportamento di chi la montagna la frequenta.    
Di tutto questo abbiamo parlato con Stefano Morcelli, valtellinese di 31 anni, che coordina, insieme a Brigitta Faverio, il Gruppo Giovani del Club alpino italiano. Nell'ambito del Congresso, Morcelli è coordinatore Cai, insieme a Gian Carlo Nardi, del Tavolo 2, intitolato “Il Cai, la frequentazione responsabile della Montagna, i nuovi comportamenti consapevoli”, nel quale si discuterà proprio di questi argomenti.

Stefano Morcelli sul Sasso Remenno (Valmasino) © Cai

Quali sono i comportamenti e le consuetudini che, in montagna, non sono più in sintonia con la necessità di attenzione all'ambiente dei tempi attuali?
«I nostri comportamenti hanno un impatto sui territori montani, di questo dobbiamo essere assolutamente consapevoli. Il limite che ci dobbiamo porre deve dunque essere legato sicuramente alle nostre attività in montagna, ma anche a come ci comportiamo nella nostra vita quotidiana, quando non frequentiamo i territori montani. Per quanto riguarda l'andare in montagna, sicuramente è necessario prendere quanto più possibile i mezzi pubblici per raggiungere il punto di partenza dell'escursione. Quando questo non è possibile, dobbiamo cercare di condividere le auto private. Questo vale sia quando parliamo di iniziative delle Sezioni Cai che di singoli frequentatori. Nell'organizzazione delle escursioni è poi consigliabile limitare il numero di partecipanti nel caso in cui si vada in un territorio fragile, per ridurre l'impatto antropico. Portare decine, se non centinaia, di persone in luoghi rinomati ogni fine settimana, contribuisce a creare una calca di persone non sostenibile per questi luoghi. Una declinazione la possiamo dare anche ad altre attività diverse dall'escursionismo: le salite scialpinistiche in certi casi possono entrare in territori dove vivono determinate specie di animali, magari durante il letargo, che sarebbero disturbate da un alto numero di persone. In queste zone sarebbe dunque opportuno andare in certi periodi dell'anno in un numero ristretto di persone, oppure evitarli completamente come segnalato dalle autorità locali».

Sulla frequentazione dei rifugi, invece, cosa si può dire? 
«Qui dobbiamo parlare della crisi relativa alla disponibilità di risorse, a partire dall'acqua e dall'energia. L'utilizzo dell'acqua che facciamo in montagna può essere molto dispendioso in alcuni momenti e in alcuni contesti, in particolare nei rifugi, molti dei quali ne soffrono la carenza, in particolare quelli situati alle quote più alte e quelli ubicati in posizioni dove la morfologia concede poco approvvigionamento. I nostri comportamenti e le nostre consuetudini devono tenere conto di come l'acqua nei rifugi non sia sempre scontata, certa e garantita come quella che esce dal rubinetto di casa. Dobbiamo accettare questo fatto e limitarne l'utilizzo dunque, penso in particolare ai servizi igienici, per i quali può esserci come soluzione la tecnologia a secco. Anche i rifugisti, e non solo i frequentatori, dovrebbero fare attenzione nella messa a disposizione delle risorse acqua ed elettricità, ad esempio per ricaricare le e-bike dove la corrente è prodotta con generatori a combustibili. C'è poi un ultimo punto, sicuramente divisivo, ma che personalmente mi sta molto a cuore».

Il Rifugio Migliorero © Daniela Scerri

Quale?
«Il consumo della carne. Sappiamo che gli allevamenti intensivi hanno un impatto grave nella produzione di emissioni inquinanti, quindi un ragionamento sulla nostra dieta alimentare è importante a livello del singolo, ma, a mio parere, è importante anche nell'ottica del rifugio di proprietà del Cai. In una struttura dove cinque mesi all'anno viene servita carne a pranzo e a cena migliaia di volte crea, moltiplicato per i nostri 370 rifugi, un grosso impatto ambientale. È chiaro che un rifugio dove si cucina la selvaggina cacciata legalmente non va ad alimentare la produzione intensiva e le conseguenti emissioni, ma quelli che servono insaccati come antipasto, poi magari cotolette e spezzatini vari, al contrario, un impatto lo creano, e un ragionamento andrebbe fatto per lanciare un messaggio di maggiore attenzione sociale».

Quali sono i principali limiti alla nostra libertà di frequentare i territori montani in questo momento storico?
«Come accennato sopra, i principali limiti sono legati sia alla tipologia dei territori che frequentiamo, con la tutela della flora, della fauna, anche nei termini di coesistenza con le altre specie e dell'ecosistema in generale, ma sono anche legati alla determinata attività che pratichiamo. Il parapendio, ma anche l'arrampicata su roccia o su ghiaccio, sono attività che possono svolgersi in luoghi con restrizioni per la tutela di determinati animali o piante. Quindi dobbiamo accettare il limite di non frequentare  determinati luoghi in certi periodi, perché, ad esempio, c'è la nidificazione degli uccelli. Stesso discorso vale per lo scialpinismo, di cui ho già parlato, ma anche la frequentazione dei sentieri con le biciclette, quest'ultima una pratica molto sostenuta anche dalle amministrazioni pubbliche negli ultimi anni per le opportunità legate al cicloturismo. In questo caso il limite è legato al sapersi dare delle regole, che riguardano sia i frequentatori che le amministrazioni: ad esempio evitando un utilizzo promiscuo dei sentieri più frequentati, impervi e stretti, dedicando la fruibilità alle due ruote solo dove il passaggio non è di ostacolo a chi passa in altro modo; inoltre in fase di progettazione si dovrebbe impedire l'allargamento di certi sentieri escursionistici, anche storici, per favorire il passaggio delle biciclette ».

Stefano Morcelli sul Monte Gjeravica © Cai

Sulla percezione della propria preparazione che cosa sta cambiando? 
«L'accettazione del limite dato dalla propria preparazione personale e dal proprio stato psicologico deve essere legato alla consapevolezza che la crisi climatica sta modificando la montagna, aumentandone, spesso, i pericoli e il rischio di incidenti. Abbiamo ancora tutti negli occhi quanto accaduto nel 2022 sulla Marmolada, ma penso anche al scioglimento del permafrost e a cosa ha comportato nel 2017 sul versante nord del Pizzo Cengalo, aspetto di cui bisogna tenere conto nella nostra predisposizione mentale ad affrontare le alte quote in certi periodi dell'anno, come sempre più frequentemente sta accadendo ad esempio, al Couloir Gouter per la via normale francese al Monte Bianco o lungo alcuni itinerari dolomitici, dove le frane stanno aumentando. Rispetto al passato, per frequentare le alte quote è ora necessario, in termini generali, svegliarsi ancora prima, sia in primavera che d'estate per via dell'aumento anticipato della temperatura nell'arco della giornata rispetto al passato».

Quali sono i valori prioritari della montagna da tenere a mente mentre la si frequenta? 
«Io penso che il valore prioritario possa essere la consapevolezza delle proprie abilità e delle proprie conoscenze, che la frequentazione della montagna insegna perché ti porta a viverla per passi. Poi il valore del limite, ovvero saper riconoscere tutte le criticità di cui ho parlato sopra. La maggior parte di chi frequenta i territori montani riesce a trovarci quel qualcosa in più che viene da dentro, grazie alla natura nella quale ci si immerge e alle difficoltà che vengono piano piano superate. Un altro valore secondo me importante è quello della cura; un aforisma che ho letto da ragazzo in qualche libro recitava: “quel che si ama non si possiede, lo si custodisce”. Avere cura di quello che amiamo e quindi custodiamo è il passo fondamentale per tutelare il territorio in cui viviamo e che frequentiamo. Dobbiamo poi essere consapevoli del fatto che i territori montani sono frequentabili in quanto vissuti e abitati. Una montagna allo stato selvaggio sarebbe infatti molto difficile da frequentare. I frequentatori devono quindi cercare di supportare chi vive in montagna, attraverso comportamenti vari: contribuire al sostegno economico dei residenti, ad esempio, facendo acquisti nei paesi e, magari, pernottandoci. Non una frequentazione mordi e fuggi, quindi, ma una frequentazione che lascia qualcosa al territorio e che magari si spalma nell'arco dell'intera settimana e dell'intero anno. Una frequentazione, dunque, che sia sostenibile sia dal punto di vista ambientale che da quello economico».

Sne_Escursione Castelmezzano
Escursionisti verso Castelmezzano (PZ) © Cai

Quali invece le minacce da contenere, nell'ottica di una montagna che sta cambiando?
«Non dobbiamo essere persone, tra virgolette, esuberanti, che bypassano gli step e credono che nella montagna possa esistere una filosofia no-limits, ma, al contrario, persone che si approcciano  un po' per volta, con gradualità e umiltà, alle difficoltà e alle sfide che ci poniamo in questo contesto grazie ad una natura che ci mette tutto questo a disposizione. Dobbiamo contrastare l'idea dell'apparenza, e della conquista della montagna per apprezzare maggiormente il valore introspettivo del raggiungimento di un obiettivo che ci si è posti attraverso forme più attente di rispetto per l'ambiente, al passo con le necessità  attuali».

Quale deve essere il ruolo del Cai in questo processo di responsabilizzazione?
«Senza bisogno di supponenza, penso che il Cai deve riuscire a darsi una caratteristica di autorevolezza, sia nei confronti dei soci, ma anche nei confronti delle amministrazioni locali, in modo che queste ultime, quando decidono di fare qualcosa che può avere un impatto sul territorio amministrato, di natura ambientale, turistica, economica o sociale, coinvolgano il nostro Sodalizio,  le Sezioni e i soci, per avere un'opinione qualificata. Il Cai deve poi saper diventare un comunicatore efficace: sia sulle conseguenze che può avere il nostro andare in montagna, purtroppo infatti molti frequentatori non si pongono questi problemi; sia sui pericoli della frequentazione della montagna, con l'obiettivo di ridurre gli incidenti. Pericoli che, come detto, la crisi climatica sta accrescendo. Il Cai deve poi essere trainante rispetto a certi aspetti di cui ho parlato sopra. Un esempio: se, grazie alle Sezioni Cai che raggiungono il punto di partenza delle escursioni con la mobilità pubblica, la domanda aumenta, le amministrazioni locali saranno maggiormente incentivate a migliorare il servizio di trasporto pubblico».
 

Per approfondire leggi l'articolo "Libertà, limite, responsabilità" sul sito del 101esimo Congresso del Cai.