Si dice sempre che la Storia (con la S maiuscola) sia fatta di tante storie (con la s minuscola): ne è un perfetto esempio il libro di Andrea Mattei In cammino per la libertà (pp. 224, 16 euro, Ediciclo 2024). Giornalista della “Gazzetta dello Sport” e scrittore, Mattei pesca dalla storia di famiglia lo spunto per indagare una vicenda poco nota della Seconda guerra mondiale: quella della fuga dei “prisoners of war”, prigionieri di guerra (pow), dal Campo 78 in località Fonte d’Amore, a Sulmona, isolato o protetto, in base al punto di vista, dalle montagne circostanti, fra cui spicca la Maiella. Siamo all’epoca in cui l’Italia era spaccata in due lungo la linea Gustav, che infatti passava lì vicino, contesa fra Partigiani e Alleati al centro-sud, contro gli invasori tedeschi e i Repubblichini di Salò più a nord. Il conflitto vi si svolse crudele e corre un brivido leggendo la ricostruzione che fa Mattei dell'eccidio di Pietransieri, nel novembre '43, dove furono brutalmente uccise 128 persone, di cui 43 bambini, 34 sotto i 10 anni. Angoli bui della storia che la memoria ha il dovere di illuminare.
Il libro è narrato alternando il racconto personale nei luoghi della memoria a quello delle storie di alcuni prigionieri in particolare, come John Esmond Fox, il sergente britannico della Settima Divisione Corazzata (i famigerati “Topi del Deserto”) e il romanziere afrikaans Uys Krige. La fuga avvenne alla vigilia dell’Armistizio dell’8 settembre 1943: è lo stesso anno di un'altra epica fuga da un campo di prigionia, quella di Felice Benuzzi e di altri due suoi compagni per scalare il Monte Kenya, a migliaia di chilometri da lì.
Per scappare, i tremila internati camminarono da Sulmona a Casoli, come avrebbe fatto anche Carlo Azeglio Ciampi nel ‘44: oggi quel “disperato pellegrinaggio della libertà” è diventato il “Sentiero della Libertà”, un trekking da circa 60 km suddiviso in tre tappe, su cui si snoda anche l'omonimo Cammino.
A riempire le pagine del libro di Mattei, però, sono i nomi e le storie dei tantissimi abruzzesi che aiutarono quelle fughe drammatiche condotte attraverso un territorio di struggente bellezza. Luoghi oggi erosi dallo spopolamento, lontani dalle aree turistiche più rinomate: Cantone, Pacentro, Castel di Sangro, Roccacasale, Monte Giove… Particolare fu però il movimento di Resistenza Umanitaria di cui diede prova quella gente semplice, pastori, contadini, poveri, spesso analfabeti, spiriti liberi che divennero eroi per caso, legando a doppia mandata il proprio destino e quello delle loro famiglie alla vita di perfetti sconosciuti, italiani ma più spesso stranieri, che accolsero per nasconderli dai tedeschi.
È la storia che non finisce nei manuali di scuola, ma resta come memoria viva di un luogo, pronta ad essere tramandata alle generazioni future. Questo è il senso profondo che Mattei trova nell'andare a piedi: tanti cammini ha percorso, su qualcuno ha scritto un libro, è il mondo di cui si occupa per la Gazzetta, dove gestisce il canale “L'arte di camminare”. E uno lo sta costruendo, insieme a Movimento Tellurico: il Cammino di Antigone, che collegherà alcuni luoghi fra le Alpi Apuane e l'Appennino Tosco-Emiliano, come Sant'Anna di Stazzema e Monte Sole-Marzabotto, dove vennero perpetrate stragi fra le più odiose nell'estate di sangue 1944.
Andrea Mattei a Matera. Foto dell'autore.Andrea Mattei, come ti sei imbattuto nella storia del Sentiero della Libertà?
La storia che racconto l’ho scoperta leggendo Avventura d’un povero cristiano, di Ignazio Silone, di cui ho ritrovato la prima edizione tra gli scaffali di una casa di famiglia a Pacentro, a pochi chilometri da dove si trova Campo 78, vicino a Sulmona. Quando ero bambino mi hanno raccontato tanti episodi di guerra legati a quella casa, ma quando ho letto Silone e poi ho chiesto un po’ alla gente del posto, mi sono reso conto che invece di quella vicenda non si sapeva nulla, e questo mi ha subito affascinato e incuriosito.
Le vicende che racconti non si trovano sui manuali di scuola, eppure hanno la stessa valenza di tanti altri simili, purtroppo, come mai non se ne parla?
È tipico di quelle zone, ma in generale dei luoghi di montagna del Centro-Sud, vivere in maniera riservata la propria storia, senza promuoverlo abbastanza: l’Abruzzo è la regione più verde d’Europa eppure è poco pubblicizzata. Questo la preserva dal turismo di massa, è tutta da scoprire, con i suoi piccoli borghi e i suoi territori incontaminati. D’altra parte però fatica a comunicare all’esterno ciò che ha.
Da dove ha origine quella Resistenza Umanitaria di cui hanno dato prova gli abruzzesi nel 1943, rischiando la loro vita per salvare dei prigionieri sconosciuti e stranieri?
L’Abruzzo fu abitato anticamente da popolazioni contadine dall’indole guerriera, gente molto orgogliosa e forte: nel libro cito Corfinio, in Valle Peligna, capitale della Lega Italica che combattè contro i Romani. La resistenza qui ha una tradizione secolare, insomma. L’accoglienza di cui hanno dato prova dopo l’8 settembre 1943 si ritrova anche nelle Marche e in Emilia-Romagna occupate dai tedeschi. Ma in Abruzzo successe qualcosa di particolare, perché questo movimento spontaneo di resistenza prese le forme di un movimento organizzato, da quanto fu diffuso e condiviso da quasi tutti. Forse pesò la vicinanza alla linea Gustav, perché per passare il fronte bisognava attraversare la Maiella.
Non c’è come chi conosce il suo territorio a poter aiutare…
Infatti la predisposizione all’accoglienza è una caratteristica tipica delle popolazioni contadine e di montagna, o di chi abita in luoghi estremi, dove la gente è abituata a sopravvivere facendo i conti con una natura nemica e c’è sempre posto a tavola per chi passa. Dalle ricerche che ho fatto in Abruzzo risulta che qualche famiglia accolse addirittura qualche soldato tedesco allo sbando. Sono casi isolati, ma che rendono l’indole.
Dopo la fine della guerra, diversi ex prigionieri di Campo 78 hanno fondato associazioni per riconoscenza verso i salvatori abruzzesi, o hanno scritto le loro memorie, come Keith Killby, che le ha consegnate ai ragazzi delle scuole per farle tradurre, in un ideale passaggio del testimone.
Uno dei motivi per cui questa storia mi ha affascinato è proprio perché non finisce con gli anni della guerra, ma vive nel presente. Per il 25 aprile di quest’anno sono state 350 le persone che hanno partecipato alla tre giorni di marcia sul Sentiero della Libertà, 60 chilometri impegnativi, soprattutto la tappa di montagna. In passato si è arrivati a 500… In un territorio così poco strutturato dal punto di vista turistico significa adattarsi a pernottare e mangiare come capita, nelle scuole, nelle chiese, nelle tende. Il coinvolgimento delle scuole poi è il fatto più importante.
Fare storia a partire dalla memoria, per capire il presente.
Commemorare ha senso se si riesce a trasmettere alle nuove generazioni qualcosa che poi potranno portarsi anche nella vita quotidiana. Io faccio l’esempio del prof. Luciano Biondi di Lanciano, che porta gli studenti in gita a Sant’Anna di Stazzema, nel Parco della Pace, a Marzabotto, fino alla Risiera di San Sabba a Trieste, a conoscere chi, come Lorena Fornasir, fa una scelta di resistenza umanitaria, di disobbedienza civile, in aperto contrasto con l’amministrazione comunale che vieta ogni forma di solidarietà. Ai ragazzi resta che anche noi, per cui la seconda guerra mondiale è così lontana, possiamo scegliere oggi da che parte stare.
Tu hai percorso il Sentiero della Libertà? È fattibile per chiunque?
L’ho fatto, è tutto ben segnalato e accessibile, con un po’ di dislivello, bisogna essere abituati al cammino in montagna, per esempio nel punto che va da Campo di Giove a Guado di Coccia. Il paesaggio è maestoso. Da piccolo con la mia famiglia andavamo spesso in Dolomiti, ma l’Appennino è una delle mie passioni, un territorio straordinario e poco conosciuto.
Un cammino in Appennino da consigliare?
Il Cammino delle Terre Mutate, lungo la faglia dei terremoti, da Fabriano all’Aquila, attraverso le Marche, l’Umbria, il Lazio, l’Abruzzo, per i parchi nazionali dell’Appennino, il Parco dei Monti Sibillini e Monti della Laga. Nemmeno nelle Alpi ci sono paesaggi così.
Cosa ti affascina del cammino?
Io sono un appassionato di storie, anche per indole professionale, e sui cammini incontri il “dio delle storie”, come diciamo sempre con Giuseppe Cederna. Quando sono andato a fare il Cammino Materano mi sono portato a casa una quantità di racconti che non ci stavano in un semplice articolo di giornale, per questo ho scritto La via dei Sassi.
Nel 2020 si annunciava l’imminente trasformazione di Campo 78 in Museo, ma al momento sembra tutto fermo.
Torniamo ai problemi dell’Abruzzo… Questo Museo doveva essere inaugurato ben prima, sul modello di altri campi di prigionia in Inghilterra diventati poli museali. Questo è il difetto del nostro Centro-Sud dove le cose vanno a rilento. È un peccato, perché questi luoghi hanno dentro di sé una forza di trasmissione della memoria che andrebbe vissuta di persona.
Tanto più che queste sono però anche aree interne interessate profondamente dallo spopolamento… La memoria potrebbe diventare un’occasione di futuro.
Quelli che potevano trasmettere la memoria sono emigrati. Forse avevano anche bisogno di rimuovere un dolore così grande, come quello dell’eccidio di Pientransieri, che fu riscoperto a livello locale negli anni ’90. Tuttavia, la politica non fa nulla per evitare l’abbandono, non fornisce servizi, e inevitabilmente la gente se ne va. Un danno grandissimo anche da un punto di vista ambientale e naturalistico, che genera degrado a tutti i livelli.
Andrea Mattei lungo il Sentiero della Libertà. Foto dell'autore.