Passaggio ad incastro lungo la tromba. © Ivan Guerini/Rivista della MontagnaFino al novembre del 1978 la scala dell’alpinismo è ferma al sesto grado canonico, anche se anni prima Reinhold Messner ha scritto addirittura un libro intitolato “Settimo grado” e forti scalatori come Reinhard Karl e Renato Casarotto hanno gradato le loro prestazioni un grado oltre il presunto limite delle capacità umane, dimostrando chiaramente l’anacronismo della scala chiusa.
Il settimo grado dei milanesi
Ma il settimo che ha fatto più parlare di sé è forse quello dei milanesi Ivan Guerini e Mario Villa sul Precipizio degli Asteroidi, nell’estate del 1977: “Ci ritrovammo a camminare in cordata su zone desolate e riarse, senza accorgerci che il Precipizio era scomparso sotto di noi, che la via era finita. Ce ne rendemmo conto solo in seguito, quando capimmo che questa struttura non aveva vetta, non aveva conclusione… Mario e io non avevamo bisogno di scambiarci nulla più di quello che avevamo vissuto, profondo vuoto di pensiero, per 60 ore di pace sensoriale”.
Con la pace sensoriale termina l’articolo di Guerini che alla fine decidiamo di pubblicare sulla Rivista della Montagna, prudentemente preceduto da una prefazione di Gian Piero Motti che prepara alla lettura gli abbonati più conservatori, pur sapendo che quel “viaggio tra azione e percezione” descritto da Ivan in termini simbolici e con il ricorso a svariate allusioni psichedeliche è stato anche una corsa alla parete (ma non alla cima) nel buon vecchio stile dell’alpinismo.
L’ufficializzazione del settimo grado
L’idea di Guerini era di salire solo la parte alta della parete che s’innalza dalla grande cengia diagonale, mentre quelli di Sondrio vedevano meglio la scalata completa. Assieme a Guerini, anche Jacopo Merizzi e Antonio Boscacci erano attratti dalla salita e le due cordate si trovavano in competizione, ma i Sassisti compirono due errori strategici. Da un lato sottovalutarono la vigilanza di Guerini e delle sue sentinelle, che appena si accorsero dell’imboscata partirono subito all’inseguimento. Dall’altro – e questa fu la leggerezza più grave, seppure sorretta da un pensiero di carattere estetico – Boscacci e Merizzi cominciarono a scalare la parte bassa della parete, battezzata Altare, dando tutto il tempo ai milanesi di raggiungere la grande cengia, attrezzare due lunghezze di corda sul Precipizio vero e proprio e preparare il bivacco aspettando i concorrenti al varco in un clima carico di elettricità.
Al mattino ogni cordata segue la sua sorte. “La luna gelida, evanescente poggiava sulla sommità di una montagna, come un inafferrabile cerchio spettrale, di immacolata luce al neon” scrive Guerini. I milanesi partono in testa e, aiutati dalle corde fisse, distanziano facilmente i valtellinesi. D’altra parte non c’è più motivo di correre perché Guerini e Villa sentono ormai il Precipizio nelle mani e affrontano ispirati i passaggi del viaggio battezzandoli con nomi mitici: l’Angolo esasperante, la Tromba, il Pulpito dell’eremita, le Onde pietrificate. In dieci ore di scalata raggiungono le radure dell’alta Val Livincina, dove la parete si corica senza una cima.
Tradotto in numeri il Precipizio è settimo grado, ma deve ancora passare un lunghissimo anno prima che l’Unione Internazionale delle Associazioni di Alpinismo si decida finalmente a mettere da parte l’ipocrisia e aprire verso l’alto la tradizionale scala Welzenbach con l’ammissione ufficiale del nuovo grado. Succede a Lagonissi, in Grecia, all’assemblea generale dell’UIAA. È il novembre del 1978, in grave ritardo sulla storia.