Ci sono molti modi per ricordare la storia. Ce lo insegna Paola Lugo in un bel volume di escursioni lungo i sentieri e le zone dei partigiani, Montagne ribelli. Un approccio “emozionale” e “fisico” alla Resistenza, che possiamo prendere in prestito per la Giornata della Memoria, recandoci nel Varesotto a percorrere il Sentiero del Silenzio di Liliana Segre.
Meglio se proprio nel periodo invernale, quando il freddo entra nelle ossa, come fece in quel lontano 8 dicembre del 1943 in cui Liliana Segre, all’epoca tredicenne, e suo padre Alberto cercarono di passare la frontiera svizzera, insieme a due anziani cugini. Si trovavano in Valceresio, nel Varesotto, ed erano diretti ad Arzo, in Canton Ticino, ma proprio quando pensavano di avercela fatta, penetrando oltre la fitta rete di confine, capirono che invece le autorità elvetiche li avrebbero respinti. Fu l’inizio della fine.
L’episodio compare nel film biografico Liliana, del regista Ruggero Gabbai, presentato allo scorso Festival del Cinema di Roma, che è stato al cinema il 20, 21 e 22 gennaio, con una proiezione speciale il 27 gennaio in occasione della Giornata della Memoria.
Il progetto
Nel 2023, in occasione degli 80 anni da quel famoso 8 dicembre, l’associazione Amici del Monte Orsa ha ricostruito l’itinerario che percorsero, trasformando il dolore in memoria con l’inaugurazione del “Sentiero del silenzio”, dedicato a tutti gli ebrei che durante la Seconda guerra mondiale cercarono la salvezza oltre il confine: si stima che fra il 1943 e il 1945 furono circa 45.000 quelli che ci provarono da sud (Grigioni, Ticino e Vallese), di cui quasi 6.000 ebrei italiani, stando allo storico Michele Sarfatti, a lungo direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano. Migliaia furono respinti, anche se tutt’oggi è difficile per la Svizzera ricostruire un numero preciso, e centinaia di loro finirono nei lager. Molti passarono proprio dalla strada dei Segre, che poi era la strada dei contrabbandieri che imperversavano in quella zona da molto tempo prima.
La vicenda di Liliana Segre
Il ripristino dell’itinerario percorso dalla famiglia di Liliana Segre durante la fuga verso la Svizzera si deve all’associazione Amici del Monte Orsa, grazie anche al sostegno delle amministrazioni comunali di Clivio, Saltrio e Viggiù. L’idea, come ha spiegato uno dei fondatori, Carlo Gavarini, è venuta proprio leggendo le descrizioni precise di quei luoghi fatte da Segre in diversi suoi libri. Si chiama Sentiero del Silenzio perché fu affrontato così, senza fiatare: per la necessità di non farsi sentire, per la paura della fuga, per la fatica che tagliava i pensieri e le parole, concentrando ogni forza nei piedi.
Dopo una notte insonne, in silenzio i quattro camminarono mestamente attraverso boschi meravigliosi diventati improvvisamente cupi spettatori dell’umana tragedia. In silenzio seguirono la strada indicata dai loro traghettatori, contrabbandieri che ogni tanto insieme alle merci trasportavano persone (persone che per i nazi-fascisti valevano meno di quelle merci). In silenzio il padre di Liliana prese i vecchi cugini in spalla, perché da soli non ce l’avrebbero fatta ad attraversare scarpate scoscese fatte di pietre da scavalcare con attenzione. In silenzio guardarono le loro valigie buttate giù dai contrabbandieri dall’ultimo dirupo, quando credevano che quegli ultimi ricordi di una vita normale potessero ancora servire a qualcosa. Solo un grido di gioia scappò quando videro le guardie svizzere, pensando di aver raggiunto una meta sicura. Poi fu di nuovo silenzio durante le lunghe ore che Liliana, il padre e i vecchi cugini passarono al comando di polizia, dove le autorità elvetiche decisero alla fine che Alberto Segre non era altro che un banale disertore intento solo a scappare dai suoi doveri.
A nulla valse spiegare che in quel momento gli ebrei in patria erano considerati nemici della Repubblica di Salò, la loro ignoranza li rese sordi alle suppliche di una ragazzina di 13 anni che provò a smuoverli perfino inginocchiandosi ai loro piedi. L’unico effetto fu quello di ottenere l’irricevibile proposta di separarsi dal padre, subito scartata.
Nessuna parola può commentare, ancora oggi, quella decisione che cambiò per sempre le loro vite. In silenzio i quattro furono riportati indietro e in silenzio finirono tutti ad Auschwitz da cui, come sappiamo, solo Liliana si salvò. Quel silenzio fu da un lato inevitabile rassegnazione, dall’altro indifferenza. Quella da cui Liliana Segre ha passato tutta la vita ad ammonire di stare in guardia, come dal peggiore dei peccati che può commettere un essere umano contro un altro. L’indifferenza uccide, la memoria rende liberi.
Sono passati tanti giorni da quegli avvenimenti. Eppure, il dolore perdura e non si spegne, tanto che la Senatrice a vita, classe 1930, non ha voluto partecipare all’inaugurazione, mandando il figlio, che si chiama Alberto come l’adorato padre, ucciso ad Auschwitz nel 1944.
Il percorso
Si parte da piazza Albinola a Viggiù (480 metri) per arrivare al Colle Oro a Saltrio (750 metri), al confine svizzero. Il dislivello è di circa 300 metri, per 4 km percorribili in 2 ore all’andata e 1,45 ore al ritorno. Il percorso è scandito da strutture in metallo dove sono scolpite le “impronte” degli ebrei fuggiaschi e un QR-Code, fruibile da smartphone, grazie a cui ci si può fermare a riflettere su quello che è accaduto, a Liliana Segre e a migliaia di altre persone come lei, in cerca di un riparo dalle persecuzioni nazi-fasciste.
Le narrazioni previste costituiscono un percorso di accompagnamento all’installazione finale posizionata in corrispondenza dell’allora linea di confine fra Italia e Svizzera. L’opera è concepita come simbolo a memoria di quanto avvenuto l’8 dicembre 1943: è stata ricostruita la porta di confine come era fatta allora e recuperata anche la rete, mentre una ditta di Saltrio ha riprodotto le valigie buttate giù da una scarpata.
Il Sentiero del Silenzio si incrocia con la Via delle Aquile randagie, così chiamata dal nome del gruppo scout di Milano e Monza che aiutò migliaia di persone in fuga, non solo ebrei, fornendo loro documenti falsi e supporto logistico nell’attraversamento della Valceresio, agendo in clandestinità fra i paesi di Besano, Clivio e Viggiù. Questo percorso si dipana per chilometri lungo la linea Cadorna, di cui comprende bunker, cunicoli e trincee, fino a giungere al Monte Orsa, che con il Pravello, il Monte San Giorgio e le cave di Viggiù costituisce una delle tappe da visitare in Valceresio.