Il Sentiero Bove in Valgrande

La prima alta via, intitolata a Giacomo Bove, navigatore ed esploratore piemontese, e realizzata dalla guida alpina Antonio Garoni.
Sul Sentiero Bove © Giacomo Meneghello

Sulle creste del Parco Nazionale Val Grande si snoda a fil di cielo un sentiero che, oltre a essere la prima ferrata italiana, è anche la più antica Alta Via delle Alpi: il Sentiero Bove.

Fu Teresio Valsesia a segnalare questo primato nel 1980, ma già nel 1899 Carlo Gabardini, vice presidente del CAI Sezione Verbano-Intra, lo aveva definito “il principe dei sentieri alpini”. Realizzato tra il 1890 e il 1894 e intitolato a Giacomo Bove (1852-1887), il sentiero è stato recentemente rivalutato grazie alle ricerche storiche di Pietro Pisano e al libro La via incantata di Marco Albino Ferrari. Bove, navigatore ed esploratore piemontese di Maranzana (AT), il 31 luglio 1880 affascinò i presenti tenendo una splendida conferenza tenutasi a Intra, dove raccontò il suo viaggio nel mare artico compiuto sulla nave svedese Vega capitanata dal ricercatore finlandese Nordenskiöld. 

Già ospite in quei giorni a Cannobio, sul Lago Maggiore, presso il suo mentore Cristoforo Negri, Bove accettò con gioia l’invito della sezione intrese del CAI, contento di poter illustrare il nuovo progetto rivolto all’esplorazione delle regioni antartiche, la cui promozione e raccolta di fondi l’aveva impegnato in un lungo ciclo di conferenze nelle principali città italiane. La partenza per l’Antartide era prevista entro il mese di maggio 1881, ma nonostante la minuziosa organizzazione la spedizione fu abbandonata a causa dei costi, ritenuti troppo onerosi. In conseguenza della tragica morte dell’esploratore, avvenuta nel 1887, i dirigenti del CAI Verbano si ritrovarono a bilancio le 1.037,47 lire raccolte nella serata del 31 luglio. Fu così che nel 1889 nacque l’idea di dedicare a Bove il sentiero che già l’anno prima si era deliberato di realizzare lungo la cresta tra il Monte Zeda e la Bocchetta di Terza. La decisione fu poi approvata ufficialmente dall’Assemblea generale che ebbe luogo a Pallanza nel luglio del 1890 e l’incarico di tracciare e realizzare il sentiero fu affidato all’esperta guida alpina Antonio Garoni (1842-1921).

 

L'opera ardita

Iniziarono così i sopralluoghi lungo i dirupi e le creste tra le valli Pogallo e Cannobina. Di certo Garoni non immaginò che anch’egli stava legando il suo nome a quella che sarebbe diventata la prima via ferrata delle Alpi italiane. Un successivo contributo finanziario del CAI centrale permise di coprire tutti i costi dell’opera. Il tratto del sentiero da Bocchetta di Terza al Monte Zeda fu realizzato tra l’estate e l’autunno del 1890, e percorso per la prima volta il 13 luglio 1891 da un gruppo di alpinisti guidati dallo stesso Garoni. Il 30 e 31 agosto di quell’anno, Intra ospitò il XXIII congresso nazionale del CAI, e questa ardita via attrezzata diede lustro alla Sezione Verbano presso tutti i partecipanti, che non persero l’occasione il 2 settembre di raggiungere la vetta della Zeda, dove ancora oggi un’incisione quasi del tutto corrosa dalle intemperie indica il punto di partenza del Bove. Tra congressisti, guide e portatrici furono circa duecento le persone che ammirarono il panorama di laghi e vette alpine. Immortalati in una foto ricordo si riconoscono, oltre al Garoni e alcuni soci della Sezione Verbano, il membro del direttivo nazionale Antonio Cederna e persino Luigi Vaccarone, noto alpinista torinese, che da lassù indicò ai presenti la cresta attraversata cinque giorni prima con Guido Rey durante la loro salita alla Punta Gnifetti. Altro alpinista di riguardo presente quel giorno fu Maurizio Sella, nipote di Quintino, che in mattinata percorse il Sentiero Bove raggiungendo la Val Vigezzo. Per l’occasione fu distribuito a tutti i partecipanti uno libretto commemorativo, integrato da una dettagliata cartina, con l’elencazione e la descrizione dei sentieri che caratterizzavano i “monti di Intra”, compreso il Sentiero Bove.

La gita inaugurale del sentiero, però, si tenne solo il 25 e 26 giugno del 1892. Ne parlarono anche i giornali: «E così mettemmo piede per la prima volta officialmente sul Sentiero Bove, l’ardito passaggio costruito dalla nostra Sezione e che dalla vetta della Zeda conduce, sempre sulle creste, su percorso ritenuto finora impraticabile, alla Bocchetta di Terza. Veramente stupendo ed indimenticabile il percorso di questo sentiero! Per tre ore si procede sempre sulle vette, ora librati da un lato e dall’altro sull’orlo di un abisso che vi dà le vertigini, ora rinchiusi, serrati, soffocati fra due pareti di roccie brulle, altissime ed anguste». Quel giorno il cammino proseguì tra emozioni e peripezie fino a che, finalmente, apparve «il colle prativo della Bocchetta di Terza, il più frequentato valico tra l’alta Valle Cannobina e la valle di Cicogna», dove aveva termine questo primo tratto del Sentiero Bove: «l’opera ardita, costrutta dal Garoni, che ne fu l’ingegnerel’esecutore, si può dire davvero bene ideata, tracciata, eseguita», scrissero i partecipanti nella relazione finale.

 

 

Sopra vertiginosi abissi

Nel frattempo Garoni si era già messo al lavoro per realizzare il secondo tratto che nel 1894 avrebbe raggiunto gli alpi di Scaredi e, successivamente, la Bocchetta di Campo. Qui nel 1897 venne eretto un nuovo ricovero alpino che, con quelli già esistenti del Piancavallone (1883) e Pian Vadà (1889), ancora oggi funge da punto tappa per chi percorre queste creste. Il Sentiero Bove poté così dirsi completato, consentendo a chi lo percorre di raggiungere il paese di Cicogna – “l’ultima Thule delle nostre vallate”, così fu ricordata nel 1890 – attraverso le impervie Strette del Casè, già attrezzate nel 1885 con “muri, gradini, spianature, mine, spranghe di ferro”. Cicogna poté così diventare punto di partenza e arrivo del Bove.

Il percorso divenne subito uno dei più desiderati dagli alpinisti: “Chi sta iniziandosi nell’alpinismo troverà molto utile il percorrerlo, perché desso è tracciato per la maggior parte su rocce inaccessibili e librandosi talvolta sopra vertiginosi abissi”, scrisse Edmondo Brusoni sulla Rivista del CAI nel luglio del 1891. Ancor più eloquente, nel descriverne le difficoltà, fu nel 1906 Antonio Massara, che da lì a poco avrebbe fondato a Pallanza il Museo Storico Artistico del Verbano e delle Valli adiacenti, oggi Museo del Paesaggio. Nel percorrerlo con le guide Brizio Ramoni e Giacomo Morandi, fu costretto sin dai primi passi a mettersi “supino sulla pendente roccia” e a lasciarsi “calare così come dovette fare Virgilio per sfuggire con Dante alle unghie dei diavoli», non potendo far a meno di pensare «che nessun luogo meglio potrebbe raffigurare le Malebolge dell’inferno dantesco che quella cerchia tutta “di pietra e di color ferrigno””. 

Nel secondo dopoguerra iniziò un lungo periodo di abbandono e un poco alla volta, a causa delle intemperie e dell’incuria, il percorso originale nei tratti più impervi scomparve completamente. Finalmente nel 1977 il CAI Verbano diede vita a un faticoso lavoro di riscoperta e recupero. Prese avvio, da parte di due soci, Piero Amedeo e Gualtiero Rognoni, la ricognizione tra la Zeda e la Bocchetta di Terza di ciò che resta dei manufatti realizzati da Garoni, ma parte dell’antico passaggio rimase ancora una volta celato tra le pieghe rocciose del Torrione. 

 

La svolta

La svolta decisiva – come ricorda Pisano nel suo libro – avvenne il 12 giugno 1983: “Il responsabile del progetto e la guida alpina Achille Montani affrontano il Torrione: è la volta buona! Piero e Achille, superata una parete un po’ esposta, si insinuano nel canalone rivolto a sud. Dopo una iniziale arrampicata finalmente trovano gli ancoraggi del Garoni nella gola strapiombante della montagna, sono ancora infissi nella roccia con la tecnica del piombo fuso”. Successivi lavori voluti dalle locali comunità montane e, dopo la sua istituzione, dal Parco Nazionale Val Grande, hanno riportato il Bove agli antichi fasti, facendolo diventare uno tra gli itinerari di cresta più belli, affascinanti e difficili dell’arco alpino, paradossalmente più conosciuto dell’uomo stesso a cui è dedicato.

Nando Danini (1947-2021), l’ultima grande guida alpina della Val Grande ma anche fondatore e componente della locale stazione del Soccorso alpino, ricordava che «non poteva esservi modo migliore per ricordare la bella immagine dell’eroico capitano Giacomo Bove, costruendo sulle creste tra Verbano e Ossola scalette in sasso o scolpendo gradini e fissando ferri nella roccia col piombo fuso; creando così dal nulla sui nostri monti un’opera grandiosa e quasi impensabile a quei tempi. Mi auguro che le nuove generazioni di Guide Alpine possano valorizzare questo Sentiero che merita d’essere riscoperto sotto ogni punto di vista e potrebbe divenire per queste una fonte di lavoro e per gli escursionisti una splendida attrattiva». Facciamo nostro il suo augurio.

Alba dal dosso panoramico del Pizzo Pernice © Giacomo Meneghello

 

Bibliografia

  • T. Valsesia, Val Grande ultimo paradiso, Alberti libraio editore, Verbania, 1985 ed edizioni successive

  • P. Pisano, Giacomo Bove. Un esploratore e un sentiero tra Verbano e Ossola, Magazzeno Storico Verbanese, Verbania 2015 (II ed. 2017);

  • M.A. Ferrari, La via incantata, Adriano Salani editore, Milano 2017;

  • F. Copiatti, A passo di vacca. Dalla Val Grande alle valli ossolane con Antonio Garoni, la guida alpina che tracciò il Sentiero Bove, Azimut, Verbania 2018 e MonteRosa edizioni, Gignese 2022.

 

Nota: l'articolo è stato pubblicato su La Rivista del Club Alpino Italiano, n.2-maggio 2023