Il Monte Lagazuoi © Wikimedia CommonsIl 26 settembre 1969 Claude Barbier, Almo Giambisi e Carlo Platter aprono sulla parete ovest del Lagazuoi Nord un nuovo itinerario in arrampicata libera. Lo chiamano “Via del Drago” citando l’ormai famoso articolo di Reinhold Messner “L’assassinio dell’impossibile”, uscito l’anno precedente sulla Rivista mensile del CAI. Era il mitico 1968 quando Messner scriveva:
“Mi chiesero che cosa avessi contro il chiodo a pressione. Potei esprimermi solo in modo positivo: può essere messo dappertutto, sembra un chiodo come un altro, non è molto vistoso; è piccolo e leggero, e in più è anche sicuro; viene prodotto industrialmente; non è costoso; può essere usato anche da persone che non hanno mai arrampicato; aiuta a procedere ovunque; serve anche per appendere i quadri su una parete di cemento; dà un apporto all’alpinismo: ne favorisce il crepuscolo”.
Messner sa che l’alpinismo muore per eccesso di tecnologia, così come la società dei consumi soffoca per conformismo e altri mali. Severissimo con sé stesso e con le doppiezze della società borghese, il ragazzo in camicia chiara e pantaloni arancioni sbalordisce il mondo con arrampicate estreme guidate da spirito trasgressivo. Dietro i pensieri romantici affidati al primo libro Ritorno ai monti, il giovane Reinhold trasuda modernità in tutto: lo stile di scalata, lo stile di scrittura, i capelli, l’abito, le idee. Si allena con metodi avveniristici, integrando i quotidiani esercizi di rafforzamento delle dita con mille metri di corsa in salita sulla punta dei piedi. Con le docce fredde prepara il corpo ai bivacchi invernali. In parete utilizza un numero di chiodi inversamente proporzionale al grado su cui scala: il settimo. È già un convinto partigiano dell’arrampicata libera:
“Chi ha intorbidato la pura fonte dell’alpinismo? Forse i primi volevano avvicinarsi ancora di più al limite; oggi, invece, ogni limite è svanito, cancellato. Sono bastati dieci anni per eliminare dal vocabolario alpinistico la parola ‘impossibile’… Io mi preoccupo per il drago ucciso: dobbiamo fare qualcosa prima che l’impossibile venga sotterrato del tutto. Ci siamo cacciati a forza di chiodi sulle pareti più selvagge: la prossima generazione dovrà liberarsi da questa zavorra”.
La crisi è evidente, conclamata. Come uscire dall’impasse? Come liberare il drago incatenato? C’è un solo modo, secondo l’antica ricetta dell’alpinismo. Urge limitare i mezzi tecnici per rilanciare l’avventura. Bisogna togliere per avere di più. E così faranno i ragazzi degli anni Settanta.
Oggi, a ottant’anni, Reinhold la pensa ancora così.