La letteratura degli eroi lo descrive come «un giovinetto sprezzante del pericolo e della morte, biondo nume guerriero disceso dal Walhalla, che passa solitario e trionfante di vetta in vetta fino al giorno in cui l’amata montagna lo vuole per sé».
Georg Winkler nasce a Monaco di Baviera nel 1869, da una ricca famiglia della borghesia. Il padre è un commerciante di carni. A casa Winkler si programmano uscite domenicali sulle cime bavaresi, così a undici anni assaggia la roccia e a quattordici sale la Zugspitze. Presto il piccolo Georg (d’età e anche di statura) sviluppa tecnica e muscoli con la costanza di un adulto, sperimentando nuovi materiali ed esplorando il limite della scalata solitaria. Si dice che abbia una gran forza e si eserciti ogni giorno; è tra i primi a sostituire gli scarponi chiodati con le pedule di tela da vela; usa un ancorotto a tre punte legato a una corda, con cui tenta di agganciare gli strapiombi per issarsi a forza di braccia.
La fotografia più nota lo mostra mentre posa su uno sfondo di nebbie e conifere: sguardo da fanciullo, candido ma volitivo. Nel 1887 è all’ultimo anno del liceo. L’inverno studia, l’estate si dona alla montagna. Il diciottenne adocchia la Terza Torre Medionale del Vajolet, che dal rifugio svetta come un fantasma di pietra sfidando la gravità. Solo come Dio l’ha fatto, il 17 settembre firma una delle più audaci imprese della storia, scalando la fessura della Torre senza alcuna protezione su difficoltà di terzo e quarto grado, con un passaggio di quarto superiore: il Winklerriss. Nessuno aveva mai osato tanto prima di lui, ma il suo resoconto è laconico: «Partenza alle 6,15. Attacco alle 7,30. Attraverso una serie di stretti camini collegati tra loro raggiungo la base della guglia terminale e, superando un paio di paretine, la vetta. Ore 9.30. Ometto di pietre. Vista chiara ma limitata».
Reinhold Messner si chiede se «spingendosi al limite dell’arrampicabile, Winkler abbia anticipato i tempi per firmare un’opera d’arte. No, Winkler ha semplicemente rischiato molto, e questo è tutto». Il seguito dà drammaticamente ragione a Messner. Nel 1888 il ragazzo è attratto dalle Alpi occidentali; sogna pareti sempre più alte e ghiacciate ed è affascinato dalle imprese solitarie di Eugen Guido Lammer sullo Zinalrothorn e sul Weisshorn, i due giganti vallesani che superano i quattromila metri e si trovano a centinaia di chilometri dalla Baviera. Li raggiunge, li corteggia, sale in pessime condizioni il Rothorn.
Manca il Weisshorn, stupendo e difficile, scalato da Tyndall e Bennen nel 1861. Sembra un vascello che veleggi nel cielo del Vallese. Il ragazzo passa l’ultima notte all’alpeggio dell’Arpitetta; il 16 agosto parte prima dell’alba, supera la terminale e sparisce. Di lui resta solo la firma all’Hotel Durand di Zinal, dove si qualifica come “studente in medicina”. Per fortuna i ghiacciai restituiscono i corpi e il 29 luglio 1956 due alpinisti raccolgono i resti di Georg ai bordi della neve. Sono passati sessantotto anni.
Progetto grafico di betula_stuff a cura di Giulia Masiero e Mattia Carraro