Paul Preuss nasce nel 1886 ad Altaussee, in Stiria. Trascorre l’infanzia serena nella regione dei laghi e delle montagne, poi deve combattere una malattia di origine virale che lo costringe a letto per dei mesi; reagisce con camminate sempre più lunghe nei boschi, dove si appassiona alle scienze naturali e alla fisiologia vegetale, che diventeranno il suo mestiere.
A undici anni comincia a girare per i monti e collezionare cime, d’estate e in inverno. È un ragazzo educato, socievole, che ama giocare in compagnia e danzare con le amiche; è un ottimo sciatore, frequenta i ghiacciai e cavalca le cime di tremila metri dal Grossglockner all’Ortles; è soprattutto uno scalatore eccezionale. Senza indulgere nel fanatismo, professa un’etica dell’arrampicata molto rigorosa, che esclude il ricorso al chiodo e limita anche l’uso della corda: «Può essere un aiuto, non il mezzo indispensabile per una scalata». Precisa: «Non sarò io a negare che alcuni scalatori moderni subiscano entro certi limiti il fascino del rischio. Mi sembra però che il pensiero “se cado resto appeso a tre metri di corda” abbia moralmente meno valore dell’altro: “una caduta e sei morto!”».
Nel luglio del 1911 realizza l’impresa più memorabile del suo tempo (e non solo), salendo da solo la verticale, elegantissima parete orientale del Campanile Basso di Brenta, che precipita come un fuso sulla cengia dello Stradone Provinciale. Raggiunta la cengia, invece di andare a destra lungo la via normale si slega dai compagni, lascia ogni sicurezza e si sporge sull’abisso, sostanzialmente nudo, quasi senza peso. Due anni dopo, muore cadendo dallo spigolo nord del Gross Mandlkogel: presumibilmente il 3 ottobre 1913.
Quando tutto si altera nello stordimento nazionalista che induce i dirigenti dell’Alpenverein a scrivere «l’alpinismo è una scuola dura e seria in preparazione della guerra; la piccozza e lo scarpone sul campo di battaglia sono importanti quanto il fucile e la baionetta», per sua “fortuna” Paul non c’è più. Almeno gli è risparmiata la battaglia, quello scontro fisico che – da cavaliere del gesto sportivo – avrebbe aborrito. Almeno, a guerra finita, non ne faranno un idolo, uno di quei campioni da propaganda destinati a diventare complici del bieco eroismo di regime. Almeno, da ebreo, non subirà la persecuzione nazista.
Progetto grafico di betula_stuff a cura di Giulia Masiero e Mattia Carraro