Difficilmente si confidava, mai si lodava, in cambio sapeva ascoltare, e quel suo understatement accentuava l’interesse e il mistero. Qualche volta Gianni Comino inquietava per via di certe pause lunghe e imbarazzanti, che sottendevano profondità interiori. Altre volte invece era attento e premuroso come un fratello maggiore. Nella sua baita in Val Ferret ospitava alpinisti e ragazzi sperduti, oppure fuoriclasse come lo sciatore estremo Stefano De Benedetti, che è stato il suo allievo più caro e l’ultimo che l’ha visto partire.
Il ghiaccio era il suo elemento, in ogni forma: seracchi, goulotte, cascate, rigole, scivoli gelati. Dopo un severo tirocinio sulle Alpi Marittime e Liguri, con salite solitarie, invernali, pareti difficili, si legò con successo a Gian Carlo Grassi, il folletto dell’alta montagna, anche se Grassi era il contrario di lui. O forse proprio per quello. Inseguirono gli stessi sogni su strade parallele, associando lucidità e fantasia sulle goulotte scozzesi e all’Ypercouloir delle Grandes Jorasses nel 1978, al Dôme du Mulinet nel 1979 e sugli iceberg sospesi della Poire e del Col Maudit nel 1979. Spesso Comino andò solo: nel 1978 al Supercouloir del Mont Blanc du Tacul, l’inverno seguente sulla via di Boivin e Vallençant alla parete nord dell’Aiguille Verte e, nel 1979, sul Grand Pilier d’Angle. Infranse tutte le barriere tecniche e psicologiche dell’arrampicata su ghiaccio in due memorabili stagioni: 1978 e 1979.
Nella vita feriale Gianni portava la faccia dell’uomo qualunque e l’anima del compositore. Le metteva insieme senza alcuna contraddizione, riparandosi dietro la riservatezza subalpina. Frequentava la facoltà di Medicina a Torino, e non lo sapeva nessuno; veniva da una famiglia colta e importante di Mondovì, e non lo dava a vedere; era impegnato nel sociale e non si stancava di cercare. Il 28 febbraio 1980 è partito tutto solo verso una visione chimerica e folle: la cascata di seracchi sospesa sulla parete della Brenva, tra gli speroni della Poire e della Major. Un piccolo uomo, una debole luce, un imbuto di ghiaccio battuto dal vento e dalle scariche. Con classe s’è destreggiato nel dedalo di seracchi incollati alla parete, gelida rappresentazione del disordine, finché un blocco l’ha trascinato via.
Il Supercouloir al Mont Blanc de Tacul © Wikimedia Commons