Giusto Gervasutti nasce nel 1909 a Cervignano del Friuli; cresce in pianura, figlio unico, i genitori troppo impegnati all’emporio di famiglia. Matura alpinisticamente sul calcare delle Alpi Giulie e delle Dolomiti, scopre le Alpi Occidentali durante il servizio militare e nel 1931 si trasferisce a Torino appoggiandosi a dei parenti.
È un bel giovane, affabile. Piace alle donne e a chi ha bisogno di un capocordata. Si concede qualche lusso, offrendo in cambio servizi da guida. I compagni sono tutti inferiori a lui, tranne Gabriele Boccalatte in roccia e Renato Chabod sul ghiaccio. In seguito trova un buon amico in Lucien Devies, anche se il fascismo tenta di separarli. Non si oppone mai al regime, pare assecondarlo, e intanto frequenta giovani antifascisti come Massimo Mila. È un uomo riservato: ama lo stile anglosassone di Albert Frederick Mummery e, come Mummery, crede al talento poco esibito e all’impresa non urlata.
Nell’estate del 1936 compie l’impresa scalando con Devies la parete nord ovest dell’Ailefroide, altissima muraglia degli Ecrins, dopo essersi ferito gravemente al costato. Chiunque sarebbe tornato indietro. Giusto ha una doppia indole: l’idealismo dell’alpinista e il pragmatismo dell’uomo. Le due nature si rispettano e convivono, una festiva e l’altra quotidiana. Mentre un Gervasutti annota gli appuntamenti e le spese come un ragioniere, l’altro insegue l’ispirazione. Nel 1938 sale con Boccalatte il pilastro del Pic Gugliermina sul Monte Bianco; pochi giorni dopo Boccalatte muore sul Triolet. Un duro colpo. Intanto si addensano le ombre della Seconda guerra mondiale e il 3 giugno 1940 Giusto è richiamato al fronte, sul Bianco. Comanda un manipolo di soldati che presidiano il Rifugio Gonella, ma gli Alpini e i Chasseurs des Alpes mantengono la promessa di non farsi male. Intanto ha messo gli occhi sul magnifico pilone nord del Frêney, che sale in cima come un dito disteso. S’è accordato con Paolo Bollini, un ventenne magro e gentile. Escono in cima a mezzanotte «in un crescendo di toni e variazioni emotive quali neppure una composizione di Wagner…». Dopo il pilone punta al sogno: la parete est delle Grandes Jorasses, una via che anticipa di quindici anni la storia. Fantalpinismo. Sul muro concavo delle Jorasses sfiora il settimo grado, nel momento più alto della sua carriera, ma in cima ha pensieri amari: «Credo che sarebbe molto più bello poter desiderare qualcosa per tutta la vita, lottare continuamente per raggiungerla e non ottenerla mai».
Il 16 settembre 1946 il cielo è sereno sul Monte Bianco. Gervasutti e Gagliardone si avviano sul Ghiacciaio del Gigante per scalare il pilastro di mezzo del Mont Blanc du Tacul, ma a metà salita il tempo cambia e decidono di scendere. Si calano sulle doppie corde, a un certo punto le corde s’incastrano e Giusto deve risalire. «Mentre sto chinato sul sacco – annota Gagliardone – sento un tonfo e un’esclamazione. Mi raddrizzo e lo vedo precipitare». Se ne va così, a 37 anni, per una distrazione.
Il Canale Gervasutti alla Tour Ronde, una delle numerose vie che portano il nome dell'alpinista © Wikimedia Commons