«Abbiamo effettuato due sondaggi nella roccia, uno verticale lungo una ventina di metri nella piattaforma di accesso alla Capanna Margherita, l'altro orizzontale sotto la balconata, lungo una decina di metri».
Queste le parole del prof. Francesco Calvetti, responsabile, insieme al collega Graziano Salvalai, del progetto di ricerca che il Club alpino italiano ha commissionato al Dipartimento ABC (Architecture Built environment and Construction engineering) del Politecnico di Milano. Un progetto che riguarda appunto la Capanna Regina Margherita, ubicata a 4554 metri sulla vetta della Punta Gnifetti, nel massiccio del Monte Rosa, e la stabilità dell’ammasso roccioso sul quale poggia.
I giorni scorsi, dopo la chiusura del rifugio, è stato aperto quello che possiamo definire il cantiere più alto d’Europa e sono iniziate le attività previste dal progetto.
«Nei due fori abbiamo effettuato una prima ricognizione con una sonda televisiva, grazie alla quale abbiamo ottenuto una ripresa video che ci ha consentito di vedere le condizioni della roccia, con la presenza e la geometria delle fratture», continua il prof. Calvetti. «Le informazioni sono completate da due colonne di misura inserite nei fori ed equipaggiate con termometri per rilevare la temperatura ogni metro e confrontarla con quella esterna. Le colonne di misura registrano inoltre la pressione dell'acqua (se presente) e le vibrazioni. Queste ultime possono essere causate sia da eventi esterni, come l'arrivo di un elicottero, ma anche dalla fratturazione della roccia. Estensimetri e inclinometri completano l’equipaggiamento delle colonne e misurano spostamenti e deformazioni».
Calvetti sottolinea come i dati vengano trasmessi in tempo reale, e quello che interessa, ai fini della ricerca non sono i valori assoluti, bensì la loro evoluzione. «La fine dell'estate 2024 sarà una sorta di primo banco di prova per vedere le conseguenze delle temperature più alte, dovute alla crisi climatica, sulle condizioni di stabilità dell'ammasso roccioso».
L’obiettivo del progetto è quello di arrivare alla definizione di un paradigma applicabile anche a quote più basse, con linee di intervento e di monitoraggio standardizzate. «È infatti la fascia compresa tra i 3000 e i 3500 metri di altitudine quella maggiormente interessata, oggi, dal rialzamento della linea inferiore del permafrost (il terreno permanentemente ghiacciato tipico delle regioni artiche e delle quote più alte delle montagne n.d.r.). La linea inferiore del permafrost si alza di 150-200 metri circa per ogni grado in più e ha come conseguenza il pericolo di rotture della roccia. La Capanna Margherita, essendo più in alto di questa "zona critica”, al momento è abbastanza protetta, ma qui possiamo raccogliere i primi segnali di quello che sta avvenendo più a valle».
Calvetti conclude parlando della particolarità di un cantiere a una quota così alta. «È stata la più alta installazione mai realizzata in Europa, la prima a oltre 4000 metri. Le difficoltà legate al sito, l’esposizione, la minore disponibilità di ossigeno hanno richiesto competenze uniche da parte dei tecnici e degli operatori. Le attività erano ad altissimo rischio di insuccesso ma, da questo punto di vista, è andato tutto bene».