09.08.2024 - - - cultura storia escursionismo alpinismo
Il 9 agosto 1874 veniva inaugurata la Vedetta Alpina, sulla sommità del Monte dei Cappuccini a Torino. L’atto fondativo di quello che oggi è il Museo Nazionale della Montagna, come abbiamo raccontato qui. Ma al di là degli aspetti storici, il successo di un’istituzione si misura sul qui e sull’ora che, nel caso delle ampie sale luminose affacciate sul Po, sulla città e sulla sua straordinaria corona di Alpi significa un percorso espositivo permanente in corso di rinnovamento, mostre temporanee di qualità e sperimentazioni contemporanee nel rispetto di 150 anni di nobile tradizione. Un’occasione ghiotta, quindi, per tracciare un bilancio insieme alla direttrice Daniela Berta che sei anni fa accettava la sfida di assumere la guida del Museo.
Gli interni del Museo Nazionale della Montagna al Monte dei Cappuccini di Torino. © arch. Museo Nazionale della Montagna
«È stato un grande onore – esordisce Berta – assumere un incarico così prestigioso nell’ormai lontano 2018 e lo è ancora di più quest’anno con il concretizzarsi di un anniversario, il 150esimo, che rappresenta un traguardo di assoluto valore».
Sei anni di direzione con la netta cesura di una pandemia che ha davvero messo in crisi i luoghi di aggregazione culturale. Come avete vissuto quella fase?
«Indubbiamente è stato un periodo durissimo – prosegue Berta – perché oltre al lockdown, abbiamo sofferto tutte le limitazioni successive che impedivano una piena fruizione dei nostri locali. Oltretutto in quel periodo era esposta la mostra su Bonatti, cioè il culmine di un lavoro mastodontico di riordino e catalogazione dell’archivio del grande alpinista ed esploratore. C’era un danno economico provocato dalla diminuzione dei biglietti venduti e da una contrazione dei sostegni, ma soprattutto il dispiacere di non poter condividere con il pubblico un patrimonio così straordinario. Ma abbiamo saputo anche approfittare della situazione fornendo l’ultimo impulso al processo di digitalizzazione, di cui si erano poste le basi negli anni precedenti, con cui ci siamo portati al passo con i tempi».
Daniela Berta, direttrice del Museo Nazionale della Montagna.
Oggi com’è la situazione?
«Devo ammettere che ci siamo ripresi benissimo. Negli ultimi anni abbiamo superato la media di 65.000 visite all’anno con un exploit davvero straordinario nel primo semestre del 2024 in cui abbiamo già superato quota 41.000. Evidentemente l’anniversario è servito per attirare nuova attenzione sia sulla collezione permanente, sia sulle mostre temporanee».
L'ingresso del Museo Nazionale della Montagna al Monte dei Cappuccini di Torino. © arch. Museo Nazionale della Montagna
Quali sono le novità che avete presentato?
«Il percorso espositivo è stato arricchito con una sala dedicata a Walter Bonatti e una alla conquista del K2 nel 1954, di cui quest’anno cade il 70° anniversario. Da quel punto di vista l’architettura del museo ci consente interventi graduali in attesa di avere i fondi necessari per un deciso rinnovamento, non soltanto delle collezioni, ma soprattutto della struttura. Invece da un punto di vista generale dell’immagine del Museo abbiamo voluto imprimere alcuni cambiamenti più decisi per aprirci maggiormente verso la contemporaneità. Il nostro deve essere un museo per la montagna, non soltanto della montagna».
La sala dedicata a Walter Bonatti al Museo Nazionale della Montagna. © Mariano Dallago
Concretamente, cosa significa?
«Basta guardare il programma delle celebrazioni per il 150° anniversario. Abbiamo una mostra di indagine storica dedicata a Primo Levi insieme a una serie di interventi più attuali legati maggiormente all’arte contemporanea. Da storica dell’arte credo molto in questo dialogo. Fino a marzo abbiamo ospitato sulla terrazza panoramica le sculture di Fabio Roncato realizzate nelle acque dei fiumi Brenta e Adda. Fino al 20 ottobre, invece, presentiamo “Orogenesi” con dipinti e disegni di Alberto Di Fabio. Infine, è in corso un progetto digitale che ci sta dando grandi soddisfazioni realizzato con la Scuola di Diplomazie Interspecie. Quest’ultimo esempio è un tentativo di creare una sorta di partecipazione con la natura, invece di guardare esclusivamente alle emergenze ambientali, che colpiscono il pianeta e le montagne in maniera sempre più forte, con un approccio di sola colpevolizzazione».
Un particolare della mostra dedicata a Primo Levi. © arch. Museo Nazionale della Montagna
Sfogliando il programma si notano alcune vostre produzioni che sono state riallestite altrove.
«Si tratta di un aspetto di cui sono particolarmente orgogliosa perché ci qualifica come luogo di produzione di cultura, oltre che di conservazione. Alla fine di luglio è stata inaugurata al Muse di Trento la nostra mostra “The mountain touch”, dedicata agli aspetti benefici e terapeutici della natura e delle terre alte. Quella intitolata “Rock the mountain!”, dedicata alla montagna nell’iconografia della musica pop è attualmente al quarto riallestimento. E diversi altri allestimenti continuano a girare per le Alpi grazie a un vero e proprio catalogo di esposizioni da cui scegliere. E, sempre in tema di collaborazioni, continuano a crescere le due associazioni internazionali di cui siamo animatori e che abbiamo ospitato lo scorso 9 maggio al Monte dei Cappuccini: la International Alliance for Mountain Film e la International Mountain Museums Alliance».
Dedichiamo un discorso alle criticità: cosa si può migliorare?
«Penso che abbiamo ancora un ampio margine di miglioramento perché non siamo ancora nella condizione di poter sfruttare appieno il potenziale di professionalità ed energie che siamo riusciti a condensare all'interno e intorno al museo. Un aspetto su cui stiamo lavorando è l’istituzione di una fondazione come polo culturale del CAI, che ci fornisca la personalità giuridica e l’indipendenza istituzionale con le quali attrezzarci per accedere a nuove opportunità. Una questione complessa che necessita di essere risolta al più presto».
Un particolare della mostra permanente del Museo Nazionale della Montagna. © arch. Museo Nazionale della Montagna
Domanda secca: qual è il museo che ti ha maggiormente ispirato e incuriosito negli ultimi anni e che guardi come modello?
«Cerco e trovo sempre ispirazione in altre realtà, anche diverse dalla nostra. Tra le ultime visitate, ad esempio, il Mucem di Marsiglia dove a una presenza architettonica coraggiosa si abbina una programmazione che guarda con grande dinamicità alle complessità delle civiltà europea e mediterranea. E poi Alps, il museo del Club Alpino Svizzero a Berna dove sperimentano una particolare commistione tra progetti internazionali di ricerca sul campo, esposizione permanente e temporanea. Uno stimolo interessante anche per noi, per valorizzare le nostre collezioni e competenze e metterle sempre più al servizio della comunità. E poi il Lumen di Plan de Corones dove, al contrario, non esiste assortimento di materiali storici, ma il tema della fotografia di montagna viene illustrato in maniera molto efficace con un utilizzo ben ponderato della multimedialità all'interno di un edificio storico recuperato ingegnosamente».