Il film Holy Bread documenta il lavoro estremamente pericoloso dei kulbar curdi, lavoratori che mantengono le loro famiglie trasportando merci attraverso il confine iraniano. A piedi, portano i carichi lungo sentieri di montagna rocciosi, ripidi e scivolosi. Lungo il percorso, molti di loro si feriscono, muoiono nelle bufere di neve o vengono colpiti dalle armi della polizia di frontiera.
Disponibile sulla piattaforma In Quota www.inquota.tv fino al 24 ottobre 2023
Il film si apre con le immagini di uomini che scavano nella neve per cercare di estrarre i corpi di altri uomini sepolti da una valanga. Siamo nel villaggio di Bioran, provincia di Sardasht nell’Azerbaijan occidentale. Immagini crude miscelano l’alternarsi della frenesia di chi scava all’immobilità dei corpi sepolti, ai visi stravolti di chi cerca di salvare una vita ai volti di chi lì sotto ha trovato la morte. E il racconto riprende tuffando lo spettatore nei ritmi della quotidianità di luoghi intrisi di povertà, in una natura ai limiti della sopravvivenza. Suoni e rumori fanno da contrappunto al racconto di uno dei sopravvissuti che con lo sguardo quasi fisso e perso nel vuoto narra la sua storia, la storia dei kulbar. Le immagini e il suono danno il senso concreto e reale della fatica: la salita fra rocce instabili, i carichi pesanti, gli equilibri instabili. Il commento sonoro è ritmato da calpestii, ansimi, fruscii e respiri e laddove il sentiero spiana quasi d’improvviso ecco il silenzio che poco dopo cederà il posto ai suoni precedenti. Ogni storia è un racconto intenso che ti trasporta con le immagini in una vita ai limiti che coinvolge tutt’oggi quasi diecimila persone che si guadagnano da vivere così.
Fotogramma del film “Holy Bread” © Archivio Trento Film FestivalLa macchina da presa disegna gli ambienti, le persone, gli animali con sequenze che vanno dal particolare al totale e viceversa senza mai invadere un’intimità che pare non esserci ma che in realtà ha un solo nome: dignità. I particolari delle mani, i volti dei bambini volutamente in secondo piano e sfocati, i visi segnati dalla fatica … e poi d’improvviso ecco il contrasto rude della voce forte, possente, autoritaria dei militari che controllano le frontiere. Racconti di fatica, di disperazione di uomini, i kulbar, che in una sequenza del documentario affermano “Perché lo facciamo? Perché abbiamo fame!”. Potenti le interviste realizzate all’interno delle tende quasi al buio con un dosaggio delle luci che imprime un ritmo intenso alle parole. Il fenomeno dei kulbar è la realtà delle regioni abitate dai curdi in Iran ed è il risultato della distribuzione iniqua dei servizi tra le regioni del paese.
Dieci anni di riprese, di ricerche, di studio. È un reportage di livello che nulla lascia al caso senza dare spazio alle intuizioni o alle fantasie, mostra la cruda realtà dei fatti. Il regista Rahim Zabihi e suo fratello Keywan sono morti nel dicembre del 2018 in un incidente stradale dalle dinamiche ancor oggi poco chiare.