Himalaya e Karakorum, primo bilancio provvisorio

Sulle grandi catene asiatiche, la stagione invernale non è ancora terminata ma, ad eccezione della spedizione al Manaslu, il quadro della situazione è ormai abbastanza chiaro
Primo bilancio, provvisorio, della stagione alpinistica invernale in Karakorum e in Himalaya, che peraltro non è ancora conclusa e potrebbe riservare qualche ulteriore sorpresa. Iniziata tra mille interrogativi per via della pandemia di Covid-19, come tutti avrete letto nelle settimane scorse l’avventura su alcune delle maggiori cime della catena nella stagione fredda ha regalato momenti epici, con la scalata del K2 da parte di un gruppo di alpinisti nepalesi, ma è stata anche punteggiata da fatti drammatici, che proviamo a riepilogare.
Ali Sadpara © Facebook
Ali Sadpara © Facebook
Il 16 gennaio, il giorno del compimento della prima invernale assoluta al K2, 3000 metri sotto la vetta, in discesa dal campo 1, il catalano Sergi Mingote è rimasto vittima di una caduta mortale (ne abbiamo dato notizia in un post di qualche settimana fa). La stessa sorte, il 5 febbraio, è toccata al bulgaro Atanas Georgiev Skatov, classe 1978, precipitato sotto il campo 3. I corpi dei due himalaysti sono stati recuperati e riportati a valle. Non sono invece ancora state ritrovate le salme dell’islandese John Snorri, del cileno Juan Pablo Mohr e del pakistano Ali Sadpara © Facebook, avvistati per l’ultima volta nel Collo di Bottiglia. Il gruppetto era partito il 5 febbraio dal campo 3 (7400) della via dello Sperone Abruzzi e comprendeva anche il giovane Saijd Sadpara, il figlio di Ali, che aveva cercato di salire senza far uso delle bombole dell’ossigeno, come stavano facendo il padre e Mohr. Ai primi sintomi di malessere dovuti all’alta quota, Saijd aveva provato a mettere in funzione la bombola d’emergenza, ma l’erogatore non era entrato in funzione. A quel punto, Ali, suo padre, gli aveva intimato di scendere al sicuro al campo 3. Il ragazzo deve la vita a quel consiglio. I suoi compagni, invece, sono scomparsi ad alta quota. Le ricerche, condotte con sorvoli di aerei ed elicotteri e con l’impiego di tutta la tecnologia al momento disponibile, non hanno dato alcun esito. Ali Sadpara © Facebook (all’anagrafe Muhammad Ali, del villaggio di Sadpara, classe 1976) era l’unico alpinista pakistano ad aver salito i cinque 8000 del suo Paese.
Sajid Sadpara © Twitter
Sajid Sadpara © Twitter

La morte di Alex Goldfarb

Il 16 gennaio, sul Pastore Peak (6209 m), una cima minore non lontana Broad Peak, è morto anche l’alpinista Alex Goldfarb, 57 anni, un alpinista statunitense di origine russa. Assieme al compagno, l’ungherese Zoltán Szlankó, Glodfarb si stava acclimatando in previsione di un tentativo al Broad Peak. A causa delle pessime condizioni meteo, Szlankó aveva deciso di rientrare. Non era tuttavia riuscito a convincere il compagno, che aveva promesso di rientrare nel giro di qualche ora. Il corpo ormai senza vita dell’alpinista statunitense è stato individuato un paio di giorni più tardi da due elicotteri della compagnia aera pakistana Askari Aviation. Alla ricerca avevano preso parte anche Sajid Sadpara © Twitter e John Snorri.
Alex Txikon e Simoe Moro
Alex Txikon e Simone Moro © Everest Today

Ancora attesa per il Manaslu

L’altra vicenda, di cui continuano a occuparsi a intermittenza i social media, riguarda il tentativo invernale della spedizione al Manaslu (8156 m) di Alex Txikon, Iñaki Alvarez e Simone Moro, tuttora in corso. L’ultima notizia di cui disponiamo, si riferisce a qualche giorno fa quando, a causa del forte vento, a quota 7050 si è infranto un tentativo alla vetta condotto da Alex Txikon, Iñaki Álvarez, con gli sherpa Cheppal, Namja e Gelum. Nel push verso la sommità non era presente Simone Moro, che aveva ritenuto più prudente dar retta alle previsioni (rivelatesi poi corrette) dell’austriaco Karl Gabl, considerato uno dei più attendibili meteorologi in fatto di Himalaya e Karakorum. Siamo in attesa di aggiornamenti.