La parete nord delle Grandes Jorasses © Wikimedia CommonsNevica, nevica incessantemente il 12 agosto del 1958 sul Monte Bianco mentre Andrea Mellano ed Enrico Cavalieri osservano con occhio preoccupato l’andamento della situazione. Il giorno dopo avrebbero dovuto attaccare le Grandes Jorasses per l'inviolato sperone che porta in cima alla Punta Young.
Attendono un miglioramento meteo chiusi nella sala d’attesa della funivia. Miglioramento che arriva nella notte, così decidono: si parte. Il cielo è sereno quando iniziano a salire verso il rifugio Requin. La neve fresca copre tutto, bisogna battere traccia e prestare attenzione ai crepacci. “La nostra bella avventura è iniziata” scrive Andrea Mellano su Scandere 1957/1958 ricordando l’inizio di questa salita. “Non mi par vero e stento a convincermi che sto andando verso la nord delle Jorasses”.
L’idea, ambiziosa, è quella di salire per la nord, disegnano una nuova via. A vederla e immaginarla è stato Cavalieri, che poi ha coinvolto Mellano nel progetto. Bisogna però aspettare il momento giusto per provare, non tanto per le condizioni, quanto per le ferie dal lavoro. Trovati i giorni, via. Inizia l’avventura in un mondo sconosciuto e che in qualche modo mette soggezione, anche ai nostri due protagonisti. “Pensare che dobbiamo salire questa parete per una nuova via mi procura un brivido alla schiena”. Riusciremo a farcela? Si domanda Mellano. Cavalieri ha già la risposta pronta: sì.
Il bivacco sul ghiacciaio
Raggiunto il rifugio Requin, a circa 2500 metri, i due si muovono verso la Capanna Leschaux, per poi risalire il ghiacciaio fino a incontrare lo sperone che sale dal plateau verso la Punta Young, attaccandolo sopra una serie di seracchi che insistono sulla base. In realtà il piano era quello di raggiungere il bivacco delle Périades, per poi scendere e raggiungere la nord. Ma al rifugio gli viene consigliato, visti i pesanti sacchi che trasportano, di scegliere l’opzione Leschaux. Arrivati, “Enrico, data la sua profonda conoscenza della Guida Vallot credeva di trovare un albergo con cameriera, servizi, eccetera”. Invece i due si sono trovati davanti a “una specie di baracca contorta”. La Capanna era stata colpita da una valanga un anno prima e della struttura non rimaneva che un “fetido sgabuzzino ricavato in un angolo dello sgabuzzino stesso”. Delusi per l’amara scoperta Mellano e Cavalieri decidono di bivaccare sulla morena che copre il ghiacciaio, ma in realtà non riusciranno a raggiungerla. Sorpresi dal buio si ritrovano nel bel mezzo di un’intricata serie di crepacci. Impossibilitati a orientarsi decidono di fermarsi e attendere l’alba ancorati alle piccozze su un ponte di neve. “Sperduti su questo ghiacciaio, ci sentiamo piccoli e deboli di fronte a questa montagna immensa” scrive Mellano. “Basterebbe il movimento di un seracco per cancellare ogni traccia di noi; ma non sarà così, la montagna ora è nostra amica, ci siamo dentro, viviamo con lei, e con lei formiamo come una cosa sola”.
A destra la via Mellano-Cavalieri alla Punta YoungLo Sperone Young
L’alba segna la fine di una lunga notte e la ripartenza. Sicuramente deve aver fatto piacere a entrambi rimettere in moto i muscoli dopo tutte quelle ore. Con la luce del giorno è tutto un altro muoversi. In breve sono fuori dalla zona crepacciata e raggiungono il plateau, diretti verso il punto dove intendono attaccare.
La prima parte della via risale un canalino, quindi sbucano sul filo di cresta dello sperone. La roccia è buona è i tiri non sono particolarmente impegnativi. Il problema principale è il freddo, che a ogni presa irrigidisce le mani dei due. Decidono così di salire veloci, cercando di guadagnare tempo sulla giornata che scorre veloce, fino a un terrazzino dove si fermano a riposare. “Poco lontano, alla nostra sinistra, lo sperone della Whymper appare in tutta la sua bellezza”.
Più in alto ecco che le difficoltà iniziano a farsi sostenute, e con loro aumenta anche la stanchezza. A un tratto gli si staglia davanti un torrione. Va avanti Mellano che riesce a trovare una soluzione passandolo a sinistra su roccia instabile e con un diedro nella parte finale. Arrivato in sicurezza urla al compagno di salire. “Recupero un paio di metri di corda e sento uno strappo violento: Tieni!! mi grida”. Nel giro di un secondo Mellano si ritrova tutto il peso di Cavalieri sulla spalla. La tensione è al massimo. “Speriamo si fermi” pensa. Poi la corda si allenta. Cavalieri, qualche metro più in basso, è riuscito a mettersi in sicurezza alleggerendo Mellano del suo peso. È caduto, pendolando, a causa di un appiglio che non ha retto il suo peso, cedendo. Fortunatamente non ci sono conseguense e la scalata può poseguire.
Le difficoltà non sono mai estreme, ma comunque sostenute. I due cercano la soluzione migliore, la via più logica, senza forzare i passaggi. Così guadagnano metri. “Man mano che salgo sento una gran contentezza invadermi” ricorda Mellano. “Sono qui, sulla nord, e continuo a salire; mai come ora ho sentito la montagna così intensamente: sono felice”.
È felice di essere sul terreno d’avventura, sulla nord delle nord, alla ricerca della migliore delle vie. È felice anche quando, a un passo dalla cima, si ritrovano davanti a una placca liscia di quarto grado, espostissima, seguita da un duro diedro. La scalata li impegna a fondo, ma riescono. “Per fortuna è proprio l’ultimo torrione, un salto di roccette e siamo in punta alla Young”.
Sono le 17.30 del 14 agosto e la stanchezza fa scegliere ai due di bivaccare sulla cima, a 3996 metri. Prima di dormire però, si festeggia: dallo zaino tirano fuori una lattina di birra, un veloce brindisi e una stretta di mano sono più che sufficienti per sugellare il momento. “Due prugne secche e un pezzo di cioccolata sono la nostra cena”.
L’attimo è intenso e racconta tutta l’emozione genuina che ha accompagnato Andrea Mellano nella sua vita, fino all’età più matura. “Sotto di me, giù nella valle, vedo le luci del mondo; come sono lontane! Mi sento fuori da quel mondo, qui, sperduto su di una montagna, sotto le stelle che mi fanno da tetto”. E con le stelle a vegliarli i nostri due protagonisti prendono sonno. Devono riposare, al mattino li avrebbe attesi una lunga traversata lungo la cresta ovest con discesa per il rifugio Boccalatte, per poi fare ritorno a valle. “Domani dovremo scendere, tornare tra la gente a cui la montagna non parla; questo è il nostro destino”.