Gli esploratori dei viàz: dall’eredità di Franco Miotto alla ricerca di Loris e Federica

Una nuova generazione di esploratori ripercorre gli antichi viàz dolomitici, seguendo le orme di camosci e alpinisti per scoprire sentieri remoti sospesi nel tempo e nella roccia.
Cengia di Giacin e Cesaletti (Pelmo) © Loris Trevisan

All’inizio furono i cacciatori. Poi arrivò Franco Miotto. Era la fame a spingere i cacciatori di camosci in quei luoghi apparentemente inaccessibili, era la fame di conoscenza del territorio a portare Miotto su quelle sottili strisce d’erba sospese nel vuoto. Stiamo parlando dei viàz, gli antichi percorsi scovati osservando gli animali e ripercorsi per andarli a prendere, spesso esili cornici così frequenti nel Bellunese e nelle Dolomiti venete, dove la stratificazione di calcari e dolomie ha allestito, nei milioni di anni, un terreno d’azione perfetto. 

Poi venne la Prima Guerra Mondiale e i motivi per percorrere queste scomode vie che raramente portano in cima furono ben atri. Per salvarsi la vita o per portare materiale nel cuore delle montagne anzi bisognava dar adito a nuove esplorazioni, andando oltre a quanto già si sapeva.

Miotto negli anni Settanta e Ottanta percorse dei viàz sulle montagne a cavallo fra il Bellunese e l’Agordino e grazie a questi si distinse nel mondo alpinistico, aldilà delle vie di roccia di notevole difficoltà da lui stesso tracciate.

Da ricordare gli arditi Viàz dei Camòrz e dei Camorzieri sulla Pala Alta e Viaz dei Camosci sul Monte Coro.

In pochi, dopo di lui e del “discepolo” Riccardo Bee, si sono avventurati in modo sistematico su percorsi che avessero “una logica orizzontale” e che osassero sfidare, in passaggi raramente assicurabili, la forza di gravità.

 

Loris e Federica

Veniamo al presente. Loris Trevisan e Federica Beccaro sono una coppia nella vita e nelle avventure in montagna. Da oltre trent’anni vagabondano “sotto le vette” di casa (abitano nel Vicentino) e delle Dolomiti. Sì, proprio “sotto le vette”, prediligendo percorsi a sviluppo orizzontale, di traversata alla dimensione verticale. Una scelta che li ha portati a essere dei veri e propri esploratori, uniche persone ad aver raggiunto alcuni luoghi protetti dalla solitudine e dalla lontananza che li isola dai più frequentati percorsi di queste montagne e vallate.

Ho avuto il piacere di ascoltarli durante le loro serate e di parlarci assieme più di una volta e mi sono accorto di una cosa, che in verità è abbastanza ovvia. Tutti noi ci chiediamo, per via della singolarità delle loro attività in ambiente, come sia nata una tale passione quell’entusiasmo coinvolgente che ci farebbe voglia di andar con loro, al netto della paura che ci frenerebbe ancor prima di partire.

“Tutto è iniziato tanti anni fa ­– ci spiega Loris – quando ci è venuto tra le mani un vecchio libro di Paolo Bonetti con la descrizione di vari itinerari selvaggi e dimenticati. In questo volume era descritta la risalita della Val Ru da Mulin, un solco vallivo del gruppo della Schiara che guarda la Val Cordevole. Da lì si è aperto un mondo di studio ed esplorazione e anche un modo diverso di vedere e andare in montagna che ci ha completamente assorbiti”.

Capito lo spirito che muove tutto il loro andare, ci si rende conto di come spesso percorrano itinerari dimenticati o mai esplorati prima da nessuno, dei veri e propri “viaggi nel silenzio”. Ma come li scelgono? Studiando la montagna, ricercando informazioni sui libri o come?

Loris ce lo spiega, con una naturalezza sconcertante. “Tutti due i sistemi sono validi ma c’è pure un terzo modo: ascoltare gli anziani che tramandano notizie su percorsi e possibilità di passaggi. Inizialmente abbiamo usato molto le informazioni su libri e guide, per cui si andava su itinerari già conosciuti anche se raramente frequentati. Poi l’esperienza ci ha portati a conoscere il terreno e capire il comportamento degli animali, soprattutto i camosci, che ci hanno permesso, seguendo le loro tracce, di trovare nuovi spettacolari itinerari. Ora il sistema che preferiamo è fotografare il posto dove vogliamo andare, studiarlo al computer per capire se ci sono possibilità di passaggio e, in ultimo, verificarlo sul terreno”.

 

Tra Pelmo e Tofane

Negli ultimi anni la coppia si è concentrata su due gruppi dolomitici ben noti, anche se per altri motivi: Pelmo e Tofane.

Del primo si dice che non lo si conosce se non se ne sono percorse le cenge. Loro si sono cimentati su alcune “classiche” (Ball, Grohmann, Zoldana, Dambra), ma si sono spinti anche oltre, tenendo in tasca dei progetti ancora da realizzare.

“Il Pelmo è la montagna perfetta per chi ama questo genere – ci racconta sempre Loris – Ci sono un’infinità di cenge per tutti i gusti e difficoltà, basta aver voglia di uscire un po' dai classici percorsi. Dopo aver percorso più volte le cenge classiche ci siamo divertiti a cercare qualcosa di nuovo e, agganciandoci a quanto già detto, attraverso le fotografie abbiamo trovato la possibilità di aggirare quasi ad anello sotto cima la Spalla Sud sfruttando una bellissima cengia. Volendo citare degli episodi ce ne sono tanti da raccontare, ma quello che ci viene in mente ogni volta è capitato sulla Cengia Zoldana (per noi la più bella fino ad ora). Sul punto chiave, uno splendido spigolo sopra pareti alte centinaia di metri, abbiamo trovato un vecchio cordino. Quello che si trova sul posto bisogna sempre provarlo prima di usarlo. E per fortuna direi. Praticamente, dalla parte opposta dello spigolo, era tranciato di netto, probabilmente preso in pieno da un masso. Dopo averlo sistemato abbiamo continuato il percorso”.

Sulle Tofane invece, fra il 2023 e il 2024, si sono sbizzarriti a vagabondare su pareti pregne di percorsi abbandonati della Prima Guerra Mondiale, osservando, ipotizzando, ragionando e tentando di ricostruire le logiche di certe azioni belliche.

Sempre in questi due ultimi anni anche le montagne di casa hanno dato loro delle soddisfazioni, il Pasubio in modo particolare, montagna questa che sembra aver rinvigorito ancor più, se ce ne fosse bisogno, la loro foga esplorativa.

Loris e Federica sono ben consci che il loro sia un alpinismo diverso, non adatto a tutti e, in taluni casi, pericoloso. Ben si guardano dall’elargire informazioni e relazioni a cuor leggero, sanno perfettamente che il senso di emulazione che oggigiorno pervade con inadeguata leggerezza il mondo dei social media sia cosa pericolosa. Generosamente ci fanno vedere i luoghi sospesi che visitano, ma non perdono occasione per mettere in guardia gli eventuali improvvisati “cacciatori di cenge”. “La questione è delicata – ci spiega ancora Loris – e noi cerchiamo di far capire, ai fans e ai detrattori, come la cosa fondamentale sia la forza mentale che governa l’autocontrollo, capacità umana che, in queste condizioni va allenata, e che non è uguale per tutti. La paura è una componente della nostra vita, non siamo così incoscienti, cerchiamo di programmare e gestire tutto al meglio e con la massima preparazione possibile”.

Non ci resta che attendere la prossima estate, i progetti di Loris e Federica sono ancora molti e il loro entusiasmo lievita di giorno in giorno.