Giuseppe Mazzotti. Grandi cose avvengono quando alpinismo e cultura s’incontrano

Giuseppe Mazzotti, giovanissimo, nelle Dolomiti. © Archivio per la storia dell'alpinismo dolomitico di Bepi Pellegrinon

C’è stato un tempo in cui gli alpinisti scrivevano libri meravigliosi: Massimo Mila, Dino Buzzati, Armando Bianciardi, Julius Kugy, Antonio Berti, e Giuseppe Mazzotti.

Negli anni Trenta molti di loro avevano conosciuto della letteratura eroica di montagna, Eugen Lammer su tutti, e il clima politico esaltato del ventennio fascista aveva influenzato anche gli scritti di alpinismo, ma con molte grandi eccezioni come Giuseppe Mazzotti e il suo amico Renato Chabod. Dopo la guerra erano poi apparse le pagine nitide di Fulvio Campiotti e i récit d’ascension di Massimo Mila, che aveva ripreso lo stile asciutto e ironico dei suoi primi resoconti alpinistici degli anni Venti.

 

Mazzotti, nato a Treviso nel 1907, sin da ragazzo si appassiona alla montagna e all’arte figurativa, ma non ha idee chiare sul suo avvenire. Prima tenta gli studi di ingegneria a Padova, poi quelli artistici all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, infine trova la sua strada all’Ente per il Turismo di Treviso, dove lavorerà prima come collaboratore poi come direttore per quarant’anni. Memorabile la sua difesa, colta e appassionata, delle ville venete e delle bellezze del territorio; i suoi studi confluiranno alla fine in uno libro rimasto prezioso e ineguagliato, Ville Venete e in un’importante legge per la loro tutela (la n. 243 del 6 marzo 1958).

 

Il primo libro di montagna è del 1931, Il giardino delle rose, un saggio chiaro e ben documentato sulle Dolomiti. In quello stesso anno Mazzotti ottiene un grande successo con La montagna presa in giro, una serie di brevi pezzi sui tic e sulle follie legati al turismo alpino. A rileggerli oggi si apprezza lo stile ironico, ma i quasi cento anni si avvertono tutti, un tema resta attualissimo: il desiderio ossessivo e prepotente degli abitanti delle città di portare in alto abitudini e comodità, a costo di deturpare boschi e cime.

 

In quegli anni Mazzotti scopre le Alpi Occidentali, sia come allievo ufficiale alla Scuola militare di alpinismo di Aosta sia in cordate con guide e alpinisti valdostani. Conosce Nerina, che sposerà nel 1937, sorella di Amilcare Crétier, forse il più forte rocciatore e alpinista di quei tempi. Giuseppe e Nerina lo perderanno presto purtroppo, Amilcare morirà infatti sul Cervino, insieme ad altri due compagni di cordata, l’8 luglio del 1933. L’opera Grandi imprese sul Cervino esce nel 1934; si tratta del racconto, con toni di coinvolgente sapienza narrativa, di una serie di imprese volte alla conquista di una vetta allora in parte inesplorata, considerata tra le più affascinanti e difficili dell’arco alpino, e definita da John Ruskin “il più nobile scoglio d’Europa”. Mazzotti le descrive con esattezza e vivacità e senza dare particolare rilievo alla propria impresa: nel settembre del 1931, insieme al cugino Enzo Benedetti e a quattro famose guide della Valtournenche, aveva realizzato la prima salita della parete Est del Cervino.

 

Giuseppe Mazzotti con Tita Piaz. © Archivio per la storia dell'alpinismo dolomitico di Bepi Pellegrinon

 

Con La grande parete del 1938, Mazzotti, acquisita ormai un’originale sicurezza stilistica, pubblica la sua prima vera opera narrativa, basata su eventi realmente avvenuti, ma trasfigurati in un vero e proprio romanzo. Le vicende su cui la storia s’impernia sono la sfortunata e tragica avventura alpinistica di Alberto Raho e Corrado Spallanzani, che vi perse la vita. I due aveva tentato senza successo la prima via sulla parete Est di Cima Bagni, nel gruppo del Popera. Ci riuscirono  tempo dopo proprio Mazzotti e Alberto Bertuzzi, e questa impresa è raccontata, con nomi di fantasia, nella seconda parte del libro.

 

La guerra determina una lunga pausa dell’attività alpinistica e letteraria di Mazzotti,  che riprende solo nel 1946, con la pubblicazione nelle edizioni Canova di Treviso di due opere: Introduzione alla montagna e Alpinismo e non alpinismo. Due parti di un solo grande saggio che coglie un’ampia gamma di aspetti - etici, tecnici, culturali e ambientali - della montagna. Il tono e lo stile, a tratti ironico e apparentemente leggero, non devono ingannare, gli argomenti sono affrontati con appassionata competenza e serietà. 

 

Nel 1951 pubblica la sua ultima opera ascrivibile alla letteratura di montagna, la più bella: Montagnes valdôtaines. Storia di una vocazione, accorata e originale biografia di Amilcare Crétier. Nel libro c’è la descrizione di un mondo, di genti e di paesi, scomparso da molti decenni, che Mazzotti ha fatto in tempo a conoscere e a trasmettere a lettori di ogni epoca, e c’è la storia, epica e sfortunata, di un ragazzo coraggioso e di rara sensibilità etica. Quando scomparve, Amilcare aveva solo 25 anni e grandi imprese alle spalle: la Nord Est della Grivola, la Sud del Mont Maudit, la Nord dell’Emilius, la Sud della Aiguille Noire di Peuterey, e, con Lino Binel, la durissima scalata alla Vierge delle Dames Anglaises, oggi Punta Crétier. Di lui Luigi Carrel scrisse: “Era lo scalatore più forte della sua generazione, sarebbe stato l’uomo di punta dell’alpinismo europeo. La sua resistenza fisica era fuori del comune e la sua maestria su roccia e ghiaccio aveva pochi rivali”. Non era solo un grande atleta, studiava filosofia e spesso si portava nello zaino una piccola edizione della Divina Commedia ("portentosa in tutti i momenti della vita", aveva annotato nei suoi diari). Nell’ultima pagina del libro di Mazzotti c’è il ricordo delle esequie di Amilcare e dei due amici, caduti con lui: “V’era un gran silenzio sospeso sulla valle, su tutta la gente scesa dai monti…quella folla muta e attenta cominciò a cantare. Dapprima si udì solo un accenno stonato, poi la voce si fece chiara, prese forza, ne suscitò altre, le trascinò nel canto, le confuse in una grande unica voce…Montagnes valdôtaines, vous ȇtes mes amours…Il canto non arrivò alla fine; non arrivò neppure alla seconda strofa”.

 

Dopo la pubblicazione di quel libro, che ebbe un modesto successo di pubblico, Mazzotti si dedicherà a tempo pieno alla difesa delle bellezze storiche e artistiche del suo Veneto. Muore a Treviso il 28 marzo 1981, riposa insieme a Nerina nel piccolo cimitero di Santa Fosca, a Selva di Cadore, in una valle dominata dall’imponente bellezza del Monte Pelmo.

Amico di Dino Buzzati, sarà dedicatario di una memorabile pagina scritta e disegnata da quest’ultimo. 

 

Le sue migliori opere di letteratura alpina sono state ristampate nel corso degli ultimi vent’anni da Bepi Pellegrinon, nelle edizioni Nuovi Sentieri. Particolarmente interessante quella di Montagnes valdôtaines, arricchita da una bella prefazione di Mario Rigoni Stern, che lo aveva conosciuto per la prima volta nel 1939 in Val d’Aosta, a Cogne, durante delle esercitazioni alpinistico-militari e lo aveva poi incrociato più volte in Veneto, discutendo con lui di letteratura, tutela del territorio e grandi imprese nelle alte cime.

 

Alcuni libri di Giuseppe Mazzotti © Giuseppe Mendicino