Una donna proveniente da una famiglia colta, cresciuta con una ferita dentro, a causa del suicidio del padre e dei problemi di natura psichiatrica avuti da altri parenti. Vive sola con la madre, studia, ma l'ambiente familiare le risulta stretto. Il suo desiderio è quello di trovare un ambiente suo, che è la montagna. Per questo a 27 anni da Galliera, suo paese natale in provincia di Bologna, si trasferisce a Cortina, dove insegna e pratica sci. Su queste montagne vive la Seconda guerra mondiale e prende parte attiva alla Resistenza.
“Il campo rosso” e “I giorni veri”
Questo è il profilo di Giovanna Zangrandi, con il quale Camilla Valletti e Roberta Fornasier hanno iniziato, ieri al Trento Film Festival, l'incontro, organizzato dal Club alpino italiano, dedicato all'autrice de' Il campo rosso (ristampato dal Cai all'inizio di quest'anno) e I giorni veri. Diario della Resistenza (la cui nuova edizione è uscita i giorni scorsi per la collana “Passi” di Ponte alle Grazie e Cai).
«Queste opere hanno una profonda relazione tra loro», ha spiegato Roberta Fornasier, curatrice dell'Archivio Zangrandi. «Dopo la guerra, Giovanna sente un bisogno pressante di parlare degli eventi della Resistenza, essendosi subito resa conto di aver partecipato a un evento straordinario, che meritava una memoria. “Il campo rosso” racconta vicende realmente accadute, a partire dalla costruzione del Rifugio Antelao, ma lo fa in un romanzo che vede fondersi realtà e immaginazione. La memoria resistenziale qui è già presente, ma mediata. Negli anni '60 sente che è venuta l'ora di raccontare le cose come sono realmente successe, e scrive “I giorni veri”, partendo dai diari che aveva compulsivamente scritto in quel periodo. “I giorni veri” viene scritto dopo “Il campo rosso”, ma racconta fatti avvenuti in precedenza».
Giovanna Zangrandi, a cavallo di una cima dolomitica © Archivio Giovanna ZangrandiLa personalità di Giovanna Zangrandi
Oltre ai libri e al modo di scrivere dell'autrice (chiaro e asciutto quando vuole dare una restituzione fedele dei fatti, sofisticato e quasi lirico quando parla dell'ambiente montano e dei suoi compagni partigiani), Valletti e Fornasier si sono soffermate anche sulla sua personalità. Una personalità complessa, dimostrata dalla lunga ricerca di un nuovo nome: Giovanna Zangrandi è infatti lo pseudonimo di Alma Bevilacqua, inoltre durante la Resistenza il suo nome di battaglia è stato Anna.
«Volendo rimuovere la propria infanzia per costruirsi una propria identità forte con la Resistenza, con la ricerca di un nuovo nome la Zangrandi mostra la volontà di dare un senso a se stessa e alla sua scrittura», ha spiegato Camilla Valletti. «Zangrandi è un cognome tipicamente cadorino. Questa scelta mostra l'intenzione della scrittrice di identificarsi con questa gente di montagna, con la quale vuole vivere. Anna è invece il suo nome di battaglia, con il quale identifica una fase cruciale della propria vita che l'ha segnata nel profondo. Si farà chiamare Anna anche dopo la guerra, come del resto successe con molti altri partigiani», ha aggiunto Roberta Fornasier.
Le due relatrici hanno infine dialogato sulla forte coscienza politica della Zangrandi, che però non la portò mai a una militanza partitica, e alla sua idea di femminilità. Una femminilità che era presente in lei nel senso quasi tradizionale del termine (avrebbe voluto avere dei figli, un marito e una casa di cui prendersi cura), ma che contrasta con l'esistenza che ha scelto di vivere.
«È stata una donna autonoma, affrancata dalla vita domestica e dalla presenza maschile, intraprendente, che non ha avuto bisogno di nessuno per essere se stessa. Esiste dunque uno scostamento tra il suo ideale e la concretezza della sua vita».
La presentazione si è conclusa con il saluto del Direttore editoriale del Cai Marco Albino Ferrari e del presidente del Centro operativo editoriale Alessandro Pastore, che hanno spiegato come il Club alpino italiano sia stato felice di annoverare la Zangrandi nel pantheon delle propre autrici.
La presentazione di "Montagna si scrive stampatello" al Trento Film FestivalMontagna si scrive stampatello
Ieri a Trento il Club alpino italiano ha organizzato anche la presentazione del nuovo romanzo per ragazzi Montagna si scrive in stampatello di Davide Longo, appena uscito per la collana “I caprioli” coedita con Salani Editore.
«"Montagna si scrive stampatello" è la storia del piccolo Davide, di nove anni, che viene portato dalla madre sulle Dolomiti per fare il primo trekking della sua vita», ha spiegato Longo. «Le montagne sono per lui un luogo estraneo ed esotico, anche la madre del resto non ha molta familiarità con le cime. Sono due outsider della montagna dunque, che si lanciano in questa impresa un po' per svagarsi, un po' per ritrovare se stessi, un po' per cementare il rapporto tra di loro, date le difficoltà familiari vissute nell'ultimo anno. Il libro è una storia di musica, di montagna e di incontri con diverse persone durante questo piccolo viaggio».
L'autore ha intrattenuto i ragazzi presenti leggendo passi del romanzo, chiedendo loro di fermarlo quando veniva letto il nome di un elemento presente nelle immagini proiettate sullo schermo. A indovinare la maggior parte dei nomi, per la cronaca, sono state Margherita (9 anni) e Alice (7).
La presentazione de' "Il grande cielo" al Trento Film Festival © CaiIl grande cielo
Gli eventi editoriali del Cai al Trento Film Festival si sono completati con la presentazione de Il grande cielo. Educazione sentimentale di un escursionista di Alberto Longo (Ponte alle Grazie – Cai, 2023) dell'altro giorno in Piazza Duomo.
«Questo libro vuole rendere ragione di un amore per la montagna che mi ha sempre dominato. A ogni svolta della mia esistenza ho trovato una motivo in più per essere affezionato, innamorato e anche sfidato dalle Terre alte. “Il grande cielo” è proprio questo, non è una guida e non ha nulla a che fare con l'alpinismo in senso stretto. Sono comunque presenti tanti luoghi, di cui ha avuto un'esperienza escursionistica diretta o che ho raccontato servendomi della grande immaginazione che credo mi caratterizzi».
Per Alberto Rollo l'escursionista è essenzialmente una persona che vuole conoscere, la lentezza della frequentazione è dunque imprescindibile.
«Non bisogna correre perché non tutto va misurato. La competizione in molti casi è formativa, ma competere con il concetto di tempo in generale è una filosofia che non mi emoziona».
Durante la presentazione di Trento Rollo ha anche paragonato le montagne agli eroi omerici, che resistono contro le aggressioni ambientali e, certe volte, cadono sconfitte.
«Possiamo citare come esempio il Vallone delle Cime Bianche, una delle ultime valli prive di impianti di risalita, che da diversi anni cercano di colpire, simbolicamente con una lancia, con progetti di infrastrutturazione».