Gianni Comino, nostalgia di felicità

 

Grassi, Casarotto e Comino sulla terrazza del Rifugio Monzino

Il monregalese Gianni Comino è un ragazzo serio e gentile, e porta gli occhiali. Lo diresti uno di quegli studenti un po’ timidi e un po’ secchioni che fanno la gioia di mamme e papà, e invece cova una passione nascosta e un’intelligenza eccezionale. Parla poco, ma quando lo fa non gli esce mai una parola scontata. Scopre presto le montagne di Cuneo e matura come alpinista sulle Alpi Marittime, vicino a casa, scalando in ogni stagione; si avvicina gradualmente ai grandi itinerari, dimostrando il proprio talento nel 1978 con la prima ripetizione solitaria del Supercouloir di Boivin e Gabarrou al Mont Blanc du Tacul. Una via che all’epoca è ancora un tabù. Presto si lega al valsusino Gian Carlo Grassi, che per carattere è quasi il contrario di lui, e cominciano a esplorare i territori proibiti del ghiaccio con le nuove piccozze da piolet-traction. Nel 1978 lasciano la prima firma d’avanguardia sull’Ypercouloir delle Grandes Jorasses, in pieno versante sud, dove superano tratti di cascata verticali o addirittura strapiombanti correndo di notte per precedere il sole. Lo stesso anno, con Renato Casarotto, inventano una via bella e quasi inverosimile sulla parete nord dell’Aiguille Verte, la guglia di Edward Whymper. Nel 1979 affrontano due seraccate da cui gli alpinisti di ogni tempo si erano sempre tenuti a debita distanza: il seracco aggettante del Col Maudit (l’antico “colle maledetto” del Monte Bianco) e il seracco di sinistra della Poire, la Pera, sulla pericolosa parete della Brenva.

 

Il 28 febbraio 1980 Comino riparte per un progetto ancora più azzardato e visionario: lo spaventoso colatoio racchiuso tra gli speroni della via Major e della Poire, sempre sulla Brenva del Monte Bianco. È una specie di roulette russa tra le barriere in bilico dei seracchi che sbarrano il cammino e possono precipitare con schianto improvviso anche nel pieno rigore dell’inverno. Ormai vicino all’uscita dal gelido imbuto, proprio dove la cupola del Bianco scintilla e luccica come una chimera, il solitario alpinista che stava per diventare medico viene colpito da una scarica di ghiaccio e precipita.

L’amico Grassi scrive commosso: «Una storia di seracchi, una scalata in apparenza un po’ pazza e posta ai confini di un mondo proibito. Ambiente irreale e inafferrabile nella sua irrazionalità. Scontro di sensazioni opposte. Spirale di follia. Una storia di due uomini che, in fondo, cercavano soltanto di raggiungere la vetta del proprio io, alla ricerca di quella nostalgia di felicità che è in tutti noi».