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Giacomo Meliffi non ha perso il "vizio" di viaggiare e in questi giorni è in partenza per il Sudamerica: a fine gennaio si unirà al CAI Eagle Team per la spedizione patagonica e così ha deciso di anticipare i tempi. Prima di fare tappa a El Chalten, esplorerà a cavallo il Cile, in un territorio per lui nuovo e di grande fascino. "Non sono mai stato in Sudamerica e così ne approfitto per vedere un po' quel che c'è, senza impegnarmi però troppo nell'arrampicata, non voglio arrivare in spedizione spompato. Vado con la ragazza per scalare, ma soprattutto per viaggiare. Per quanto riguarda la spedizione, per me la Patagonia è una terra di grandissimo fascino: Maestri, Bonatti, la prima salita al Torre, la via dei Ragni e poi la schiodatura del Compressore, la salita del mitico David Lama, fino ad arrivare a Brothers in arm, quella montagna ha moltissimo da raccontare. Ma anche la traversata di Villanueva, la prima invernale in solitaria di Leclerc alla Torre Egger. Difficile scegliere qualcosa, avere un sogno specifico, tutto quello che è acaduto lì è leggendario".
C'è qualcosa che ti attira di più, che senti più vicino alle tue possibilità?
Un po' per scaramanzia, un po' per indicazioni ricevute e un po' per realismo, di obiettivi non si può parlare. Molto dipenderà anche dal meteo, che lì conta all'80% in quel che riesci o non riesci a fare. Nel mio mondo ideale Fitz Roy, Cerro Torre o Torre Egger hanno un posto speciale, ma va bene anche una linea nuova da qualche altra parte. Non credo però che andremo verso quella direzione.
Come ti sei preparato?
Mi manca un po' di misto ed è la parte che mi preoccupa di più. Di solito comunque scalo con Marco Cordin e da quel punto di vista lui è una bestia!
In compenso sulle fessure ti sei impegnato...
Sì, recentemente sono riuscito a chiudere Greenspit, che per me è stata prima un sogno e poi un obiettivo, faceva parte di un percorso. E poi sono andato con Silvan Shupbach in Ticino ad aprire una via, ma non l'abbiamo finita. Siamo circa a metà, vederlo all'opera è figo, si impara davvero molto. Abbiamo messo 4 spit su 5 tiri, niente soste. Sono quasi 200 metri, tutto granito. Insomma, qualcosa ho fatto.
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Il CAI Eagle Team ha messo fine al tuo periodo "nomade"?
In realtà quando sono entrato nel team mi ero già "fermato", perché stavo facendo il corso guide. All'inizio ero indeciso, avevo già un bell'impegno. Sono entrato senza aspettative ma ho avuto la possibilità di imparare tanto. Avevo viaggiato molto, ho vissuto senza avere un luogo fisso e ho potuto scalare un po' dappertutto in Europa. Ma poi mi fermavo in Valle d'Aosta per l'inverno. Ho lavorato nelle baite e anche in estate sono tornato da queste parti per la raccolta della frutta. Ora mi sono fermato in Val d'Ossola, qui lavoro come guida, mi piace. Il mio Ducato comunque c'è ancora: ha 670mila chilometri, di cui 400mila fatti da me!
Non hai viaggiato solo in furgone, a ogni modo.
No, per esempio questo inverno con Dario Eynard siamo andati nel parco del Sarek, nella Lapponia Svedese. 8 giorni di treno tra andata e ritorno, quando siamo scesi dal treno eravamo piegati in due a forza di dormire seduti...poi abbiamo fatto 10 giorni di traversata, 165 chilometri con 40 chili a testa da trainare. Non abbiamo fatto molto dislivello ma è stata un'avventura, la prima notte abbiamo incontrato i lupi. In tutta la traversata abbiamo incrociato solo un altro gruppo, eravamo in totale autosufficienza.