Un nuovo metodo promette di rivoluzionare l’esperienza dell’Everest: scalare la montagna più alta del mondo in appena una settimana grazie al gas xenon. Proposto da Lukas Furtenbach, guida alpina e leader di Furtenbach Adventures, il metodo prevede l’uso di questo gas per stimolare la produzione naturale di eritropoietina (EPO). Sicuramente ne avrete sentito parlare nel mondo del ciclismo e dello sport, quale sostanza vietata. Si tratta infatti di un ormone che aumenta i globuli rossi, migliorando così la capacità del corpo di gestire l’altitudine senza acclimatazione naturale.
Cos’è lo xenon e come agisce
Lo xenon è un gas inerte talvolta usato come anestetico. Tuttavia, ha un effetto collaterale significativo: stimola il corpo a produrre rapidamente più EPO, senza ricorrere a versioni sintetiche dell’ormone. Questo porta a una sorta di "acclimatazione chimica" che elimina i tempi necessari per adattarsi all’altitudine. Nel caso del piano di Furtenbach, i clienti voleranno a Kathmandu, riceveranno il trattamento in una clinica e procederanno direttamente verso l’Everest, riducendo la scalata a tre giorni per la salita e uno per la discesa.
Furtenbach sostiene che l’obiettivo principale di questo metodo sia la sicurezza: “Meno tempo in alta quota significa meno rischi di edema polmonare o cerebrale, meno possibilità di congelamento, meno esposizione ai pericoli”. Tuttavia, il metodo solleva molte domande. A partire dal fatto che la WADA (Agenzia Mondiale Antidoping) considera lo xenon una sostanza vietata negli sport professionistici.
Alpinismo: sport o no?
Ma l’alpinismo non è uno sport e non ha regole, o almeno così ci piace pensare. Quando si sale in quota non esistono regole scritte e non ci sono canoni etici da rispettare, se non quelli che ci autoimponiamo. Soprattutto non esistono regole formali sul doping. Furtenbach stesso ha dichiarato che non ritiene applicabile il concetto di doping al suo lavoro: “L’alpinismo non è uno sport, quindi tecnicamente non esiste il doping”.
Eppure, non è così semplice. Se il gas xenon è vietato negli sport professionistici perché considerato un miglioratore delle prestazioni, perché non dovrebbe esserlo anche in una disciplina come l’alpinismo, dove l’uso di tale tecnologia porterebbe a un beneficio rispetto a chi sceglie un approccio tradizionale? Raggiungere una vetta, soprattutto a ottomila metri, spesso porta con sé non solo il coronamento di una passione alpinistica, ma anche un successo in termini economici, grazie a sponsor e riconoscibilità mediatica. Possiamo quindi paragonare (con le dovute differenze), il successo nella scalata di un Ottomila come la vittoria di una medaglia d’oro. In questo contesto come si inserirebbe l’uso dello xenon?
Senza dimenticare quelli che sono i costi di questa operazione. Parliamo di circa 154mila dollari per una spedizione all’Everest, con una sessione di xenon a 5mila dollari. Una cifra che crea una divisione ancora più netta tra chi può permettersi il successo "facilitato" e chi deve affrontare l’Everest con le proprie forze.
Il superamento del limite
L’alpinismo commerciale, soprattutto sull’Everest, sembra essere arrivato a un punto critico. Una montagna che nell’immaginario collettivo rappresenta il culmine dell’avventura, si è trasformata in un’industria dove la vetta è diventata un prodotto da acquistare al miglior prezzo. L’uso dello xenon è solo l’ultimo esempio di un sistema che si muove sempre più verso l’eliminazione dell’incertezza, e quindi dell’essenza stessa dell’avventura.
Se è vero che l’alpinismo non è uno sport nel senso tradizionale, forse è arrivato il momento di iniziare ad indicare una strada etica da rispettare. L’uso di sostanze come lo xenon apre la strada a nuove domande: fino a che punto siamo disposti a spingerci per rendere una scalata “più sicura” o “più veloce”? E quanto stiamo sacrificando in termini di esperienza autentica e spirito di avventura? Stiamo correndo il rischio di trasformare vette come l’Everest in trofei da esporre, privandole del loro significato più profondo.