Ci sono un prima e un dopo nella vita di Gary Hemming, scalatore californiano, classe 1934, sempre un passo avanti agli altri. Lo spartiacque è il 1966, quando Gary ha appena perso l’amico John Harlin sull’Eiger, ha lasciato da cinque anni gli Stati Uniti per stabilirsi in Francia e ha firmato due grandi vie sul Monte Bianco: la diretta americana al Petit Dru (con Robbins) e la parete sud dell’Aiguille du Fou (con Harlin, Frost e Fulton). Conduce vita raminga senza fissa dimora, dormendo talvolta sotto i ponti della Senna a Parigi, oppure a Grenoble dalla madre di suo figlio, o in tenda sotto il Bianco, a Chamonix. È alto un metro e novanta, è bello, sensibile, trasandato e insoddisfatto. Quando è in parete vorrebbe essere giù, quando è a Parigi, o a Stoccolma, progetta una guida per gli alpinisti persi nelle grandi città. Ovunque si trovi accumula appunti di vita per farne un libro. È molto angosciato dalla guerra del Vietnam, ma si sente un fuggitivo perché non è a Berkeley a gridare con i pacifisti.
L’estate del 1966 è orribile, sembra autunno, eppure i giovani Schriddel e Ramisch si avventurano sulla parete del Petit Dru, la guglia più fantastica del Monte Bianco. Dopo giorni di scalata precaria, sono inchiodati dal maltempo e dall’inesperienza sopra settecento metri di vuoto. Il dramma entra nelle case dei francesi, giornali e televisioni s’incollano alla gigantesca operazione di soccorso. I militari scelgono la via normale del Dru, la più facile ma eterna, le guide tentano da nord. È tutto inutile. Un soccorritore muore impiccato. A salvarli con un’operazione mediatica di enorme effetto è il commando ribelle di Gary Hemming e René Desmaison, che osano salire e scendere direttamente per la parete. Grazie alle capacità alpinistiche e allo spirito sfrontato e visionario, i “pirati” canzonano l’impegno dei militari e delle guide, rappresentanti delle istituzioni. È lo sfacciato annuncio del Sessantotto.
Quando scende dall’elicottero schivando gli obiettivi, Hemming è un’icona di futuro. Tutti vedono la sua faccia da star, tutti adorano il beatnik americano, l’angelo biondo, l’uomo della frontiera. Il guru del giornalismo Pierre Joffroy lo convince a scrivere un articolo sul salvataggio, che esce in prima pagina su Paris-Match. Gli occhi celesti di Gary bucano la copertina, ma lui è troppo fragile per aggirarsi tra le luci e i veleni dei palcoscenici. L’ipocrisia lo uccide: «Io sono quello che ero prima. Perché allora nessuno si accorgeva di me?». Con il prodigioso soccorso del 1966 arrivano la consacrazione dell’eroe e il declino dell’uomo, che non regge la notorietà; scala sempre meno, scrive, sbanda, si perde nella solitudine. Muore nell’agosto 1969 sulla riva del lago Jenny in Wyoming, dopo una volgarissima rissa. Terrorizzato dalla violenza che si è scatenata in lui, ruota la canna della pistola e la volge contro di sé.
L'Aiguilles de Dru, teatro dello spettacolare salvataggio che vide Hemming protagonista © Wikimedia Commons