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Paura, povertà, solitudine, ma anche solidarietà. Sono alcuni dei densi sentimenti che attraversano Fuga nella neve, l’ultimo libro di Sofia Gallo (pp. 208, 14,90 euro, Salani 2024), tratto da alcuni ricordi di famiglia. La storia è quella di due cuginetti torinesi in fuga dalle leggi razziali nel periodo del 1943-45: anni terribili di povertà nera e sofferenza, ma in cui non tutti persero il senso di umanità e riuscirono a fare la cosa giusta non “perché sono ebrei”, ma “perché sono bambini”. Il romanzo, indicato per giovani adulti ma che sa parlare a tutte le età, si legge col fiato sospeso fino alla fine, fra colpi di scena, separazioni strazianti, fughe gelate nella neve, per riprendere il titolo. I giovani protagonisti lo pervadono con il loro punto di vista, mentre la grande storia – gli invasori nazisti, le lotte partigiane, la guerra – rimane in sottofondo. Sofia Gallo è una scrittrice torinese davvero prolifica, tanto che è già al lavoro su un’altra opera, Un anno da favola, dove torna a raccontare le vicende di una classe delle scuole medie, come già in Io e Zora, forse il suo maggior successo, seguito a breve distanza da Un’estate in rifugio, pubblicato da Salani e CAI nel 2021.
Nei suoi libri prendono forma narrativa temi pescati dal pulsante mondo delle emozioni dell’infanzia e dell’adolescenza calate nella storia di oggi e di ieri (il rapporto con compagni di altre culture, con genitori in galera, con l’alimentazione, l’affermazione delle giovani donne, la guerra), la mitologia, e soprattutto molte storie raccolte durante i suoi numerosi viaggi intorno al mondo, anche con piccole organizzazioni solidali, che hanno arricchito la sua naturale propensione al confronto con le altre culture, sviluppando in lei una fiducia di fondo nel prossimo, per quanto diverso. Per questo non ha paura di toccare argomenti difficili e di attualità, come l’immigrazione e l’integrazione sociale, che affronta anche direttamente con gli studenti nei laboratori che porta in giro per le scuole di ogni ordine e grado, lei che per anni ha fatto l’insegnante di lettere, mentre provava ad affermarsi come scrittrice («ho appena buttato via un plico di rifiuti» scherza)
Sofia Gallo durante la presentazione di “Un'estate in rifugio” (Salani-CAI), a maggio 2023.Sofia Gallo, nei suoi libri si toccano tanti temi impegnati, è la prima volta che affronta le leggi razziali?
È la prima volta che parlo di Seconda guerra mondiale, anche se non ho scritto questa storia pensando alla Giornata della memoria. Tutti i miei libri nascono infatti da mie esperienze personali: da persone incontrate nei luoghi dei miei viaggi, dalla mia partecipazione emotiva come i libri sul Cile e gli anni ’70 (La lunga notte, 2013, e Diritto di volare, 2022, NdR). O da ricordi di discorsi fatti in famiglia, come questo, anche se i miei non ne parlavano mai volentieri. Ma riportare la memoria famigliare era proprio quello che volevo fare, anche se mi mancano dei pezzi, e in ogni caso ho rivisitato tutto in modo romanzesco.
Quale fu l’esperienza della sua famiglia durante la guerra?
La casa di mio padre a Torino era stata distrutta dai grandi bombardamenti del 1943 e quindi era sfollato a Lanzo dove avevano una casa di campagna che fu poi requisita dalla Gestapo per farne un centro operativo, come pure la fabbrica tessile fondata dal mio prozio e impiantata a Chivasso fin dall’inizio del ‘900. Chivasso era un importante snodo ferroviario e dunque era fortemente presidiato dai tedeschi. Nella villa nascosero la famiglia di un suo caro amico e la aiutarono poi a fuggire in Svizzera appoggiandosi alla baita che mio nonno aveva in Valle d’Aosta, anche se so che quella storia non è andata a finire bene, perché il contatto in Svizzera si rivelò fasullo. Furono tutti deportati e morirono in un campo di concentramento, tranne la figlia più giovane. A Lanzo comunque incontrò mia madre, anche lei sfollata da Torino. Da giovane ho fatto escursioni in quella zona, ho citato Usseglio perché è quella che preferisco. E sono tornata prima di scrivere il libro per verificare che la mia memoria corrispondesse alla realtà, constatando che quelle valli, dove ci fu una forte organizzazione partigiana, sono cambiate davvero poco. Molti elementi di quella memoria sono nel libro: se le mie figlie avranno la pazienza di leggerlo ci troveranno una parte di vita famigliare.
Ecco, al di là della finzione, quella delle leggi razziali e delle deportazioni nei lager non è una storia a lieto fine, come si fa a trovare le parole giuste per raccontarla ai più giovani?
Per coinvolgere un pubblico giovane ho messo dei protagonisti giovani: Lidia e Angelo, di 7 e 11 anni, con il loro modo da bambini di vedere il pericolo e vivere la separazione dai genitori, e Marcello e Chiara un po’ più grandi. Loro sono inventati, ma il filo della narrazione è quello dei ricordi: la Torino di Corso Gabetti col ghetto, le persecuzioni avvenute lì, genitori di amici che dovettero nascondersi, Castagneto Po dove c’era mio zio, Lanzo, Chivasso e infine le montagne della Val d’Aosta sono una linea d’ambientazione che fa parte dei luoghi della mia infanzia. Scrivere è sempre un processo visivo.
Sofia Gallo al Salone del libro di Toino 2023, durante la presentazione del libro dedicato alla prima donna a salire sull'Everest, Junko Tabei (edizioni Solferino).Qual è il suo itinerario d’autore nei luoghi del libro?
Il panorama che si gode da Castagneto Po è meraviglioso, è un borghetto dall’alto che travalica con lo sguardo tutte le valli del Piemonte fino al Monviso. Si può partire da Usseglio da dove si dipartono le tre valli di Lanzo, che è un grosso paesone, si prende la Valle di Viù, per Usseglio, verso il Lago Manciaussia, c’è un rifugio in fondo, la diga esisteva già da prima della guerra, è un posto magico perché la valle non è più accessibile con i mezzi. Là ci sono anche vie alpinistiche che faceva mio nonno. Bellissima l’escursione al Pian della Mussa, da fare anche con gli sci da fondo. Sono meravigliose valli alpine rimaste ferme nel tempo, come la Val Formazza.
Il finale aperto, incerto e non buonista, riesce a offrire uno spiraglio di speranza, qual è il messaggio che lascia ai suoi lettori?
Mi piaceva fare emergere il senso di umanità e generosità anche gratuita di persone normali, non necessariamente schierate ideologicamente, che sentono la missione di salvare questi due bambini perché sono bambini, non serve sapere altro. Questo è il messaggio che voglio dare: che i sentimenti di umanità, comprensione e protezione, specialmente nei confronti dei bambini e dei ragazzi, sono fondamentali, perché sono sempre loro le vittime prese in mezzo in modo ingiusto dalle vicende dei grandi. E poi volevo mettere in luce che la persecuzione ha colpito a largo raggio, per cui c’è anche una ragazzina sinti a cui hanno sterminato la famiglia. Senza dimenticare la crudeltà dei bambini, per cui è sempre tutto bianco o nero e che qui invece imparano che anche una bugia si può dire se serve a salvare una persona, grazie agli adulti di riferimento che li circondano con il loro esempio positivo. Mi è venuto naturale costruire i miei personaggi, li vedo, nella loro povertà estrema delle campagne torinesi degli anni ’30 e ’40, o con le loro emozioni di giovani adolescenti, i primi amori, i loro desideri giusti: scrivo “non volevano essere né buoni né cattivi, ma solo dei bambini e questo era loro negato”.
Che riscontro si aspetta dai ragazzi?
Non ho ancora fatto presentazioni perché il libro è appena uscito. In genere fanno tante domande, si immedesimano molto, se leggono, me lo auguro perché c’è tanto di trasponibile all’oggi, il senso di umanità, la necessità di scappare e nascondersi, lasciando tutto, sperando che qualcuno ti aiuti. Capire che l’umanità non è tutta cattiva e non bisogna avere paura di quello che è fuori, sconosciuto, diverso. Bisogna recuperare la fiducia nell’altro e l’ottimismo nelle relazioni umane, che vanno curate, non possiamo vivere senza, restando attaccati alla virtualità di un like. Questo è un libro di piccole cose, di piccoli gesti. Non ci sono eroi, ma persone che si sono mosse per istinto, per bontà, senza vantarsi, queste storie sono venute fuori decenni dopo. Quanto manca questo oggi, quanta poca abitudine alla solidarietà anche nelle cose di tutti i giorni, sembrano tutti concentrati su se stessi. Invece si può chiedere aiuto, nei miei viaggi l’ho sempre fatto.
Quanti paesi ha visto? Ha in programma un nuovo viaggio?
Ne ho visti decine, ma oggi è più difficile, il mondo è sempre più nemico, spaccato, in guerra: il conflitto arabo-palestinese è devastante da ogni punto di vista. Violenza chiama violenza. Prima della pandemia eravamo stati in Romania, Moldavia, Ucraina, negli anni sono stata in Cina due volte, nel deserto del Wadi Rum, a Palmira, in Turchia, in Giordania. A breve non partirò, ma sempre di più mi piace andare dove c’è qualcuno che conosco, amici, parenti che mi possano mostrare un luogo con i loro occhi, quindi punterò al nord della Scozia, o in Kenya. I luoghi che si trovano nei miei libri io li ho visti tutti, ci sono le facce e i sorrisi delle persone che ho incontrato.
Sofia Gallo a Biella, marzo 2022.