Fosco Maraini, il citluvit che amava la montagna

Vent'anni fa ci lasciava lo scrittore, orientalista e alpinista fiorentino, nato il 15 novembre 1912. Una mostra ne celebra il talento fotografico, mentre in libreria arrivano le foto della spedizione al Gasherbrum IV del 1958.
 

Chi bazzica il CAI forse associa di primo acchito il nome di Fosco Maraini all’arcinota “Relazione dei tre saggi” con cui il Club Alpino pose fine alla decennale e dolorosa polemica con Walter Bonatti, nata in seno alla prima salita al K2, nel 1954. O forse alla spedizione al Gasherbrum IV del 1958 guidata da Riccardo Cassin. Ma questi fatti raccontano solo un frammento della vastissima attività dello scrittore, poeta, antropologo, orientalista, fotografo, esploratore e alpinista fiorentino, nato il 15 novembre 1912, e morto nel 2004.

Basterebbe il nutrito elenco di termini che lo qualificano a capire quanto estesi fossero i suoi interessi. Una personalità che sfida la nostra epoca in cui, come si legge nel Viaggiator curioso, una conversazione con Maria Pia Simonetti che ne costituisce una sorta di testimonianza finale (Passigli 2001), sembra necessario avere invece un’etichetta precisa.

 

Il Citluvit

Maraini fu innanzitutto una persona curiosa, un viaggiatore, un esploratore di luoghi e di anime. Un «citluvit», come amava definirsi lui: Cittadino Luna Visita Istruzione Terra.

Era nato a Firenze, ma da padre di provenienza ticinese e da madre ungherese di origine polacca. Era bilingue italo-inglese e in famiglia respirava un clima intellettualmente vivace. Si iscrisse alla facoltà di Scienze naturali, ma fin da subito fu attratto dall’Oriente: fu una delle sue grandi passioni. Come partì la prima volta per il Tibet è sintomatico del suo modo di essere: era da poco finito il Capodanno 1937, passato a sciare a Misurina, nelle Dolomiti, quando da un trafiletto del giornale con cui aveva avvolto gli scarponi apprese che il noto orientalista Giuseppe Tucci stava per imbarcarsi per la sua sesta spedizione in Asia. Il giovane Fosco scrisse al grande professore proponendosi come fotografo: fu così che fu catapultato nel mondo himalayano, «eccessivo, gigantesco, titanico e satanico insieme», in contrasto con la sua popolazione fragile e bonaria. Quel mondo che sarebbe stato descritto da Tucci in un’opera culto come Segreto Tibet, tutt’oggi ristampata. 

Fu solo il primo di una lunga serie di viaggi in giro per il mondo (ancora in Tibet nel ’48, poi a Gerusalemme, in Giappone, in Corea, in Karakorum, in Hindu Kush e Asia centrale), a fotografare luoghi remoti, a documentare usanze e civiltà ormai scomparse. Come avrebbe fatto 20 anni dopo anche Mario Fantin, il cineasta di Italia K2, con la sua telecamera. 

Il Giappone gli rubò il cuore: vi si trasferì con la moglie, la pittrice siciliana Topazia Alliata, sposata nel ’35, e con le tre figlie, Dacia, Yuki e Toni, insegnando in università. Ma quando ci fu da scegliere se aderire alla Repubblica di Salò, dopo l’8 settembre 1943, Maraini e Topazia si rifiutarono. Il Giappone era alleato con i tedeschi e per questo tutta la famiglia fu internata in un lager a Nagoya: spesso Dacia Maraini (nata nel ’36) ha ricordato e scritto della fame atroce subita in quei due terribili anni passati da prigionieri politici. Per fortuna sopravvissero tutti e dopo la guerra tornarono a Firenze, dove Maraini ottenne la cattedra di Lingua e letteratura giapponese. Fu anche ricercatore a Cambridge e in generale fu uno dei massimi conoscitori della cultura degli Ainu, una popolazione del Giappone settentrionale.

Le fotografie del Gasherbrum IV, in libreria dal 27 novembre.

 

La passione per l'alpinismo

Quando nel 2004 redasse, con Luigi Zanzi e Alberto Monticone, la nota relazione poi pubblicata nel 2008 col titolo di K2 – Una storia finita, Maraini conosceva Bonatti da quasi 50 anni: nel 1958 avevano fatto parte della spedizione al Gasherbrum IV, in Karakorum, guidata da Riccardo Cassin, riuscita grazie all’exploit proprio di Bonatti e Carlo Mauri, che salirono in cima a quel gigante di quasi ottomila metri. 

Maraini già aveva visitato luoghi simili, brulli, selvaggi, remotissimi, ma fu la prima volta a quelle quote. Ci sarebbe tornato ancora l’anno dopo con il CAI Roma, partecipando alla spedizione al Saraghrar Peak (7350 m, nell’Hindu Kush pakistano), guidata da Franco Alletto e Paolo Consiglio. Relazionò entrambe le spedizioni con parole e fotografie, alla sua maniera del tutto insolita: Gasherbrum 4°. Baltoro, Karakorum (1962) e Paropamiso (1963). Fra poco sarà disponibile in tutte le librerie il racconto fotografico Gasherbrum IV – La montagna lucente, a cura di Alessandro Giorgetta, che accoglie molte delle fotografie non pubblicate all’epoca della prima relazione.

Quelle esperienze furono il coronamento di una passione coltivata fin dall’adolescenza: aveva arrampicato sulle Alpi Apuane, poi sull’Appennino Tosco-Emiliano e poi da grande ovviamente sulle Alpi Giapponesi e sul Monte Fuji. In Dolomiti scalò niente di meno che con Emilio Comici e Tita Piaz. All’Etna dedicò il breve documentario Etna, mare e neve, presentato al Trento Film Festival nel 1952, dove si può ammirare un Fosco gioioso che scende con gli sci dalle pendici del vulcano, per poi andare in immersione nell’antistante mare: «Vecchio Etna prodigioso, soltanto su di te è possibile conquistare una vetta la mattina con gli sci e la sera scendere a caccia sottomarina nei fondali ai tuoi piedi».

Dev’essere vero che il primo amore non si scorda mai, perché Fosco tornò sulle Apuane ormai anziano, con l’amata Mieko, sposata nel ’70 dopo la separazione da Topazia. La loro casa di Molazzana, in località Alpe di Sant’Antonio (Lucca), nel luglio 2023 è diventata il centro del parco culturale «Le Apuane di Fosco Maraini», promosso dal CAI Toscana, in presenza del Presidente Generale Montani e della stessa Mieko.

La casa di Fosco e Mieko in Garfagnana. Foto Lo Scarpone.

 

Fotografo dell'anima

Alla fotografia si diede, per sua ammissione, non sapendo disegnare bene come suo padre Antonio, scultore. Nelle istantanee – bellissime, variegate, a tratti inaspettate –, è impressionata tutta la sua vita. Molte si possono ammirare nella bella mostra intitolata «L’immagine dell’empresente», a cura di Francesco Paolo Campione, la più grande retrospettiva su di lui allestita al Musec di Lugano fino al 19 gennaio 2025, a 20 anni dalla sua scomparsa: oltre a quelle, che ci si aspetta, dell’Oriente, degli Ainu giapponesi, delle grandi montagne himalayane e così via, ce ne sono altre meno note: quelle ad Anna Magnani, sua grande amica (Fosco fu secondo cameraman e fotografo di scena del film Vulcano, 1950), o il reportage allo stabilimento delle Falck di Sesto San Giovanni nel ’56, che fa il paio con i documentari realizzati alla centrale geotermica di Larderello (Pisa), allo stabilimento siderurgico Ilva di Bagnoli (Napoli) o ai cantieri navali di Trieste. 

A lasciare un senso di tenerezza, oltre all’ammirazione, sono i ritratti delle nuvole. Avranno tutti fatto per una volta quel gioco, da bambini o anche poi, di riconoscere negli ammassi bianchi del cielo una qualche forma di senso compiuto e di fantasticarci. Maraini eresse a teoria quella fascinazione atavica, tanto da scriverci una sorta di trattato: i Principii di Nubignosia (1956), con la classificazione in «iperionti», «perionti», «iponti». Non mancò a Fosco la fantasia, come si capisce anche dal libro Gnosi delle fanfole (1966), ripubblicato nel 2019 a cura della figlia Toni. La quale da lì attinse, nel giorno del suo funerale, un passaggio del suo discorso funebre: «Non siamo tutti simili a bottiglie/ ripiene di ricordi e cronicaglie? (…) poi un giorno la bottiglia si tracassa/ il vetro si sbiréngòla nel sole». Spiegò Toni che quel verso, preso dalla fànfola Bottiglie, «riassume in modo esemplare la “struggente domanda” sull’essere al mondo sottesa in molti versi e scritti di mio padre». Dopodiché Fosco fu inumato nel cimitero dell’Alpe di Sant’Antonio in Garfagnana.

Uno scorcio della mostra sul Maraini fotografo al Musec di Lugano. Foto dal sito del Museo.