Federica Mingolla sul K2 © Federica MingollaTorinese di nascita, valdostana d’adozione, Federica Mingolla vive di montagna. È la sua professione, come guida alpina, ma è anche e soprattutto la sua passione, quella che la porta a mettersi costantemente in gioco con progetti ambizioni, ma anche con sfide per lei completamente nuove. È stato così nel caso della spedizione “K2 70”, che l’ha vista protagonista insieme a Silvia Loreggian del tentativo di vetta, poi abortito a campo 3. “Per me è stata un’esperienza completamente diversa rispetto a quelle vissute nel corso delle spedizioni precedenti” ci racconta. “Ho sempre vissuto esperienze più improntate sull’alpinismo su roccia, in verticale, scalando in libera. Qui è stata tutta un’altra storia”.
Federica, com’è stato ritrovarsi al cospetto del K2?
È stato emozionante, devo dire che al primo impatto mi ha molto emozionata, sia per la sua difficoltà, sia per la sua bellezza. Dopo poi, quando abbiamo iniziato a muoverci sulla montagna, ho preso consapevolezza di cosa stessi facendo: qualcosa di possibile. Sicuramente pensavo di acclimatarmi meglio rispetto a quello che è stato in realtà.
Tutte ci avete parlato degli aspetti legati all’acclimatazione. Quali sono state le difficoltà?
Penso che l’acclimatazione sia l’aspetto più difficile per un neofita. Alla fine l’unica vera finestra di bel tempo che abbiamo avuto è stata quella in cui abbiamo effettuato il tentativo di vetta. Il resto della spedizione l’abbiamo vissuta con la presenza quasi continua di forte vento e continue nevicate, condizioni che hanno reso complicato acclimatarsi.
Nel tuo caso cosa sei riuscita a fare?
Io sono riuscita a salire fino a campo 3 e poi ho raggiunto i 7000 metri, con Silvia, un paio di giorni prima di effettuare il tentativo di vetta. Ricordo che in quel momento, quando ancora eravamo sulla montagna, la finestra non era ancora certa. Infatti eravamo molto tranquille e rilassate, dopo questo mese di cattivo tempo non ci aspettavamo quasi che potesse arrivare il sereno.
Durante la fase di acclimatazione © Federica MingollaAlla fine però è arrivato…
Si, e ci abbiamo provato. Per riuscire a riposarci siamo partite in ritardo rispetto alle altre spedizioni. Ma il risultato è stato che alla fine ci siamo giocate un giorno, che abbiamo dovuto recuperare andando più veloci il giorno successivo. Al campo 3 siamo arrivate in meno di 20 ore da campo base, ricordo che eravamo stanche, sia per lo sforzo, sia per alcuni problemi di stomaco. Io in particolare stavo uscendo da un ciclo di antivirali e avevo lo stomaco a pezzi. Questo, più la quota, mi hanno dato non pochi problemi.
Da qui la decisione di rinunciare alla salita?
Sapevo che in quelle condizioni non sarei stata in grado di raggiungere la vetta. Quando poi ho visto Silvia partire mi sono detta “riposo ancora un’ora poi sento Silvia, se sto meglio e lei è motivata salgo”. Dopo un quarto d’ora poi ho visto tornare indietro anche lei, li ho capito che era finita.
In montagna succede di dover rinunciare, temporaneamente, ai propri obiettivi. Come valuti l’esperienza vissuta?
Sono una persona che medita tantissimo, soprattutto quando mi trovo in spedizione o lontana da casa. Il Pakistan mi ha dato tantissimo, anche questa volta. Le persone che ho conosciuto in questa spedizione, ma anche negli anni precedenti, sono di una semplicità estrema e ti fanno pensare. Ti fanno pensare a quanto noi siamo complessi: abbiamo tutto, ma sentiamo comunque l’esigenza di complicarci la vita. Loro vivono con niente e sono sempre sorridenti e gentili. Non so se noi faremmo la stessa cosa nei confronti di una persona che consideriamo materialmente più ricca, anzi. Facilmente la guardiamo con gelosia, è qualcosa che penso sia intrinseco in noi.
Pensi che tornerai al K2?
Per il momento sono convinta nel perseguire la mia passione per la verticalità, anche se il luogo mi ha affascinato tantissimo. Se dovessi mai tornare su un Ottomila non so se lo farei per la via normale tra corde fisse e persone cariche di bombole di ossigeno, probabilmente no. Per me l’alpinismo è una questione introspettiva. Però sono una persona curiosa e in futuro potrei nuovamente essere attratta dall’altissima quota.
Le tende del campo base © CAIHai nuovi progetti in mente a breve?
Per il momento sono concentrata sugli esami di osteopatia. Poi, si vedrà. Voglio vivere questo periodo senza ansie. Devo anche rimettermi in forma: ho sempre scalato e mi sono sempre allenata per l’arrampicata, al rientro mi sono ritrovata con un livello basso per il mio standard. Diciamo che sto riscoprendo l’arrampicata amatoriale, dove ti avvicini al gesto senza aspettativa e senza pretesti. È una sensazione che mi mancava, piacevole.
Ancora un’ultima domanda e ti lasciamo allo studio e all’allenamento: com’era il clima della spedizione?
Ho scoperto delle persone bellissime stando al campo base. Dalle mie compagne di spedizione a tutte le altre persone che orbitavano per il campo. Io e Silvia, per esempio, ci siamo legate tantissimo creando un’amicizia che spero di coltivare in futuro. Con tutti si è creato un rapporto unico, di aiuto e comprensione reciproca.