Il faggio, signore delle alte quote (almeno per quanto riguarda le latifoglie), come molti altri alberi è giunto al periodo della sua fruttificazione. In queste settimane dopo il veloce sviluppo avvenuto nei mesi estivi giungono a maturazione le cosiddette faggiole (o faggine). La faggiola è costituita da un piccolo riccetto che a maturazione si apre in quattro lobi e lascia cadere solitamente due piccoli frutti ciascuno dei quali costituito da un corpo carnoso molto sottile, dalla sezione grossolanamente triangolare.
Ogni frutto è coperto a sua volta da una piccola buccia coriacea all'interno della quale è contenuta una sottile polpa il cui gusto è piuttosto simile a quello di una nocciola. Si tratta infatti di un frutto sostanzialmente commestibile che in passato è stato usato per produrre olio (è un seme altamente oleoso infatti) o anche, una volta tostato, per produrre un surrogato del caffè.
La faggiola contiene comunque alcune sostanze che possono risultare lievemente tossiche, per cui talvolta si legge di assaggiarlo eventualmente solo dopo averlo ben scaldato e aver quindi eliminato alcune tossine termolabili presenti in piccole quantità.
Ma non è tanto la commestibilità del frutto che ci interessa sottolineare, quanto più la sua centralità nell’autunno delle faggete; al termine dell'estate le faggiole (abbondanti soprattutto negli anni cosiddetti di pasciona) possono arrivare ad appesantire i rami fino in parte a piegarli e a cambiarne il colore; gli alberi, quando ne ospitano una grande quantità, tendono infatti a diventare rossicci proprio per il colore delle faggiole in maturazione. Questi frutti sono poi alla base dell'alimentazione di tantissimi animali del bosco, cinghiali, uccelli e soprattutto tantissimi roditori tra i quali in particolare topolini e ghiri che in questo momento dell’anno vanno incontro a un periodo di grande attività che precede il lungo riposo invernale, ma di questo parleremo settimana prossima.