Foto di vetta in notturna © CAIÈ appena tornato dalla Patagonia e Dario Eynard ha già ricevuto un premio: non per la scalata di Gringos Locos al Cerro Piergiorgio, ma come ingegnere ambientale, titolo che ha ufficialmente conseguito dopo la proclamazione arrivata in settimana. "Ho rischiato di dovere scegliere tra rimanere in Patagonia per scalare la via e tornare a casa per farmi proclamare. Per fortuna il meteo è stato clemente e così ho potuto fare entrambe le cose. Nel caso, comunque, avrei scelto la via".
Gringos Locos era il vostro obiettivo fin dall'inizio?
Sì, almeno per me fino da ottobre scorso. Inizialmente avrei dovuto fare squadra anche con Luca Schiera e Camilla Reggio, che però poi erano impossibilitati. Matteo però ha coinvolto Mirco Grasso, con cui aveva già scalato e che nel 2018 era stato alla base della parete, aveva tentato il primo tiro. Non è stato difficile convincerlo, anche se Mirco era ben conscio delle difficoltà a cui saremmo andati incontro.
Il Cerro Piergiorgio © CAIQual è stato il primo impatto visivo con il Cerro Piergiorgio?
È stato interessante perché ero l'unico che non lo aveva ancora visto. Abbiamo risalito tutta la valle del Rio Electrico e abbiamo iniziato a vedere la parete dei Tre Moschettieri, il Domo Blanco, che già sono imponenti. Poi piano piano abbiamo iniziato a vedere la cresta sommitale del Piergiorgio e ti mette davvero soggezione e paura, è una cresta appesa al cielo. E poi d'un tratto, si è mostrato in tutta la sua grandezza. È qualcosa che spaventa e incuriosisce allo stesso tempo. Avevo voglia di mettermi in gioco, ma sembrava inaffrontabile. Non ci sono fessure, sembra impossibile da salire. Sensazione che a ogni modo poi permane per quasi tutta la via. Metro dopo metro però emergono delle tacchette e metro dopo metro ce l'abbiamo fatta.
Vi siete attenuti alla linea originale?
Sì, anche perché non ci sono molte altre possibilità. Nel '95 Giordani e Maspes erano arrivati a due terzi di parete per una linea che è sostanzialmente obbligata. Lo vedi quando è bagnata: quando cola l'acqua, disegna quel percorso lì. Abbiamo avuto solo un momento di dibattito, durante la seconda finestra di bel tempo. Dopo avere messo quasi mezzo chilometro di corde fisse siamo arrivati su un tiro dove si era formata una bella cascata. Non volevamo stare fermi, perché quel giorno avevamo scalato solo una lunghezza. Così siamo andati a vedere dietro a uno spigolo per un'alternativa, ma alla fine non c'era. Abbiamo aspettato il giorno dopo, quando ancora con il buio ho aperto io. Faceva freddo, sono salito su dei "cliffettini" piccoli. Non è stato semplice, gli abbiamo dato come grado 6c+ e A3.
Come vi siete divisi i tiri, equamente?
I tiri erano 27 e ne abbiamo fatti 9 a testa, più precisi non potevamo essere. Il primo tiro Mirco non lo voleva aprire perché aveva già dato nel 2018 ed era volato, così abbiamo tirato a sorte ed è toccato a Matteo. Meno male, onestamente sono stato contento così. Ma sono altrettanto contento di avere fatto la mia parte come loro. Sarebbe stato meglio rinunciare e lasciare spazio a qualcun altro, piuttosto che farmi portare su.
Verticalità assoluta © CAIQuali sono stati i punti dove ti sei sentito più ingaggiato?
Ci sono stati due momenti: uno è stato quello che ti ho detto prima, il secondo nella parte sommitale. Uscire in cima è stato complesso: il terreno non era estremamente impegnativo dal punto di vista tecnico, ma c'erano vento, freddo, ghiaccio nelle fessure e per schivare un peggioramento del meteo abbiamo dovuto fare una tirata unica. È stato quel giorno stesso del tiro difficile. Siamo usciti dal portaledge alle 6 e alle 20 abbiamo accesso le frontali, quando ci mancavano gli ultimi tre tiri. Così siamo arrivati in cima con il buio, non abbiamo perso troppo tempo e siamo scesi di nuovo giù fino a dove avevamo lasciato il materiale per bivaccare. Siamo entrati nel portaledge che erano le 5, abbiamo fatto 23 ore di attività. Abbiamo dormito 2-3 ore e poi di nuovo giù. È stato strano in cima: ti immagini chissà cosa e invece c'erano vento, freddo e luna nuova, non si vedeva niente. Subito ho provato un po' di amarezza per avere dovuto fare tutto in fretta, ma non c'era scelta e comunque poi ho pensato che l'importante era il percorso e non la vetta. Mi ci è voluto un po' per mandarla giù, ma ora mi dico che va benissimo così.
È stata una prova di forza, come hai gestito la stanchezza?
Nella mia attività spesso ho sottovalutato l'importanza di mangiare e bere, questa volta no. Non ero particolarmente stanco, non da perdere la lucidità. Siamo sempre stati molto concentrati, molto sul pezzo.
Una lavagna senza fessure © CAIChe difficoltà possiamo dare alla via?
C'è ancora un po' di dibattito a riguardo...diciamo subito che 20 dei 27 tiri non li abbiamo liberati, quelli che abbiamo fatto arriveranno su 7a-7b e A3. Per gli altri...chi ci si mette deve contare che magari si può arrivare anche a 8b. Al di là del grado, il punto è che molti tiri sono difficili da proteggere, noi non abbiamo aggiunto spit, a parte uno fuori linea, per il portaledge. Ne avremo trovati tre o quattro in tutto, li abbiamo usati e poi basta. Ma non essendoci fessure sulla linea, quel muro compatto ci ha davvero impegnato. Fa impressione perché Cerro Torre e Fitz Roy sono più famosi, ma il Piergiorgio è una muraglia compatta, non ci sono fessure. Chi vorrà provare a liberare la via avrà una bella sfida di quasi mille metri. Credo che quattro giorni ci vorranno tutti, ammesso che il meteo regga per tutto quel tempo. Credo che diventerà un riferimento nel prossimo futuro.
Come vi siete relazionati con Giordani e Maspes?
Li abbiamo sentiti dopo la prima finestra di bel tempo ed è stato molto bello sentire la loro voce, la loro opinione. Alla fine avevano già scalato una ventina di tiri all'epoca. Giordani poi ha visto le previsioni, ha preso un aereo ed è venuto giù per supportarci. Ha assistito al completamento dell'idea, qualcosa di molto bello. È un sogno che si è avverato…o meglio, più sogni spalmati su più anni che si sono avverati. Le cose sono andate per il meglio, a volte succede!