L'Everest, con i suoi imponenti 8848 metri, è la montagna più alta della Terra. Situato nella catena dell'Himalaya, al confine tra Nepal e Cina, è anche conosciuta come Chomolungma, "la madre dell'universo" in tibetano; e Sagaramāthā, "il dio del cielo" in nepalese. Parte delle Seven Summits, le sette vette più alte di ogni continente, l'Everest rappresenta una meta iconica. Una meta vissuta ogni anno da centinaia di spedizioni che spesso di dimenticano di trovarsi al cospetto di quello che si potrebbe definire “santuario naturale”. I problemi ambientali legati al turismo di massa che sta interessando il tetto del mondo non sono infatti un segreto. Tra i materiali abbandonati sulla montagna e quelli lasciati al campo base, o lungo il trekking di avvicinamento, purtroppo, questo territorio magnifico subisce gli effetti della massificazione delle presenze. Tema che tiene sempre banco nel dibattito, unitamente al racconto delle molte spedizioni che si impegnano per riportare a valle i propri rifiuti e anche quelli che si incontrano. Senza dimenticare le spedizioni di pulizia, che ogni anno si muovono sulla montagna rimuovendo le corde, le tende e i molti altri rifiuti abbandonati.
La Storia dell'Everest
Scoperto nel 1847 da Andrew Waugh, sovrintendente del Survey of India, l'Everest fu inizialmente denominato "Peak XV". Solo successivamente, nel 1856, venne riconosciuto ufficialmente come la vetta più alta del mondo e intitolato a Sir George Everest, direttore del Survey of India dal 1830 al 1843.
Il primo tentativo di scalata avvenne nel 1921 da parte di una spedizione britannica guidata da George Mallory, insieme ai connazionali Harold Raeburn, Alexander Kellas e Guy Bullock. Al tempo il Nepal era chiuso agli stranieri, così il tentativo avvenne per il versante tibetano, grazie a un permesso rilasciato dal Dalai Lama. Fu una spedizione esplorativa, che non portò molti risultati, se non una migliore conoscenza del territorio.
Mallory ci riprovò allora un anno dopo, nel 1922, sempre dal versante tibetano. Questa volta la spedizione si mosse con un ritmo diverso. Per la prima volta nella storia himalayana, gli scalatori portavano con sé bombole di ossigeno e, anche grazie a questo strumento, riuscirono a toccare gli 8326 metri di quota. Quasi a un soffio dalla vetta.
Carichi del successo, nel 1924 George Mallory e Andrew Irvine tornarono al campo base con l’intenzione di tentare nuovamente la vetta, questa volta con maggiore determinazione. La loro spedizione si svolse ancora una volta dal versante tibetano, ma una serie di eventi tragici portò a una fine prematura e misteriosa della loro avventura. I due scalatori furono avvistati per l'ultima volta a poche decine di metri dalla vetta, ma non fecero mai ritorno al campo base. La loro scomparsa rimase un enigma che ha alimentato speculazioni per decenni: avevano raggiunto la cima prima di essere travolti da una bufera? Se lo avessero fatto, la loro impresa sarebbe stata un primato storico, un traguardo che avrebbe spostato indietro di ben 26 anni l'inizio della conquista dell'Everest e dell'alpinismo himalayano.
La tragedia dei due uomini contribuì a conferire un alone di mistero alla montagna, alimentando il fascino per l'Everest e stimolando nuove spedizioni verso la sua vetta. Tuttavia, fu solo nel 1953 che l'impresa di salire sul tetto del mondo venne compiuta con successo. Edmund Hillary, neozelandese, e Tenzing Norgay, sherpa nepalese, furono i primi a raggiungere la cima dell'Everest il 29 maggio di quell'anno.
Un precedente era stato compiuto ancora nel 1952 da parte di una spedizione svizzera. Una spedizione massiccia, con 150 portatori e grandi rifornimenti, che ha affrontato la montagna dal versante nepalese arrivando a soli 200 metri dalla vetta. Del gruppo faceva parte anche Tenzing Norgay, futuro primo salitore dell’Everest insieme a Sir Edmund Hillary.
Nonostante la conquista (come si diceva al tempo) definitiva della montagna, la figura di Mallory e Irvine rimase legata a quel mistero. Solo nel 1999, quando una spedizione trovò il corpo di Mallory a una quota di circa 8155 metri, fu possibile avanzare ipotesi sulla sua morte. Alcuni ritengono che Mallory avesse effettivamente raggiunto la vetta, mentre altri sostengono che non sia mai arrivato in cima. Qualunque sia la verità, il loro tentativo rappresenta uno degli episodi più affascinanti e significativi nella storia delle esplorazioni himalayane, e continua a suscitare domande ancora oggi.
La prima salita invernale
Alla fine dell'epoca delle grandi conquiste himalayane, nell’inverno 1979/1980 un gruppo di giovani polacchi si avvicinò all'Everest con il sogno di scrivere il proprio nome nella storia dell’esplorazione. Non avevano vissuto l’età d’oro delle avventure verticali e orizzontali, ma avevano trovato una nuova via per spingersi oltre i limiti umani. Abituati a soffrire e a vivere la montagna con il minimo indispensabile, affrontando anche le condizioni più dure e nei periodi peggiori dell’anno, immaginavano di riuscire a scalare un Ottomila nel cuore dell’inverno, quando la montagna è ancora più difficile.
Per farlo, chiesero e ottennero un permesso per tentare l’Everest nella stagione 1979-1980. La spedizione, guidata da Andrzej Zawada, era imponente: 25 alpinisti e 5 tonnellate di materiale. Negli ultimi giorni di dicembre, arrivarono finalmente al campo base e cominciarono a lavorare sulla montagna. Per un mese intero lottarono contro il freddo estremo e le condizioni proibitive: le temperature arrivavano fino a -40 gradi.
Nonostante tutto, la loro determinazione non venne mai meno. Dopo aver raggiunto il Colle Sud, fissato un campo e portato in quota delle bombole di ossigeno, si prepararono al tentativo di vetta.
Il 17 febbraio, ultimo giorno utile per scalare secondo il permesso rilasciatogli dal governo nepalese, Krzysztof Wielicki e Leszek Cichy lasciarono il campo 4 e si avviarono, senza alcuna certezza, verso la cima. Utilizzarono l’ossigeno per facilitare la salita, e alle 14:25 raggiunsero finalmente la vetta dell'Everest. Furono i primi ad aver scalato una montagna durante l'inverno, aprendo così un capitolo unico nell'alpinismo. La loro impresa segnò l'inizio di un'epopea che sarebbe durata oltre trent’anni: la salita dei 14 Ottomila nella stagione più fredda.
Geografia dell'Everest
La montagna si distingue per la sua forma piramidale e per le tre pareti principali:
- Parete Nord: si affaccia sul ghiacciaio Rongbuk.
- Parete Est: termina sul ghiacciaio Kangshung.
- Parete Sud-Ovest: guarda verso il ghiacciaio Khumbu, in Nepal.
Le creste principali includono:
- Cresta Ovest: collega l'Everest al vicino Khumbutse (6636 m).
- Cresta Sud-Est: unisce l'Everest al Lhotse (8516 m).
- Cresta Nord-Est: divide il ghiacciaio Rongbuk in due parti.
Percorsi e Vie Alpinistiche
Le principali vie di accesso all'Everest sono quella nepalese e quella tibetana. La via nepalese, considerata la via normale, passa per il Colle Sud e prosegue lungo la cresta sud-est. È la via più facile e anche la più frequentata, utilizzata dalla maggior parte delle spedizioni commerciali. Ogni primavera, prima che venga aperta alle spedizioni, viene attrezzata dagli Icefall Doctor.
La via tibetana, che sale per il Colle Nord, fu aperta nel 1960 da una spedizione cinese ed è considerata più tecnica rispetto a quella nepalese. È anche più esposta ai venti e prevede un ultimo campo oltre quota Ottomila, nella cosiddetta “zona della morte”. Tuttavia, l’avvicinamento alla montagna è facilitato da una strada che arriva fino al campo base.
Nel corso degli anni, sono state tracciate numerose altre vie alpinistiche sulla montagna. Nel 1963, gli americani Tom Hornbein e Willi Unsoeld furono i primi statunitensi a raggiungere la cima passando per la cresta ovest e il couloir Hornbein. Nel 1975, Doug Scott e Dougal Haston realizzarono la prima salita della parete sud-ovest, mentre nel 1979 gli jugoslavi Nejc Zaplotnik e Andrej Stremfelj tracciarono la via slovena lungo tutta la cresta ovest.
Nel 1980, i giapponesi Tsuneo Shigehiro e Takashi Ozaki tracciarono la prima via interamente sulla parete nord della montagna, la diretta al couloir Hornbein. Sempre nel 1980, Jerzy Kukuczka e Andrzej Czok aprirono una nuova via sul Pilastro sud, mentre Reinhold Messner, durante la sua salita solitaria, aprì una variante della cresta nord che passava per il couloir Norton.
Nel 1982, i russi Eduard Myslovski e Volodya Balyberdin riuscirono a salire sul Pilastro sud-ovest, mentre nel 1983 Louis Reichardt, Kim Momb e Carlos Buhler, sempre russi, aprirono la via American Buttress sulla parete est. Nel 1984, gli australiani Tim Macartney-Snape e Greg Mortimer salirono il Great Couloir sulla parete nord, con una variante che fu aperta nel 1991 dall'italiano Battistino Bonali e dal ceco Leopold Sulovs.
Nel 1988, una spedizione internazionale aprì Neverest Buttress, che dal versante est portava al Colle Sud. Nel 1996, i russi Valeri Kokhanov, Piotr Kuznetsov e Grigori Semikolenov salirono lungo il couloir nord-nordest, mentre nel 2004 i russi Pasha Shabalin, Ilyas Tuhvatullin e Andrey Marie aprirono la diretta alla parete nord. Infine, nel 2009, i coreani Park Young-Seok, Jin Jae-Chang, Kang Ki-Seok e Shin Dong-Min aprirono un nuovo percorso sulla parete sud-ovest.
Salite significative
Tra le salite più significative dell'Everest, nel 1973 Guido Monzino guidò la prima spedizione italiana che riuscì a raggiungere la vetta. Cinque anni dopo, nel 1978, Reinhold Messner e Peter Habeler compirono un’impresa straordinaria: il 8 maggio salirono sulla cima dell’Everest senza l’uso di bombole d’ossigeno, un risultato che fino a quel momento era considerato impossibile dal punto di vista scientifico.
Nel 1980, Messner tornò protagonista, riuscendo a scalare l'Everest in solitaria e senza ossigeno dal versante tibetano, tra il 18 e il 20 maggio.
Nel 1963, gli americani Tom Hornbein e Willi Unsoeld realizzarono la prima traversata della montagna, salendo lungo la cresta ovest, ancora inviolata, e scendendo per la via dei primi salitori.
Nel 1975, la giapponese Junko Tabei divenne la prima donna a raggiungere la cima dell'Everest.
Nel 1995, una spedizione giapponese compì la prima salita integrale della cresta nord-est.
Nel 2003, la fondista Manuela Di Centa divenne la prima italiana a raggiungere la vetta dell'Everest.
Nel 2006, l'italiano Simone Moro realizzò la prima traversata solitaria dell’Everest, salendo dal Nepal e discendendo dal versante tibetano.
Nel 2011, Michael Horst compì il primo concatenamento Everest-Lhotse, utilizzando parzialmente l'ossigeno e sfruttando le corde fisse piazzate dai suoi sherpa mentre era impegnato sull'Everest.
Infine, nel 2013, Kenton Cool fu il primo a concatenare Nuptse, Everest e Lhotse senza passare dal campo base, facendo uso parziale di ossigeno e delle corde fisse su tutte e tre le montagne.
Curiosità sull'Everest
Nel 2008, la fiaccola olimpica delle Olimpiadi di Pechino raggiunse la vetta dell'Everest, simbolizzando l'unione tra sport e avventura.
Nel 2011, Kenton Cool inviò il primo tweet dalla cima dell'Everest, sfruttando una connessione 3G disponibile a quell'altitudine.
Un aspetto inquietante della montagna è la presenza di oltre 300 corpi di alpinisti deceduti durante le ascensioni. Molti di questi restano congelati lungo le vie di salita, fungendo da macabri segnali per i futuri scalatori. Alcuni di questi sono stati rimossi da una spedizione dedicata nel corso del 2024.
In termini di età, l'Everest ha visto imprese straordinarie: nel 2002, la giapponese Tamae Watanabe raggiunse la vetta all'età di 73 anni; mentre nel 2013, il giapponese Miura Yuichiro salì sulla cima a 80 anni.
Nonostante la sua fama, l'Everest non è la montagna più alta se misurata dalla base alla vetta; questo titolo spetta al vulcano Mauna Kea nelle Hawaii, che, sebbene sbuchi per solo 4205 metri sopra il livello del mare, si erge per oltre 10000 metri dal fondo dell'oceano.
Raggiungere l'Everest
L'Everest rappresenta un sogno per molti, che siano semplici escursionisti o ambiziosi alpinisti. Per i trekker, la montagna è accessibile durante tutto l’anno, anche se il periodo ideale per visitarla va da inizio marzo a metà maggio e da inizio settembre a metà novembre. Gli alpinisti, invece, sono vincolati dalle condizioni climatiche, con la possibilità di affrontare l’ascesa solo nei periodi pre e post monsonici, a meno che non vogliano tentare un'ascensione invernale.
Per iniziare l’avventura verso l’Everest, il primo passo è volare su Kathmandu, la capitale del Nepal. Da lì si prende un volo interno per Lukla, che dura circa 25 minuti. Questo volo è noto per la sua adrenalina; ma in alternativa è possibile volare su Phaplu, un punto a sud di Lukla, che richiede poi tre giorni di cammino; o su Jiri, che dista sette giorni di cammino. Va tenuto presente che i voli possono subire ritardi a causa delle condizioni meteorologiche, quindi la pianificazione deve essere flessibile.
Una volta giunti a Lukla, inizia il trekking verso il campo base dell’Everest, un viaggio che dura circa 10 giorni. Il primo giorno, si raggiunge il villaggio di Monju, che rappresenta la porta d'ingresso al Parco nazionale di Sagarmatha, dove bisogna presentare il passaporto e pagare una tassa di 3000 Rupie Nepalesi. Da lì, il percorso prosegue verso Namche Bazar (3440 m), dove molti si fermano per un giorno o due per acclimatarsi alla quota. Successivamente si attraversano Tengboche (3870 m) e Pangboche (3860 m), per poi superare quota 4000 metri e raggiungere Pheriche (4240 m), seguita da Lobuche (4930 m) e, infine, Gorak Shep, che è il punto di partenza per visitare il campo base dell’Everest.
Per il rientro, si consiglia di attraversare il passo Cho La (5370 m) e proseguire lungo la pittoresca Valle di Gokyo.
Chi preferisce organizzarsi autonomamente può decidere di percorrere il sentiero verso il campo base senza guide o portatori, anche se è sempre possibile rivolgersi a un’agenzia specializzata che saprà confezionare un pacchetto personalizzato. In Nepal, esistono numerose agenzie affidabili. Lungo il cammino è possibile trovare comodi lodge che offrono ogni comfort, tra cui connessione internet.
Per gli alpinisti interessati a scalare l’Everest, è necessario procurarsi un permesso di scalata, che ha un costo di circa 11000 dollari. Il permesso viene rilasciato solo a chi possiede un adeguato curriculum alpinistico. Anche in questo caso, l’organizzazione della spedizione può avvenire in autonomia, oppure tramite un’agenzia esperta nel settore.