Nasim Eshqi in apertura su Women, life and freedom © G.TrepinEro roccia, ora sono montagna. È un titolo importante quello del libro che racconta la storia di Nasim Eshqi, climber iraniana, scritto in collaborazione con Francesca Borghetti (pp. 176, euro 18,00, Garzanti 2024). Importante quanto la “battaglia per la libertà delle donne in Iran e nel mondo”, come recita il sottotitolo, che Nasim conduce con coraggio e determinazione, ora che vive definitivamente fuori dal suo Paese.
Mentre nel 2016 è in Italia per arrampicare (a Finale Ligure, in Sardegna, in Val di Mello e Valle dell’Orco), iniziano a circolare alcune foto di lei intenta in complesse progressioni verticali con i lunghi capelli corvini baciati dal sole. Una in particolare, che la immortala nel Polekhab, una parete a due ore da Teheran come potrebbe essere la Grigna per i milanesi, colpisce Borghetti, digiuna di montagna e di Iran, ma sensibile al messaggio potente contenuto in quello scatto.
Di formazione antropologa, di professione documentarista e autrice appassionata di biografie al femminile, un tema a cui lavora da anni, Francesca decide di conoscerla: «Ero stupita e sconvolta dalla contraddizione, volevo comprendere come fosse possibile che una donna che scalava coi capelli liberi al vento vivesse in Iran, paese da cui proveniva a noi solo un’immagine a una dimensione di donne avvolte nel chador nero» spiega. «Per me raccontare storie di donne è importante, perché non ce ne sono abbastanza. Abbiamo bisogno innanzitutto di conoscere e sapere cosa hanno fatto, è un modo per colmare l’oblio e la marginalizzazione delle donne dalla scena pubblica che ereditiamo dalla storia. Per questo ho affrontato quella di Ninì Pietrasanta nel podcast “Pointe Ninì” (prodotto da RaiPlay Sound con il sostegno del CAI nel 2022, Ndr), a dimostrazione di quanto la montagna mi sia entrata dentro» ci dice col sorriso. «Per me è un modo per confrontarmi con me stessa. Più noi donne siamo consapevoli di quello che possiamo fare e più siamo forti».
Da quell’incontro, raccontato in coda al libro, nel 2020 nasce il film Climbing Iran, «l’indagine di una donna su un’altra donna» lo definisce la regista, presentato al Festival del Cinema di Roma quando ancora imperversava il Covid. «Il CAI è stato il primo sostenitore di quel progetto. Quando ne ho parlato con Angelo Schena (allora presidente del Centro di Cinematografia e Cineteca, NdR) avevo giusto fatto un’intervista in Iran. Abbiamo avuto una visione comune. Rai Cinema è arrivata dopo». Disponibile al prestito nel catalogo della Cineteca, è stato uno dei titoli più richiesti dalle Sezioni, mentre in Iran non l’ha visto nessuno. «Non potevamo, anzi, non dovevamo».
Poi è arrivato il podcast Nasim, Iran verticale, sempre con RaiPlay Sound, non la semplice trasposizione del documentario, perché nel frattempo la storia si evolveva. «Non esiste una storia senza un punto di vista» incalza Borghetti: «Se Nasim fosse stata una semplice sportiva non mi sarei dedicata a un racconto su di lei. Mi interessava la metafora di aprire una nuova via lungo la montagna, perché oltre a questa azione importante e impegnativa di per sé in un paese come l’Iran, a me dall’esterno colpiva l’elemento simbolico: la sfida di aprire una nuova via nella società, ecco perché il titolo Climbing Iran, Arrampicare l’Iran».
E ora il libro, la cui chiave di lettura è l’incontro cruciale di Nasim con la montagna.
Cruciale perché proprio la libertà sperimentata in montagna ha guidato la ribellione contro l’oppressione imposta dal regime instaurato dopo la rivoluzione islamica di Khomeini del 1979, oggi ancor più repressivo contro le donne: prima un fatto personale, poi un imperativo generazionale. Il libro, che scorre con ritmo sostenuto per brevi capitoli in ordine cronologico, è di fatto uno spaccato della storia sociale dell’Iran negli ultimi 40 anni. Nasim è del 1982 e il suo nome significa “brezza”. I capelli senza velo, i vestiti colorati, le spalle scoperte e lo sguardo dritto della copertina lanciano un messaggio potente al cuore del regime. È il messaggio delle donne iraniane nel mondo: la debolezza diventa forza. La brezza una tempesta.
La battaglia per i diritti civili è andata di pari passo con l’attività di climber di alto livello, come testimonia la lunga lista di scalate in appendice, realizzate nelle brevi finestre dei visti che le venivano concessi, anche grazie al CAI. Moltissime le vie aperte in Iran, non solo nell’amato Alam Kuh (Mr Nobody/Ms Nobody, 8b+/8c nel Baraghan, vicino a Teheran, e A Girl for All Seasons, 7b+ nel Kermanshah le sue preferite), poi in Turchia, Armenia, India, e nell’ambita Europa, dove è stato l’alpinista tedesco Stefan Glowacz a farla venire la prima volta nel 2014, come testimonial del suo marchio di abbigliamento. In Italia a settembre 2023, con il compagno Sina Heidari, Gianni Trepin e Arianna Capra, ha aperto Women-Life-Freedom (6b), sul Catinaccio.
E pensare che lei, appena candidata con Simone Moro al titolo di “Esploratore del Ventunesimo Secolo” promosso dallo European Outdoor Film Tour, era votata al kickboxing, di cui è stata campionessa nazionale. Alla montagna è arrivata per caso, come molti, ma ci è rimasta per scelta: cosa c’è di più egualitario della forza di gravità? La montagna era forse l’unico posto in Iran dove la tremenda polizia morale faticava ad arrivare (per limiti fisici) e ad applicare le sue assurde regole. Fanno male a chiunque, uomo o donna abituato a godere della propria libertà personale, alcuni racconti di costrizione, di cui quello di Mahsa Amini, finito in tragedia: è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso pienissimo. Anche Nasim, arrestata diverse volte, era transitata dalla stessa prigione. Un punto di non ritorno che l’ha convinta a prendere posizione sfruttando ormai la sua fama internazionale e il potere dei social, tramite cui ha iniziato a denunciare le violenze e la repressione, avendole ben conosciute in prima persona.
Sono moltissime le domande che nascono dopo aver letto il libro, una storia che arriva dritta nello stomaco e al cuore. Ne usciamo con la certezza che sia stato scardinato uno dei dogmi dell’alpinismo mondiale: se è donna e se deve lottare per esistere, non possiamo più parlare di conquista dell’inutile.