Eleonora Delnevo: viaggi oltre le barriere

Ciclista, canoista, arrampicatrice, sciatrice. Questi sono alcuni degli attributi di Eleonora Delnevo, alpinista bergamasca che, con una lesione alla spina dorsale, continua a fare sport, a girare il mondo e a riflettere sulla disabilità.
Yosemite 2018. In portaledge © Diego Pezzoli

Eleonora Delnevo è un'alpinista bergamasca con una passione irrefrenabile per la montagna. Dopo aver arrampicato per anni su roccia, nei canali, su ghiaccio e in cresta con gruppi di amici – soci, come li chiama lei – nel 2015 un incidente le provoca una lesione alla spina dorsale, cui consegue una paralisi delle gambe. Con il supporto costante della famiglia e degli amici, che sin da subito l'hanno spronata a tornare a fare sport all'aria aperta, Eleonora ha scoperto nuove modalità per frequentare la montagna e così ha iniziato a viaggiare. Nel maggio 2024 ha attraversato in canoa il fiume Yukon in Canada; nell'inverno 2023 ha viaggiato per le strade sabbiose della Patagonia in handbike, nel 2016 e nel 2018 ha scalato la via Zodiac di El Capitan, nello Yosemite, in California. Sempre accompagnata dai suoi amici. Un entusiasmo e un'intraprendenza che le sono valsi un posto tra i famosi Ragni di Lecco, l'associazione che riunisce scalatori di vie e montagne tra le più ardue nel mondo. Grazie alla sua esperienza, riflette sul modo in cui viene comunicata la disabilità facendo un confronto tra la realtà italiana e quella internazionale.

 

Ciclista, canoista, sciatrice, arrampicatrice. E ancora: Yukon, Patagonia, Yosemite. Non stai mai ferma! Prima di parlare di tutti i tuoi viaggi, una domanda mi sorge spontanea: che lavoro fai?

Lavoro come consulente ambientale in provincia a Bergamo. Mi occupo di autorizzazioni ambientali, valutazioni di impatto ambientale, emissioni, scarichi idrici, rifiuti. Sono sempre stata una libera professionista, e questo mi ha permesso di gestirmi autonomamente, di andare a fare un'escursione quando volevo. Ora invece mi sto abituando a tempi e ritmi un po' diversi. Fino ad ora, però, sono sempre riuscita a gestirmi bene con le ferie!

 

Infatti il tempo per i viaggi lo trovi sempre! L'ultimo l'hai fatto a maggio 2024 in Canada, hai attraversato il fiume Yukon in canoa. Com'è andata?

Sono partita con Annalisa Fioretti, una mia cara amica, e altri sportivoni. Abbiamo scelto maggio per evitare lo scioglimento dei ghiacciai, ma abbiamo trovato freddo e anche le zanzare. Ci siamo imbarcati sul Teslin, un affluente dello Yukon, a Johnson Crossing. Da lì ci siamo spostati con le canoe e un furgone. Dopo quattro giorni siamo arrivati nel punto in cui il Teslin e lo Yukon si congiungono. Il quinto giorno ci siamo riposati perchè eravamo stanchissimi. Abbiamo ripreso a navigare sul fiume e siamo sbarcati poco prima di Carmacks. Il viaggio è durato otto giorni e logisticamente è stato il più impegnativo che abbia fatto.

 

Perché?

Abbiamo portato tutto il materiale con noi. In Canada abbiamo noleggiato le canoe e dentro ci abbiamo messo le nostre attrezzature: salvagenti, pagaie di scorta, vestiti, cibo, acqua, tende per dormire la notte. La sera ci fermavamo nel bosco, sistemavamo le canoe, montavamo le tende, cucinavamo e mettevamo in ordine per il giorno dopo. La mattina seguente bisognava disfare tutto e passava almeno un'ora.

 

Vi siete mossi tutti insieme dall'Italia?

No, io sono partita una settimana più tardi degli altri. Non avevo abbastanza ferie!

 

Come sono state le condizioni meteo durante la traversata?

A parte il freddo e qualche giorno che c'è stato vento, le condizioni meteo sono state buone. I fiumi erano morbidi e gentili. La notte, forse anche per la stanchezza, non li sentivo neanche scorrere. Non ci siamo neanche mai cappottati!

Yosemite 2016. Alla base della parete © Diego Pezzoli

Come hai imparato ad andare in canoa?

Quando nel 2015 mi hanno dimesso dal centro di riabilitazione, i soci di scialpinismo mi hanno proposto un corso di canoa. Abbiamo fatto il base e l'avanzato e da lì mi è partito il trip. Ancora oggi, quando ritorno in canoa, c'è un momento in cui mi sento un po' incredula e spaventata, ma per me è un modo di muovermi.

 

Oltre alla canoa, ti muovi anche con un'handbike elettrica.

Esatto. Non nasco ciclista, ma l'handbike mi permette di percorrere i sentieri sterrati e di inoltrarmi un po' in montagna da sola, senza farmi aiutare o usare l'auto.

 

Tra il 2022 e il 2023 sei stata in Patagonia con la tua handbike.

Sì! Tra dicembre e gennaio, sono partita con la mia amica Stefania Valsecchi da El Chalten e siamo arrivate ad Ushuaia, nella Terra del Fuoco.

 

Com'è nata l'idea di questo viaggio?

Alcuni Ragni di Lecco mi hanno detto che c'era un itinerario in Patagonia che avrei potuto fare. Sono andata dallo "spacciatore" di mappe, Erik, un ragazzo che lavora alla libreria Vel a Sondrio; lui trova le mappe per ogni tipo di viaggio, anche per gli itinerari più sconosciuti. Ho messo insieme tutte le informazioni e sono partita anche grazie al sostegno dei Ragni. Anche in questo viaggio, come nello Yukon, ci siamo portate tutta l'attrezzatura necessaria per bici e carrozzina. In Patagonia era già difficile trovare un paese; raro trovare un negozio di bici; impossibile un negozio di bici che avesse i pezzi di ricambio per me.

 

Vi sono serviti i pezzi di ricambio che vi siete portate?

Non ci è servito niente, per fortuna! A parte il cibo e l'acqua: ci sono stati tratti in cui non abbiamo costeggiato un fiume per due/tre giorni. I paesini lì sono molto distanti tra di loro, e noi eravamo davvero alla fine del mondo.

 

E dove dormivate la notte?

A volte ci accampavamo con la tenda in case abbandonate senza tetto; le mura portanti ci riparavano dal vento. Nei paesini cercavamo strutture in cui dormire. Un paio di volte siamo state nelle "estancias", case grandi nei latifondi, terreni vastissimi che si espandono per km. Sono fattorie stile far west in cui vive gente molto povera che ha condiviso tutto con noi: un signore anziano, consumato dal lavoro, ci ha lasciato la sua estancia, non so dove abbia dormito. La mattina dopo ci ha anche fatto trovare il te. In tenda, invece, dormivamo spesso nei terreni brulli tra l'autostrada e il filo spinato che recintava i latifondi.

Yukon River, ultima giornata © Stefano Tasinato

Riuscivi a ricaricare la tua handbike?

Sì, avevo due batterie con me, le ricaricavo nelle attività commerciali oppure nelle estancias mi attaccavo ai generatori, unica fonte di elettricità. Avevo un'autonomia di circa 200 km, solo una volta sono arrivata al limite, non avrei potuto fare altri 10 km.

 

Un odore particolare di questo viaggio?

Tutta la polvere che abbiamo respirato al vento. La sabbia patagonica sa di terra grezza.

 

Oltre alla canoa e all'handbike fai anche sci con il sitski.

Esatto! All'inizio non ero molto convinta: non avevo voglia di tornare sulle piste da sci, prendere di nuovo lezioni. E poi in carrozzina sei facilmente identificabile, in sitski mi avrebbero guardato tutti. Quando mi sono decisa, sono andata con degli amici e in mezza giornata ho imparato a sciare. Ho aperto una raccolta fondi per acquistare un sitski da un ragazzo con cui ho sciato. Lui è ingengere dei materiali e ha un suo laboratorio ad Interlaken, in Svizzera. Se un sitski non è progettato e costruito bene, c'è il rischio che vengano piaghe o altre complicazioni. Oppure, se è difficile da usare, ti fai male alle spalle; per me significa non poter più uscire di casa.

 

Su che montagne hai sciato?

Sono stata solo sulle Alpi. Qualche anno fa sono salita con i soci sul Monte Rosa, abbiamo raggiunto la Piramide Vincent. Siamo partiti da Gressoney e loro mi hanno tirato su con le corde, sono stati degli eroi. La cosa per me più difficile, e anche più divertente, è salire e scendere dagli impianti: cado in continuazione! Dico sempre ai miei amici che devo imparare ad usare la GoPro perché le mie cadute sarebbero tiktok divertenti! È stressante e stancante prendere gli impianti!

 

Hai un sacco di amici!

È grazie allo sport, soprattutto l'outdoor. Ti porta a conoscere tante persone, quindi poi da cosa nasce cosa.

 

E infatti con loro non vai solo sulla neve, ma arrampichi anche sul ghiaccio!

Sì, nel 2020 ho fatto "ice sliding" grazie all'idea della mia amica Anna Torretta. Lei viene dal mondo del ghiaccio e segue la terapia della montagna per i ragazzi con disabilità. Ha pensato all'ice sliding per far provare loro l'arrampicata sul ghiaccio: ti stendi in orizzontale su una parete ghiacciata, con una slitta sotto il corpo e delle piccozze nelle mani, e procedi con la forza delle braccia. Purtroppo non è uno sport che ha molto successo perché c'è ancora l'idea che i disabili non possono fare niente. Eppure, se ci pensi una persona disabile arrampica solo con le braccia, un normodotato non si tirerebbe su neanche di un metro.

Ti allenerai un sacco durante il giorno.

Non ho un regime di allenamento, ma mi muovo sempre. Nel weekend o in vacanza, se c'è bel tempo, vado in bici ai rifugi o con i soci in canoa. Per me il tempo libero è ancora andare fuori a respirare aria buona. Nella mia testa non c'è la parola allenamento. 

 

Com'è nata questa tua passione per la montagna?

Sin da quando ero piccola i miei portavano me e la mia gemella a sciare. Poi ho iniziato a fare camminate in montagna e all'università è nata la curiosità per l'arrampicata. Ho fatto il corso alla scuola Valle dell'Adda e ho avuto la fortuna di conoscere tante persone diverse con cui ho girato tanto. E così non ho più smesso. All'inizio facevamo più roccia, poi canali e infine ho imparato a fare ghiaccio; con alcune guide nella zona di Bergamo abbiamo fatto qualche cascata e cresta più lunga. Ora che ci penso ho fatto anche scialpinismo. Ho perso il conto delle cose che ho fatto!

 

Prima dell'incidente, avevi frequentato solo le Alpi. La prima parete all'estero l'hai fatta nel 2016, El Capitan nello Yosemite in California. Come mai hai scelto proprio questa?

Io non mi sono mai informata molto sulle montagne all'estero. Il giorno prima che mi dimettessero, alcuni soci di arrampicata mi hanno detto che avevano questa idea un po' matta di andare nello Yosemite e mi sono lasciata convincere.

 

Come ti sei preparata per l'arrampicata?

Due ragazze, anche loro in carrozzina, Karen Darke, campionessa paraolimpica di bike, e Vanessa Francois, mi hanno aiutato ad escogitare dei trucchi. Con i soci poi abbiamo preso le corde, ho recuperato un imbrago da parapendio, abbiamo saldato l'autobloccante sul manubrio di una bici vecchissima e abbiamo provato una volta in falesia. Io mi tiravo su con la forza delle braccia e il manubrio. Ha funzionato. Abbiamo detto "Bon, siamo pronti a partire!"

 

Com'è andata quella spedizione?

La prima volta non siamo riusciti a salire perché un ragazzo ha rinunciato. Eravamo partiti in quattro e quando siamo rimasti in tre abbiamo continuato fino ad un certo punto ma poi siamo tornati indietro. È una parete molto verticale ed esposta e abbiamo capito che in tre non ce l'avremmo fatta a scendere. In montagna è normale: ad un certo punto capisci che è meglio tornare indietro.

Yosemite 2018. Risalendo la fissa bis © Diego Pezzoli

Non contenti, tu e i tuoi soci avete ritentato nel 2018.

Infatti! Loro volevano andare a tutti i costi e siamo ripartiti in quattro: Diego Pezzoli, Mauro Gibellini, Antonio Pozzi e io. Questa volta ce l'abbiamo fatta!

 

E così sei diventata la prima donna italiana con disabilità ad arrampicarti sulla via Zodiac.

Sì, ma è una cosa che ho scoperto dopo. A me interessa andare in montagna, non primeggiare. Per me lo Yosemite è stata la vacanza con i soci. Ci siamo divertiti tanto e ci è servito per riunirci di nuovo in montagna.

 

Durante l'arrampicata dormivi in parete, com'è stato?

È stato fighissimo! All'ombra faceva freddissimo ovunque: nel parco, nei campeggi nei boschi. In parete invece si stava benissimo perché il granito attirava il sole tutto il giorno e rilasciava calore di notte.

 

Com'è l'odore del granito?

Non è solo l'odore del granito, perché quello ce l'abbiamo anche qui. È proprio l'odore dell'aria di Yosemite. Lì gli arrampicatori sono tutti felici, non hanno fretta di salire. Le persone parlano tra di loro e c'è un clima disteso. Un altro mondo rispetto alle Alpi, dove tutti hanno fretta di salire e di tornare a casa.

 

Quindi lo Yosemite ha aperto la strada alle spedizioni all'estero.

Sì, anche perché le Alpi non si prestano molto per l'outdoor dei disabili.

 

Perché?

Servono grandi spazi e una buona organizzazione. L'anno scorso sono tornata in California e con alcuni amici abbiamo girato in bici. Nei parchi puoi noleggiare una handbike per 70 dollari a settimana e andarci ovunque. Hanno bici per ogni esegenza: ammortizzate, assistite, per fare down hill, hanno anche carrozzine con i cingoli per andare sulla neve. E se hai problemi, ti aiutano con il pickup. Questa cosa ti fa sentire sicura ad andare in giro. Io ho usato il servizio nella zona del lago Tahoe e ho percorso bellissimi sentieri ampi e tutti naturali. Non sono stati modificati o cementati per farci passare le bici. Anche durante il viaggio in Patagonia, ho trovato strade sterrate lunghissime, centinaia di km poco battuti dalle automobili. E c'è tanto rispetto per il turista ciclista. Per la canoa, poi, i fiumi americani sono ampi e poco impetuosi, si lasciano attraversare facilmente.

 

E in Italia?

Sulle Alpi è difficile raggiungere le pareti, non ci sono molti sentieri di alta montagna raggiungibili in handbike; e in generale non ci sono percorsi solo per bici dove puoi sentirti sicuro. Anche i cosiddetti "rifugi accessibili" non lo sono davvero. I rifugisti sono persone fantastiche, cercano di metterti a tuo agio, all'inizio mi proponevano di venirmi a prendere con la jeep, ma poi restavo bloccata al rifugio perché non ci sono i sentieri per andare in handbike. E le strutture non sono mai davvero predisposte per le persone disabili: non c'è modo di andare in bagno o in camera o di uscire in terrazzo da sola. Ho sempre ringraziato chi mi aiutava però voglio essesre autonoma. E poi anche il modo in cui vengono trattate le persone con disabilità è diverso dall'estero.

 

In che modo?

Qui sei considerato come un eroe perché vai in montagna. Ma io dico: posso andare in montagna normalmente come fanno tutti? Questa cosa ti fa sentire proprio il disabile della situazione.

 

Tu hai solo continuato a seguire una passione che già avevi.

Esatto. Tanti giornali parlano di me con toni un po' esagerati; c'è molto pathos sul tema della disabilità. Io preferisco dire che, nonostante l'incidente, si possono fare ancora un sacco di cose. Certo, alcune esperienze mi sono precluse, tipo l'alta montagna, e non è come prima. A volta ho dei momenti di nostalgia però per andare avanti bisogna concentrarsi su ciò che si può fare.

 

Ci sono stati momenti in cui non la pensavi così?

Adesso ne parlo con la maturità dei nove anni passati dall'incidente, però ho avuto la fortuna di avere amici che mi hanno subito fatto fare sport all'aria aperta. All'inizio forse non mi sono resa conto di quello che stavo facendo, ma c'era un seme di consapevolezza, ora sono cosciente che è fondamentale concentrarsi sulle possibilità che si hanno.

Yosemiti 2016. Tramonto in parete © Diego Pezzoli

Di te Matteo Della Bordella, past president dei Ragni di Lecco, dice che puoi essere una fonte d'ispirazione.

Lui è troppo buono con me, lo ringrazio perché ha sempre la parola giusta da dirmi e parla in modo positivo di quello che faccio. A volte faccio eventi in cui racconto i miei viaggi e la gente mi fa capire che sono un buon esempio per chi ha difficoltà. Io però non mi vedo così: alla fine faccio sport in vacanza. Le mie fonti d'ispirazione hanno a che fare con cose più caratteriali. Prendo esempio dai miei amici che mi fanno ragionare, dalla mia famiglia che mi ha dimostrato pazienza, da chi ha la mente più aperta della mia, da chi mi sprona. Penso ad Annalisa Fioretti, che fa mille cose ma ha sempre i piedi per terra; ai ragazzi del Soccorso che lavorano tanto e vedono cose assurde e nonostante questo vanno avanti. Sono tutte persone che conosco, che mi sono vicine. E poi mi lascio ispirare anche da Walter Bonatti.

 

A proposito dei Ragni di Lecco: tu ne fai parte dal 2018. Te l'aspettavi?

Non avrei mai pensato che mi ammettessero! Un giorno mi chiama Teo Della Bordella e, tutto quieto, mi dice "Ti piacerebbe se ti proponessi per entrare?" Ero entusiasta!

 

Hai mai incontrato un ragno ha sette zampe come quello che avete sulla maglietta?

Un ragno vero no, di ragni lecchesi è pieno il mondo invece!