Era cominciata sotto i peggiori auspici la nuova spedizione del Ragno di Lecco
Matteo Della Bordella e dei suoi due compagni
Silvan Schüpbach e S
ymon Welfringer.
Nello scorso mese di luglio le complicazioni burocratiche legate alla pandemia di Covid 19 avevano ritardato di parecchi giorni l’inizio dell’avventura, rendendo impossibile il raggiungimento dell’obiettivo originario: una parete inviolata di 1200 metri di dislivello in una delle aree più inesplorate della
Groenlandia. Molte aree della grande isola artica, infatti, nei mesi scorsi sono rimaste isolate a causa dell’interruzione dei voli aerei, che ha dato un duro colpo al turismo locale (una delle poche risorse groenlandesi, assieme alla caccia e alla pesca) e ha anche causato problemi di approvvigionamento per la popolazione residente.
Dopo un primo momento di difficoltà, durante il quale sono stati quasi sul punto di rinunciare alla loro impresa, i tre alpinisti sono riusciti però a riorganizzarsi e a formulare un
“piano B”, rivelatosi tutt’altro che un ripiego.
Tenendo fede allo stile
“by fair means” con cui avevano progettato la spedizione, sono partiti dal piccolo villaggio di
Tassilaq, sulla costa orientale della Groenlandia, e pagaiando in completa autonomia sui loro
kayak hanno risalito i fiordi che portano al
Mythics Circque, un’area già in parte esplorata ma dove ci sono ancora grandi opportunità per l’apertura di nuove vie sulle splendide pareti di granito che si innalzano dai ghiacciai. Qui, sfruttando al meglio il poco tempo a disposizione, i tre sono riusciti a compiere due nuove e difficili salite, tra cui la seconda ascensione assoluta alla
Siren Tower.
Della Bordella durante una scalata © Archivio Della Bordella/Schüpbach/Welfringer
350 chilometri in kayak e uno sguardo all’emergenza climatica
«Fra andata e ritorno abbiamo affrontato circa 350 chilometri di traversata con le canoe sulle quali avevamo caricato tutte le nostre attrezzature e i viveri» racconta Matteo. «Sono state giornate impegnative, che abbiamo trascorso pagaiando per 8 o 10 ore, per tenere una media di 40 chilometri al giorno. Ma la scelta di avvicinarci in questo modo al nostro obiettivo, invece di utilizzare un’imbarcazione a motore, ci ha consentito di immergerci completamente in questi luoghi selvaggi e stupendi e di vivere pienamente la dimensione esplorativa e di scoperta che stavamo cercando».
In questa loro traversata, Della Bordella e compagni hanno anche avuto modo di constatare l’effetto dei
cambiamenti climatici sull’ambiente artico:
«Durate il viaggio abbiamo constatato l’enorme differenza che c’era fra le nostre mappe, risalenti a non più di 30 anni fa, e l’effettiva realtà del paesaggio: spesso e volentieri là dove le carte mostravano la presenza dei ghiacciai oggi ci sono chilometri e chilometri di fiordi, segno evidente dell’arretramento inesorabile dei ghiacci. Anche gli abitanti di Tassilaq ci hanno raccontato come ormai il mare rimanga ghiacciato solo da gennaio a maggio, mentre un tempo il pack cominciava a formarsi già a novembre e durava fino a giugno inoltrato».
La linea della via sulla Paddle Wall
Le nuove vie sulla Siren Tower e sulla Paddle Wall
Una volta raggiunto il Mythics Circque i tre alpinisti si sono trovati di fronte ad una sorpresa davvero inattesa: nella stessa zona, infatti, erano arrivati anche i belgi
Nico Favresse e
Sean Villanueva che, con il connazionale
Jean-Louis Wertz e lo svedese A
leksej Jaruta, li hanno preceduti realizzando la prima salita assoluta dell’imponente Siren Tower.
«A incontrare qualunque altra persona ci sarei rimasto male», confida Matteo.
«Trovare loro invece è stato bellissimo. Raggiungere un luogo remoto, incontrare qualcuno che vive la montagna e la scalata con il tuo stesso spirito, con gli stessi valori, è stato invece uno dei regali più belli offerti da queste esperienza».
Nonostante gli amici belgi li avessero preceduti nella prima salita, alla fine la bellezza della parete, che sale ripida e strapiombante per
più di 800 metri, ha convinto anche Matteo e compagni a sceglierla come loro obiettivo:
«Abbiamo individuato una linea di salita un centinaio di metri a sinistra di quella dei belgi. All’inizio è stata un po’ un’incognita, perché dal basso vedevamo dei sistemi di fessure spesso interrotti da placche dove non era possibile capire se saremmo riusciti a passare. Poi la scalata si è rivelata stupenda e mi ha regalato alcuni dei più bei tiri che abbia mai aperto. Abbiamo impiegato cinque giorni per completare la via. Avendo tempo a disposizione, abbiamo dedicato il sesto al superamento di alcuni tiri che prima non eravamo riusciti a salire in libera. Nel complesso si è trattato di una via piuttosto psicologica da aprire, per le non evidenti possibilità di piazzare protezioni, con bellissimi tiri verticali o strapiombanti».
Al nuovo itinerario i tre hanno deciso di dare il nome
Forum, perché
«siamo tre personalità forti e ogni decisione su cosa fare, dove andare, come organizzarsi ha richiesto sempre grandi discussioni. Momenti di confronto costruttivo, che ci hanno permesso di portare a termine il nostro obiettivo».
Dopo la realizzazione sulla Siren Tower Matteo, Silvan e Symon hanno dedicato gli ultimi giorni ancora a disposizione, prima di iniziare il rientro verso la civiltà, per esplorare l’area alla ricerca di altri interessanti obiettivi. Si sono quindi rivolti all’apertura di un secondo itinerario sulla parete battezzata da loro
Paddle Wall, situata a circa 12 chilometri di kayak dal Mythics Circque:
«Abbiamo trovato questa parete di 400 metri, soleggiata e piena di fessure. È stata veramente piacevole da scalare. Abbiamo chiamato la via "La cene du renard", che significa “La cena della volpe”, in onore dell’unico animale incontrato durante la spedizione e che, sotto la parete, ha mangiato il nostro formaggio!».
In vetta alla Siren Tower © Archivio Della Bordella/Schüpbach/Welfringer
Questioni di stile
Senza entrare troppo in tecnicismi, è importante evidenziare lo stile con cui Matteo e compagni hanno portato a compimento le loro salite. Entrambe le vie sono state aperte utilizzando quasi esclusivamente protezioni mobili (
nut e friends), mentre i chiodi normali sono stati usati solo per rinforzare le soste per le calate in doppia. Solo sulla Siren Tower sono stati piantati
due spit: uno per appendere la portaledge e uno per proteggere un passaggio, poi aggirato durante la libera.
«Per noi questo è l'approccio più naturale e spontaneo rispetto all’ambiente dove siamo andati ad aprire le vie», spiega Matteo. «In luoghi così splendidi e incontaminati riteniamo essenziale cercare di non lasciare segni del nostro passaggio. Il fatto di affrontare le pareti con il minimo indispensabile di attrezzatura e di avvicinarti con i kayak ti consente, inoltre, di vivere l’avventura nel modo più completo, in un’esperienza dove il successo non è per nulla scontato: qualcosa dipende da te, ma molto dalla natura. Tentare di salire una parete come quella della Siren Tower in arrampicata libera e senza usare gli spit vuole dire saper valutare bene le proprie capacità e i propri limiti e poi accettare che sia la natura, la conformazione della roccia, a dire sì o no. Se lungo la salita avessimo incontrato una placca per noi troppo compatta e difficile, non avremmo avuto altra opzione che rinunciare. Questa volta però la natura ha detto sì e ci ha regalato un’esperienza indimenticabile».