“Mi chiamo Erri De Luca e sono un lettore molto più che uno scrittore”. Al Salone del libro di Torino 2024 il 12 maggio l’autore napoletano strappa subito un sorriso al numeroso pubblico della Sala Rossa, accorso per ascoltare la presentazione del suo ultimo libro, “Discorso per un amico” di Erri De Luca (pp. 94, 14 euro, Feltrinelli 2024). Un’auto-presentazione che sconfina nella lectio magistralis, gestita con la sapienza e l’esperienza di chi sa di non doversi infastidire se qualcuno esce proprio mentre ancora palpita nell’aria l’emozione provocata dalla lettura di uno dei passaggi più toccanti dell’opera. Lo scrittore navigato sa come proteggere il suo lato fragile.
Intimo, delicato, è quel libro che non si vorrebbe scrivere: “discorso” fa riferimento infatti alle parole pronunciate in morte di Diego Zanesco, guida alpina e carissimo amico, a luglio 2023: i due raponzoli di roccia della copertina dicono tutto di quell’amicizia fraterna. Gli “artigli del diavolo”, come li chiamano i tedeschi, sono il fiore tipico delle Dolomiti e cresce solo sulle pareti, “basta un’unghia di terra”: “Quei due fiorellini siamo io e Diego”.
Il libro non è solo un’orazione funebre, ma anche restituzione di dignità. Si disse che Zanesco era morto per imprudenza, perché amava fare scalate solitarie (in senso stretto, senza nessuno a documentarle). La realtà è che morì d’infarto precipitando per 10 metri dalla parete sud della Tofana di Rozes su cui stava scalando la via Dimai. Se dunque ci fu leggerezza, fu piuttosto nel sottovalutare i sintomi del cuore e il precedente del fratello, morto pochi anni prima per lo stesso motivo: “L’infarto è una bomba a orologeria che va controllata, bisogna avere la fortuna di non morire la prima volta”. Parla con cognizione di causa, avendo subito una “raffica di infarti”.
Del resto lui non ci ha creduto nemmeno per un istante alla versione di un Diego caduto per azzardo o per errore, tanto da chiedere a Mauro Corona di aiutarlo a contrastarla tramite suoi social: lo aveva conosciuto profondamente, testandone per anni le capacità tecniche, ma anche il senso per la montagna, dalle Dolomiti al Chimborazo, in Ecuador. Sapeva che professava l’“armonia fra sicurezza e pericolo”.
Di vie ne hanno scalate centinaia insieme, soprattutto sulle Dolomiti, condividendo “briciole di stelle cadenti” e macinando parecchie montagne (Agner, Ciavazes, Bandiarac per dirne alcune). Parecchie, ma non la Tofana di Rozes. Lì Erri si è recato dopo la sua morte con la guida Marcello Cominetto, per capire. Le centinaia di solitarie, e solo quelle, Zanesco le segnava nei suoi taccuini, che dopo la morte la moglie Franziska Taferner ha consegnato a Erri De Luca senza leggerli. In parte sono qui riportati, in un dialogo a distanza fatto di scorci di avventure, di passione per la letteratura (e sono tante le riflessioni fra le pagine), di parole rubate al passato, di aneddoti, come quando Diego insegnò a Nastassia Kinsky a scalare per il cortometraggio tratto dal racconto di De Luca “Il turno di notte lo fanno le stelle”: conobbero allora Julian Sands, l’attore inglese che di lì a breve sarebbe morto proprio in montagna. Spie di un’intesa che si può solo vivere, se si è fortunati di poterlo fare almeno una volta. Ma è la penna dello scrittore campano a dar loro consistenza: record privati di un uomo felice della vita, mente aperta che amava i libri e le montagne, e che continua ora a vivere attraverso chi è rimasto, su rocce e per sentieri, sotto al cielo blu delle Dolomiti.
Erri De Luca al Salone del Libro di Torino 2024. @ Pamela LainatiErri De Luca, come ha conosciuto Diego Zanesco?
Con Diego Zanesco siamo stati amici per venti anni. Mi riconobbe seduto al bar di un piccolo centro in Val Badia, si presentò e mi disse che voleva scalare con me. Leggeva i miei libri. Così scalammo la nostra prima via insieme, una che ho poi ripetuto portando altri amici. Cominciò in punta di piedi e di mani su roccia la nostra amicizia.
Non è facile avere un amico vero.
Ho incontrato due uomini coi quali sono stato amico fraterno, uno si chiamava Gian Maria Testa, più giovane, l’altro Izet Sarajlic, più anziano, poeta di Sarajevo. Sono morti da tempo. Con Diego Zanesco l’amicizia si è fondata sui libri che abbiamo letto e sulle montagne che abbiamo scalato. Oggi si fa un uso abbondante della parola amicizia, scambiata sui canali sociali. Per me resta un sentimento lungo a formarsi e bisognoso di ribadirsi. Bisogna mangiare insieme un chilo di sale prima di fondare l’amicizia.
Proprio all'inizio lei nega di voler dire “dell’urto emotivo”. Il libro è un tentativo di razionalizzare il dolore?
È un libro che non pensavo di scrivere. L’inizio è stato il discorso che ho tenuto al suo funerale, in cui lo difendevo dall’accusa di aver esagerato con le sue scalate solitarie. Diego era morto d’infarto in montagna, buttato giù dal suo cuore, non da un errore, un’imperizia. Poi ho proseguito a scrivere oltre il discorso, ripercorrendo la storia di un’amicizia. Le parole servono a smaltire i lutti, ma nel mio caso no. Le parole di questo libro a me sono servite a dare una più alta definizione al dolore.
Colpisce il riferimento, ricorrente, al vuoto, all’assenza. Facile quella dell’alpinismo, dove il vuoto è un pieno d’aria e l’assenza è ricercata, per staccarsi dal troppo pieno antropizzato. Ma “La scomparsa di una persona essenziale lascia il mondo più piccolo, invece di più vuoto”. Che vuoto che lascia un amico?
Lascia una sedia vuota, un nodo sciolto che non si può più annodare alla base di una parete. Ma non lascia un vuoto interiore, anzi si trasferisce all’interno, prosegue coi pensieri, coi ricordi dentro di me e così fa di me un suo portatore.
Il ricordo di una persona si porta addosso: “In te mi imbatto mentre scalo”, si legge, “la tua assenza va contraddetta”. Ho trovato bella questa immagine, perché trasforma l’assenza in presenza.
Ho scalato la Via Dimai alla Tofana di Rozes per trovare il punto di distacco di Diego dalla parete e il suo impatto con Il suolo. Lui è rimasto lì. Il corpo steso nella cripta di Cortina era il suo addio alla vita, ma non era lui.
Cosa avrebbe detto Diego di questo libro? L’amico di corrispondenze segrete, o mai inviate? Di diari non letti?
Scrisse lettere che non mi ha spedito, rispondo con un libro che non ha potuto leggere. Entrambi abbiamo dato peso alla distanza dalla quale ci si mette a scrivere, una distanza così profonda che non spera di raggiungere.
Diego Zanesco più di una volta è stato presente alla nascita di un’idea per un suo libro, come Impossibile (2019), ambientato sulla cengia del Bandiarac che avete percorso insieme. ha finito per farlo anche stavolta, sebbene in maniera inaspettata...
L’estate scorsa con un mese intero da passare in montagna mi chiedevo se avrei scritto qualcosa. Non sono uno scrittore assiduo, quotidiano, abituale. Nel tempo dell’epidemia ho letto molto e scritto quasi niente. Alcune storie mi sono spuntate proprio dalle giornate solitarie in montagna. Mi è capitato però l’estate scorsa di scrivere invece le uniche pagine che non avrei voluto.
Parla di figli non avuti, è un principio di bilancio sulla sua vita?
Diego ha avuto figli, io no. Dal mio punto di vista non posso tirare bilanci da una mancanza. Lui mi raccontava i suoi, che non avevano ereditato la sua attrazione per le montagne, che avevano perciò inaugurato strade non battute. Ci piacevano le scelte di chi si distoglie dal percorso tracciato. Era lieto di loro e del rapporto conservato con le loro madri. Abbiamo parlato di amori scaduti e poi dei nostri arrivi in quelli definitivi.
Erri De Luca presenta “Discorso per un amico” al Salone del libro di Torino. @ Pamela Lainati