Dentro la neve: il sapere necessario per salvarsi la vita

Maurizio Lutzenberger, istruttore nazionale del Soccorso Alpino e delle Guide Alpine italiane, ci accompagna in una riflessione approfondita sul mondo della neve e delle valanghe. Dalla formazione degli operatori alla lettura critica dei bollettini, fino alla nascita del sistema NATLEFS, esploriamo il confine tra rischio e sicurezza, tra sapere tecnico ed esperienza vissuta
© Lawine LWD Tirol Snow Institute

Classe 1959, originario di Vipiteno, Maurizio Lutzenberger è considerato uno dei maggiori esperti italiani – e non solo – in tema di neve e valanghe. Istruttore nazionale del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico e delle Guide Alpine italiane, ha dedicato la sua vita allo studio della montagna invernale, con un approccio che unisce rigore scientifico e sensibilità sul campo. È l’inventore di NATFLEFS, un sistema collaborativo che consente alle guide alpine di condividere in tempo reale osservazioni dirette sul terreno, contribuendo a una rete più solida e affidabile per la comprensione e previsione del rischio valanghe. In questa intervista, Lutzenberger ci guida in un viaggio dentro il mondo della neve, tra consapevolezza, formazione e responsabilità collettiva.

 

In queste ultime settimane le valanghe sono tornate al centro dei fatti di cronaca: volendo analizzare sotto il profilo tecnico quanto è accaduto, come spiegheresti i vari avvenimenti?

Un inverno scarso di neve è sempre un anno di valanghe. Chi conosce a fondo la neve sa che con la scarsità di precipitazioni il manto nevoso si fa più complesso e fragile. Se la neve manca dalla dieta dello sciatore aumenta la fame. Il rapporto tra uomo e neve diventa davvero complicato. Dopo un evento valanghivo che coinvolge persone è facile capire come è accaduto. Dal punto di vista scientifico è tutto ricostruibile. Il perché le vittime si sono venute a trovare in una situazione pericolosa è molto più complesso. Imponderabilità, ignoranza, sfortuna o overconfidence? Sono aspetti, a mio avviso, sempre presenti anche se in misura spesso molto diversa.

 

Quali sono i principali fattori che influenzano la stabilità di un manto nevoso? In particolare, che ruolo giocano elementi come vento, sbalzi di temperatura e umidità nella formazione di strati deboli?

In poche parole, dal punto di vista prettamente fisico, per provocare il distacco di una valanga a lastroni, devono essere presenti contemporaneamente: uno sciatore, uno o più strati di neve coesi che costituiscono il lastrone stesso, uno strato debole al di sotto dei precedenti e ovviamente una certa inclinazione del pendio. In particolare è necessario che il lastrone, nel punto di innesco abbia uno spessore appropriato in modo tale che la pressione dello sciatore porti al collasso lo strato debole sottostante propagando la frattura su un’ampia area.

La concomitanza di questi fattori non si verifica facilmente e per questo motivo, fortunatamente, la valanga è un fenomeno piuttosto raro. Purtroppo, quando si scia, la presenza e la posizione di uno strato debole non è direttamente verificabile. La conoscenza degli eventi meteorologici che hanno influito lo sviluppo del manto nevoso ci permette però di ragionare in termini di processi e di orientare la nostra percezione per il pericolo latente.

I processi fisici che regolano la formazione degli strati deboli, responsabili della maggior parte dei distacchi, sono principalmente legati ai forti gradienti di temperatura che si creano tra alcuni strati durante l’evoluzione del manto nevoso. Qui i singoli grani di neve inizialmente arrotondati acquistano forme spigolose aumentando anche il loro volume. Questa discontinuità tra gli strati rappresenta così il vero problema dell’instabilità del manto nevoso.

 

Quali sono i dati alla base dell’osservazione nivologica, che determinano l’elaborazione del bollettino neve e valanghe?

Il bollettino valanghe si basa principalmente su una grande raccolta di dati nivologici e meteorologici nonché di una diffusa rete di osservazioni sul campo.

I dati meteorologici principali che influenzano il manto nevoso sono la temperatura e l’umidità relativa dell’aria, la radiazione solare, l’intensità dell’attività eolica, la successione delle precipitazioni. A questi si aggiunge tutta una serie di dati relativi al manto nevoso e più precisamente la sua successione stratigrafica. Tramite osservazioni sul campo vengono analizzate le caratteristiche di ogni strato. Spessore, temperatura, durezza, forma e dimensione dei grani, grado di umidità nonché eventuali combinazioni critiche.

Nell’ambito di queste osservazioni sul campo vengono di regola eseguiti diversi test di stabilità utili per quantificare il livello di criticità della combinazione stratigrafica. Recentemente, attraverso l’animata collaborazione con le guide alpine dell’Alto Adige è nato anche il progetto N.A.T.L.E.F.S. dove, attraverso un’applicazione dedicata, le guide stesse scambiano le loro osservazioni dirette contribuendo ad intensificare la rete di informazioni disponibile nonché a verificare l’attendibilità delle previsioni.

 

Cosa accade concretamente ogni giorno nei centri di previsione valanghe?

Gli esperti nivologi elaborano ed interpretano questa grande quantità di dati. Basandosi sulla loro fondata esperienza e con l’aiuto di modelli computerizzati di trasformazione del manto nevoso giungono a pubblicare il loro prodotto principale: il bollettino valanghe.

 

Il bollettino meteo-nivologico è uno strumento fondamentale, ma la sua analisi va spiegata nel dettaglio e applicata al contesto concreto: quali sono i tuoi consigli per leggerlo correttamente?

Il bollettino valanghe dovrebbe rappresentare la base per la programmazione di ogni escursione in ambiente innevato. Purtroppo le analisi sugli accessi al web hanno dimostrato che il tempo medio che gli utenti trascorrono sulla pagina non supera gli 11 secondi. Giusto il tempo per leggere un numero o distinguere il colore. Il bollettino valanghe è molto più di un semplice numero ma, come ho già detto è un’analisi sintetica di processi che oltre a limiti suggerisce anche possibilità e opzioni per la scelta di un’escursione in armonia con la situazione.

Bisogna però anche ammettere che una lettura approfondita e corretta richiederebbe conoscenze che con tutta probabilità l’utente medio non ha. Le informazioni che si trovano sul bollettino valanghe seguono una logica gerarchica definita “piramide delle informazioni”. Al vertice di questa piramide vi è il grado di pericolo che rappresenta, per un’area di 100 Kmq, la probabilità di innescare valanghe e la loro dimensione.

La scala di pericolo si compone di 5 gradi ed ha un’evoluzione esponenziale. Ciò significa che quando il grado di pericolo passa da 2 a 3 la probabilità di provocare un distacco statisticamente raddoppia! Abbinato al grado di pericolo si trovano indicazioni sulle quote ed esposizioni più critiche e, da una decina di anni, nelle informazioni per così dire “immediate” (quelle che non ci costringono a leggere) si trovano anche dei pictogrammi che rappresentano il problema valanghivo prevalente. I problemi valanghivi sono combinazioni ricorrenti di fattori che generano condizioni di particolare pericolo: “Neve ventata”, “Strati deboli persistenti”, “Neve nuova”, “Neve bagnata”, “Valanghe di slittamento” sono 5 situazioni ricorrenti che, in questo ordine, accompagnano gli incidenti. Infine, il bollettino è corredato di una descrizione dettagliata della situazione del manto nevoso e della situazione in generale… una cenerentola perché la leggono proprio in pochi. Per saperne di più consiglio vivamente di leggere i supporti interpretativi che si trovano sulle pagine web del bollettino stesso.

 

Come interpretare i gradi di pericolo e adattare di conseguenza la propria pianificazione invernale?

Oltre trent’anni fa Werner Munter, una guida alpina svizzera, motivato e supportato da compagnie assicurative propose una semplice regola con lo scopo di ridurre drasticamente gli incidenti degli sciatori. Osservando l’andamento esponenziale sia della scala di pericolo che delle inclinazioni critiche dei pendii, ha definito dei limiti che gli scialpinisti e i Rider dovrebbero rispettare. Con grado di pericolo 2 programmare escursioni lungo fasce di terreno larghe 40m con inclinazioni inferiori ai 40°, con grado di pericolo 3 programmare escursioni su pendii il cui punto più ripido non superi i 35°, con grado di pericolo 4 programmare escursioni su versanti il cui punto più ripido non superi i 30°.

Se valutando le inclinazioni limite la regola può sembrare piuttosto aggressiva, considerando l’area significativa proposta essa acquista un carattere piuttosto conservativo. In realtà la nivologia e gestione del rischio sono ben più complesse e la banalità della regola sembrerebbe evidente. La verità è però che dopo anni analisi si è visto che l’80% degli incidenti non rispettava i criteri di questa regola. La “Regola di riduzione elementare” rappresenta un primo importante filtro, validissimo per la programmazione a casa. Quando si è sul terreno si deve ricorrere a conoscenza ed esperienza.

 

Nessuna nevicata è uguale alla precedente e questo determina condizioni di pericolo anche in luoghi tradizionalmente “tranquilli”. Quanto è pericoloso affidarsi esclusivamente all’esperienza personale o alla conoscenza di un itinerario, senza valutare ogni volta le condizioni specifiche?

L’esperienza rappresenta tutto ciò che si è vissuto e a cui si è dato un significato oggettivo. Il semplice fatto di aver percorso molti itinerari senza conseguenze non ci rende per questo esperti. Bruce Tremper, nivologo canadese afferma che i pendii sono stabili per il 90% del tempo! Una consolazione… Io non sono in grado di quantificare la fortuna, almeno a priori. Oltre all’esperienza esiste in effetti anche l’intuizione… ovvero ciò che si è vissuto e a cui non riusciamo a dare un significato oggettivo. Di fatto funziona, ma solo per chi ha sperimentato migliaia di situazioni analoghe.

L’arroganza epistemica dei grandi esperti a volte finisce per incontrare il “cigno nero” ovvero quella situazione che nonostante le conoscenze e le esperienze non si sarebbero mai aspettati di vivere. La scienza delle valanghe è una materia molto complessa con molti aspetti ancora non risolti. La formula magica per la sicurezza in ambiente innevato a mio avviso esiste: è la somma di tre fattori sempre indispensabili. Le conoscenze, la paura, e la fortuna. A ognuno spetta poi la scelta personale delle dosi appropriate.

 

Il Soccorso Alpino e il CAI svolgono un importante lavoro di prevenzione: cosa si potrebbe fare di più, secondo te, a livello culturale?

CAI e Soccorso Alpino, in sinergia, potrebbero raggiungere il pubblico giovane con mezzi moderni. Immagino pillole informative attraverso brevi video di 20-30” dove l’attenzione del pubblico viene catturata da personaggi giovani e accattivanti, una sorta di influencer. Forse è una visione fantasiosa… ma varrebbe la pena provare.

Un lavoro di prevenzione molto importante e di grande qualità è svolto dallo Snow Institute, un contenitore di informazioni utili per chi vuole davvero approfondire il mondo della nivologia.

 

Stiamo migliorando nella percezione del rischio, oppure c’è ancora un’eccessiva fiducia nelle proprie capacità o nei dispositivi tecnologici?

La percezione del rischio è sempre soggettiva e selettiva. Soggettiva perché ognuno la regola in base alle proprie esperienze pregresse e selettiva perché ognuno presta maggiore attenzione a quegli aspetti che confermano la sua volontà. Chi vuole scendere un certo pendio, nasconde a se stesso tutte le informazioni che suggerirebbero una rinuncia mentre chi non lo vuole scendere nasconde quelle che darebbero via libera. La realtà la costruiamo nella nostra mente.

La cultura del rischio non è facile da costruire, almeno non in tempi brevi. La nostra società tecnologica ha imparato a risolvere i problemi e non a evitarli. Quegli occhiali che colorano di verde i pendii sicuri e di rosso quelli pericolosi non verranno mai inventati. Non sopravviverà né il più forte né il più intelligente ma solo chi si saprà adattare alle regole della natura.