Un momento della presentazion del libro di Deborah Compagnoni © Pamela LainatiUn libro più che semplice, genuino come l’infanzia che ha vissuto. Nel suo d’esordio letterario, Una ragazza di montagna. Storie di un’infanzia felice tra neve, prati e avventure (pp. 192, 22,90 euro, Rizzoli 2024), Deborah Compagnoni non ha messo la sua carriera sportiva, ma ciò che secondo lei l’ha resa possibile: una vita libera e indipendente, i giochi all’aria aperta da bambina con suo fratello Yuri (vero e proprio co-protagonista), la consapevolezza di essere amata e coccolata dalla sua famiglia allargata (mamma, papà, zii, nonni…), e dall’intera comunità di Santa Caterina di Valfurva, meno di 500 anime in provincia di Sondrio, a 1700 metri di quota.
Siamo nella Valtellina che si appresta ad ospitare per la prima volta le Olimpiadi, quelle di Milano-Cortina 2026, di cui la “Debby nazionale” è Ambassador. “Si terranno sulle piste più belle, che sono quelle delle Alpi, dove hanno sciato i nostri antenati. Nel cuore mi porto quelle di Cortina, dove ho sciato tanto, la Stelvio a Bormio, e ovviamente quella che mi hanno dedicato per i Mondiali del 2005, a Santa Caterina”. Così alla prima presentazione ufficiale che si è tenuta il 1° ottobre alla Libreria Rizzoli, in Galleria Vittorio Emanuele II, nel cuore pulsante della Milano che conta, dove anche il Club Alpino Italiano ebbe un tempo una storica sede che tanti soci ricordano ancora.
Il libro, da cui verrà tratta una serie animata e che, pur non nascendo come libro per bambini, si presta anche a un pubblico di lettori molto giovani, è composto da 20 racconti splendidamente illustrati dagli acquarelli di Anna Regge, dove trovano spazio piccoli ricordi di una vita felice, fra normali disavventure e molti insegnamenti, impartiti dalla natura o dai genitori, già attenti all’epoca a rispettare l’ambiente.
“Poco agonismo e molta natura” fra le pagine, ma anche il racconto di una bimba determinata, che già a dieci anni aveva chiare le sue ambizioni: sciare e dipingere, o forse fare la guida alpina come da tradizione di famiglia, o il guardiaparco o il maestro di sci. Così rivelava in un “pensierino”, uno di quei piccoli temi che si producevano alle elementari. “Non volevo scrivere la mia biografia, anche se molti me la chiedevano, per evitare di dire cose che tutti sanno”. Ovvero che è la sciatrice italiana più vincente di sempre, la prima nella storia dello sci alpino ad aver vinto tre ori in altrettante edizioni dei Giochi Olimpici invernali, altri tre ori e un argento Olimpici, tre ori mondiali, una Coppa del Mondo in Slalom Gigante e quarantaquattro podi in Coppa del Mondo. Meno forse si sa che nel 2022 a Bormio ha fondato l’associazione Sciare per la vita ODV, per la lotta contro la leucemia.
“Sono partita proprio dal ritrovamento di questo mio vecchio tema, e dal fatto che spesso i miei figli (tre, da Alessandro Benetton, con cui è stata sposata dal 2008 al 2021, NdR) e i miei nipoti mi chiedevano di raccontare tutte le storie vere di me e dello zio Yuri”. Il risultato è “un progetto strano ma bello, che parla della mia infanzia, una fase fondamentale per la vita che ho fatto”.
Un’infanzia che appare molto diversa da quella di tanti bambini di oggi, un po’ troppo oppressi da impegni e aspettative di genitori ansiosi che intasano le loro agende. Per non parlare delle aspettative di allenatori e società sportive quando si passa all’agonismo, che dovrebbe rappresentare il momento della consapevolezza, intorno ai 14-15 anni, ma è ormai molto più “estremo” di prima: “È un argomento complesso, ma la verità è che molti giovani non iniziano nemmeno, non tutte le famiglie hanno le possibilità economiche per iscriverli e anche a livello di Ministero dello Sport l’appoggio è poco, al massimo ci sono le società sportive”. E in ogni caso “non tutti reggono la pressione, oggi si vuole tutto e subito: lo sport invece è bello innanzitutto perché fa bene, viene prima dei risultati”.
Con quella filosofia a Deborah Compagnoni, è stato possibile anche superare i momenti difficili degli infortuni, spesso al ginocchio. “Meglio non averne, ma è importante sapere affrontare anche i bassi. Mi hanno sicuramente aiutata a dosare la mia istintività, affinando altre qualità, come l’equilibrio e la propriocezione, che magari avevo allenato da bambina saltando i torrenti e correndo per i prati. Avere i materiali tecnici migliori non basta”.
Ogni capitolo è un’avventura diversa, ma l’arena di gioco è sempre la stessa: Santa Caterina di Valfurva, dove non si usava mai la macchina, “se non per trasferte di piccole gare in località vicine, a scuola ci andavamo con la corriera. Vivevo intensamente le stagioni. Andare in montagna non era forzato, boschi e ghiacciai erano lì, come la neve d’inverno, a portata di mano. Quell’ambiente era parte di me”.
E soprattutto lo era il Baita Fiorita, l’albergo di famiglia oggi gestito da Yuri, dove scattò la scintilla: “Il primo ricordo degli sci risale proprio a me che guardo dalla finestra della cucina mio fratello uscire nella neve (allora ce n’era tanta) e sparire per andare a sciare. Lui aveva quattro anni, io tre, ma ho insistito così tanto, che una settimana dopo ho ricevuto gli sci azzurri che si vedono anche nell’illustrazione. Li hanno usati poi mio fratello piccolo, le mie nipoti, sono una tradizione di famiglia”. Di quel fratello piccolo, Jacopo, guida alpina e maestro di sci morto nel 2021 a 40 anni in una valanga proprio alle soglie di casa, nel libro non si parla che di sfuggita, anche perché era nato 11 anni dopo di lei. Yuri invece è in ogni pagina: “Era il mio compagno di scorribande, per questo le nostre avventure piacciono così tanto ai bambini, sono tutte vere, piene di libertà e di marachelle”. E degli animali – vipere, aquile, camosci – che si trovano nel Parco Nazionale dello Stelvio nel cui cuore si colloca il comune di Santa Caterina.
Pagine piene di quell’aria pura che riempie i polmoni: “Mi è sempre piaciuto tanto camminare in montagna, da qualche anno arrampico, mi piace fare scialpinismo, un modo di sciare più libero, anche se bisogna stare attenti a farlo in sicurezza, guardando bene i bollettini, ma anche sciare in pista, scegliendo le giornate meno piene di turisti”. E al proposito: “I turisti erano meno esigenti una volta, non andavano a chiedere cose che in montagna è difficile procurare, molti non si rendono conto di cosa significhi fare una doccia in un rifugio. Noi li abbiamo sempre aspettati con piacere, qualcuno è diventato amico di famiglia, ma sarebbe bello che le Olimpiadi portassero la consapevolezza che la montagna si può scoprire tutto l’anno, non solo a Natale, Carnevale e Ferragosto, e che non bisogna sempre andare negli stessi posti di moda a fare selfie o famosi perché ci hanno girato una fiction. Ci sono posti bellissimi su tutte le nostre montagne. Nel mio cuore ci sono il Pizzo Tresero disegnato in copertina, perché lo vedevo ogni mattina alzandomi dal letto, il Gran Zebrù, un simbolo della mia valle di cui mio fratello parlava sempre, e il Cervino, su cui sono salita dalla Via Italiana”.