Lago Federa, a destra Croda da Lago e in fondo il Bezzo di Mezzodì © Dario Bubola“Anche oggi si può provare la felicità percorrendo le valli più riposte, le creste di sperdute montagne. Solo bisogna non dirlo a nessuno: quei posti rischierebbero di diventare presto di moda. Tenete dunque per voi le vostre scoperte. Le montagne ve ne saranno grate: dal profondo del cuore”. Cosi esortava i montanari Giuseppe Mazzotti, a tenersi dentro emozioni e sorrisi e portarseli a casa.
Beh, il posto che vi racconto oggi è già di moda, ma fortunatamente non in ottobre e capirete perché.
Punto di partenza è il Ponte Rucurto che si trova sulla dalla SP 638 che da Cortina porta al Passo Giau a quota 1708 metri. Qui inizia il sentiero n. 437. Dimenticavo, non si può aspettare che il sole sia alto, ma seguire il suggerimento di Dino Buzzati a cui “piacevano le partenze su far del giorno al lume delle lanterne”. Ce lo ricorda l’amico e sua guida Gabriele Franceschini che continua, ricordando il compagno di tante scalate, “Sentivo che per lui era il momento sognato giorno per giorno, tutto l’anno: la magia. L’Alpe era una creazione straordinaria, favolosa, frequentata dagli spiriti”.
Proprio cosi, questo percorso lo si deve intraprendere alle prime luci del mattino per meglio assaporare il paesaggio fatato che ci aspetta.
La stradina si fa subito irta ma poco importa perché basta voltarsi per avere il sostegno morale della Tofana di Roses, ti impressiona dapprima la bastionata da cui parte il rosso degli spigoli che portano alla cima, solenne vetta dall’imponente parete. Si arriva a breve in una verde e ospitale spianata, dove si è tentati a riposare sul portico del Cason di Formin con innanzi un’incantevole fontana tipicamente dolomitica. Di qui si riparte tenendo la sinistra e seguendo il sentiero 434 che porta, con stretti tornanti, ad una terrazza sulla piana di Cortina dove l’incanto si fa realtà.
Si segue il sentiero pianeggiante, ad una quota di circa 2050 metri, che dolcemente ti spinge avanti. E provi la stessa sensazione che ha un bambino quando scarta un regalo: strappi la carta cercando di immaginare quello che nasconde, ti scorrono brividi di piacere, fatichi a trattenere il sorriso, muovi le spalle e le braccia, i passi si allungano e lo sguardo cerca tra i cespugli, dietro una roccia, attraverso il bosco. Scruti lontano, togli l’ultimo lembo di carta e scopri finalmente quello che non ti saresti mai immaginato: un lago di smeraldi, uno specchio dove trovi quanto di più incantevole può offrire il mondo: larici color senape che si tuffano nell’acqua luccicante e sopra roccia che sale e si fa croda, si fa pinnacoli, si fa guglia maestosa. È la Croda da Lago.
“Si racconta che il Dio della montagna, seduto sul suo trono – il Pelmo -, abbia un pomeriggio d’autunno ordinata a una compagnia dei suoi lancieri di marciare a nord, oltre le Tofane per controllare i piccoli Fanes: un insolito rumo d’armi veniva da quelle parti. I lancieri, sgranati in fila indiana, con gli zoccoli dei cavalli avvolti nel muschio per non far rumore, attraverso Val di Entremont, arrivarono a Forcella Ambrizzola. Le montagne ardono, un immenso rogo dall’Antelao alle Tofane fa corona alla verde conca di Ampezzo. E’ il Tramonto. Fermi sui loro cavalli, i lancieri spalancano gli occhi, tirano le biglie e … restano di pietra. Così è nata la Croda da Lago”. Ed è cosi che ce la racconta Bepi Degregori.
La vista dal lato nord del lago Federa si alza inevitabilmente ma lentamente, e in fondo lontano la sagoma di una montagna come la disegnerebbe un bambino. Dominante, appuntita, imponente, a far da cornice al quadro dipinto da chi sa quale entità sovrannaturale, il Becco di Mezzodì. Sì perché quei colori dolcemente accostati, quella luce che solo di mattina presto si può vedere, quei contorni indefiniti, sfumati, pastello delle rocce, del bosco autunnale, non può che avere una mano divina.
“Ricordo la mattina di un lontanissimo settembre quanto per la prima volta venni a contatto con le famose Dolomiti.” Racconta Buzzati. “Avevo quindici anni e la montagna era entrata dentro di me addirittura come un’ossessione d’amore. E dopo interminabili discussioni con la mamma avevo ottenuto il permesso, e i soldi, per fare qualche arrampicata sul serio. Sul serio? Andavo, figuratevi, a fare il Becco di Mezzodì sopra Cortina, per la via Normale”.
Il tepore del sole che scalda il muschio si alza e con esso ti risvegli lentamente dall’incanto. Rendendoti conto che quello che vedi è reale e non è un sogno.
Sogno che si è portato sempre appresso Dino Buzzati che quelle cime ha frequentate tutta la vita, fisicamente e interiormente, quando, lontano, nella grigia Milano, immaginava triste, soprattutto quella che lui definiva la “più spettacolosa … la vertiginosità della Croda, perchè attorno non si vedono che picchi e pareti a piombo. La cima anche quella è aerea oltre ogni dire, è esilissima e non si vedono che le rocce della valle fonda e i picchi e le ghiaie sotto”
E proprio sulla Croda da Lago, qualche anno fa, sono state liberate al vento le ceneri dello scrittore, che dolcemente si sono sparse attorno, tra le Dolomiti più belle.