La possibilità di un cambiamento di prospettiva che, partendo dalla
crisi climatica, consentirebbe un ritorno alla vita nelle tante aree montane del nostro Paese teatro, nel corso degli ultimi decenni, di un costante spopolamento. Questo si legge nell'ultimo libro del climatologo
Luca Mercalli Salire in montagna. Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale (Einaudi, 2020), presentato ieri dall'autore e dal Presidente generale del Cai
Vincenzo Torti in diretta Facebook nell'ambito di Bookcity.
Il libro
Un libro che si è rivelato lo spunto per una interessante chiacchierata sul
futuro prossimo delle aree montane, in particolare quelle meno “patinate” (che sono la maggioranza), che potrebbero avere nuove opportunità di uno sviluppo intelligente e sostenibile a causa dell'aumento delle temperature e del conseguente spostamento in quota di un numero considerevole di persone.
«Partendo da un'esperienza autobiografica (l'acquisto di una grande casa del' 700 in una località alpina e la sua ristrutturazione per poterci abitare n.d.r.), Mercalli ha preso lo spunto per offrire uno sguardo a tutto campo sulla montagna e le sue criticità, mettendo il cosiddetto dito nella piaga nel rapporto ancora conflittuale con la pianura - ha affermato Torti - Una marginalità, dunque, che si vorrebbe finalmente vedere tradotta in specialità e qualità. Con il suo libro, Mercalli ha dato coerenza alle proprie opinioni scientifiche presentando uno scenario futuro della montagna che sia positivo per essa e le sue popolazioni, e di rimando per la pianura».
Una montagna dove si vive e si lavora
Il cambiamento di prospettiva citato in apertura, secondo Mercalli, riguarda in particolare il
retroterra montano che caratterizza quasi tutte le città medio-grandi del nostro Paese (da Milano a Torino, per arrivare a Bologna, Firenze e Verona, solo per citarne alcune), «che potrebbe accogliere un certo numero di persone non legate ai mestieri tradizionali delle Terre alte, ma che, grazie al telelavoro che molti di noi hanno sperimentato durante il lockdown e stanno sperimentando ancora oggi, potrebbero vivere in località montane continuando a esercitare la propria professione, senza trasformarle in dormitori facendo avanti e indietro con la città. Ci troveremmo così davanti a u
na montagna dove si vive e dove si lavora».
Questo scenario non riguarderebbe tutti, del resto, come Mercalli e Torti hanno ricordato, la montagna non potrebbe accogliere milioni di persone da un decennio all'altro: riguarderebbe chi ha un lavoro esercitabile a distanza, chi ha ereditato una vecchia casa in qualche località alpina e appenninica e chi ha veramente a cuore le Terre alte ed è pronto ad affrontare le difficoltà tipiche della vita in questi luoghi, facendosi permeare dalla cultura e dalle usanze locali. Sarebbe dunque
una migrazione “di qualità”, da parte di persone in grado di superare la diffidenza di molti montanari grazie alla propria motivazione e in grado di dare un nuovo slancio a luoghi in questo momento marginali. Per ottenere tutto questo, è fondamentale però attrezzare i Comuni montani, abbattendo come prima cosa il digital divide, e ragionare in un'ottica di
riutilizzo sostenibile di quello che c'è già, senza nuove colate di cemento. Poi certo, è necessario affrontare la questione “antropologica” preparando i montanari a nuovi arrivi che, con il tempo, consentirebbero anche a loro di vivere in un luogo migliore.
La copertina del libro © Einaudi
Un turismo diverso
Torti e Mercalli si sono mostrati d'accordo anche su un altro aspetto: la migrazione verticale per ora è un'ipotesi di un futuro prossimo, ma già oggi si possono sensibilizzare le persone a un turismo diverso, a frequentare le tante località meno note
in maniera lenta, intelligente e curiosa, dando così nuove opportunità lavorative agli abitanti. Una cosa che vede già impegnato il Club alpino con il progetto di rilancio del
Sentiero Italia CAI, confermata dal successo che sta avendo la proposta di entrare nella
rete di accoglienza ufficiale del percorso.
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