Crisi climatica: la tundra dell'Artico si espande a velocità senza precedenti

La tundra artica sta subendo un'espansione senza precedenti a causa del ritiro dei ghiacci marini e dei ghiacciai, con effetti negativi sulla biodiversità e sui cicli biogeochimici. L'aumento della vegetazione, noto come "greening", sta cambiando il paesaggio, ma la fusione del permafrost rilascia gas serra, intensificando il riscaldamento globale e complicando ulteriormente la situazione ambientale.
La tundra in Alaska © Pixabay

La tundra artica, un ecosistema fragile e tipico delle regioni polari, sta vivendo un'espansione senza precedenti. Questo fenomeno, documentato da un recente studio internazionale coordinato dall'Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), è strettamente legato alla riduzione della copertura di ghiaccio marino e al progressivo ritiro dei ghiacciai. L'analisi, condotta in collaborazione con l'Alfred Wegener Institute, il Helmholtz Center for Polar and Marine Research e il Joint Research Center Eni Cnr, mette in luce le drammatiche conseguenze di questo processo sulla biodiversità e sui cicli biogeochimici dell'Artico.

Attraverso l'analisi delle firme chimiche contenute nei sedimenti marini prelevati nelle Isole Svalbard, gli scienziati hanno identificato un significativo cambiamento nella copertura vegetale artica a partire dall'inizio del XX secolo. Questo mutamento coincide con il declino della Piccola Età del Ghiaccio (1400-1900 d.C.) e con il successivo riscaldamento globale di origine antropica. Secondo il coordinatore dello studio, Tommaso Tesi del Cnr-Isp, il drastico declino dell'estensione del ghiaccio marino ha favorito una crescita esponenziale della vegetazione terrestre, fenomeno che ha raggiunto il suo picco massimo negli anni Novanta del secolo scorso.

 

Un Artico sempre più verde:

L'incremento della vegetazione in Artico, noto come "greening", ha portato a un cambiamento della composizione delle comunità vegetali. Inizialmente, le aree liberate dal ghiaccio sono state colonizzate da muschi e licheni, tipici della tundra. Successivamente, con l'accumulo di materia organica e il miglioramento delle condizioni del suolo, hanno iniziato a insediarsi anche piante vascolari come il Salix polaris, una piccola specie arbustiva adattata a condizioni più miti.

Questo nuovo assetto ambientale presenta implicazioni contrastanti. Da un lato, l'aumento della copertura vegetale può contribuire al sequestro del carbonio atmosferico, mitigando parzialmente l'effetto serra. Dall'altro, la rapida trasformazione degli ecosistemi artici potrebbe alterare i cicli biogeochimici e influenzare negativamente la fauna autoctona, costretta ad adattarsi a un habitat in continua evoluzione.

 

L'incognita del permafrost

Uno degli aspetti più preoccupanti di questa transizione riguarda la fusione accelerata del permafrost, il suolo perennemente ghiacciato che ricopre vaste aree dell'Artico. Con l'aumento delle temperature, il permafrost rilascia nell'atmosfera ingenti quantità di gas serra, come anidride carbonica e metano, amplificando ulteriormente il riscaldamento globale. Questo effetto a catena potrebbe annullare i benefici derivanti dall'aumento della biomassa vegetale e aggravare ulteriormente il cambiamento climatico.