Mario Rigoni Stern racconta che una volta, arrabbiato per un ingiusto castigo infertogli dal padre, era scappato con gli sci ai piedi e un libro nello zaino. Si era rifugiato in una malga, ma faceva molto freddo e aveva dovuto bruciare anche tavoli e sedie per scaldarsi. Lì, alla luce tremula delle fiamme, aveva iniziato a leggere il suo autore preferito: Joseph Conrad. Tifone lo faceva sognare di mari lontani dove sperimentare avventure incredibili agli occhi di quel quindicenne, ancora ignaro delle vicissitudini molto meno entusiasmanti che avrebbe affrontato di lì a poco.
Non solo lo scrittore di Asiago, ma un buon numero di altri alpinisti aveva Conrad nel cuore. Il perché sta nelle pagine dell’accurato ritratto biografico e letterario che ne fa Giuseppe Mendicino in Conrad. Una vita senza confini (pp. 296, 19,00 euro, Laterza 2024), frutto di due anni di lavoro e di una frequentazione letteraria iniziata in gioventù con opere come Lord Jim, Cuore di tenebra e altre selezionate dalle moltissime pubblicate in vita (la prima edizione Bompiani delle Opere complete contava 24 volumi), fino a rintracciarne gli echi contemporanei nel cinema e nella letteratura.
Mendicino, noto per gli studi su Rigoni Stern, Primo Levi e Giovanna Zangrandi, per citarne alcuni, mette infatti in evidenza i valori che accomunano gli uomini di mare a quelli di montagna: il coraggio, la responsabilità verso il prossimo, che valgono durante una tempesta nell’oceano come in cordata. E l’amore per la libertà, soprattutto.
Conrad, infatti, nacque Józef Konrad in Ucraina nel 1857 in una famiglia della piccola nobiltà polacca filonapoleonica, e morì 100 anni fa nel 1924. Ma era figlio di due rivoluzionari uccisi a causa del regime zarista e dovette fuggire: scelse la via del mare e fece la gavetta fino a diventare capitano. L’Inghilterra gli diede una nuova patria e una nuova lingua, imparata a 20 anni. Ma restò sempre straniero, tanto che Virginia Woolf, in un pur bellissimo epitaffio in morte, lo definì ancora “nostro ospite”. Conrad sapeva, come ogni emigrato di ieri e di oggi, che sarebbe sempre rimasta una distanza: per questo affondò le sue vere radici nei valori e nell’etica del vecchio continente, aspirando con largo anticipo sui tempi a essere europeo.
Giuseppe Mendicino, foto dell'autore.Giuseppe Mendicino, Conrad nell’immaginario comune è uno scrittore «di mare», perché la montagna?
I primi a parlarne sono stati Primo Levi e Massimo Mila. L’accostamento ha una valenza profonda: il mettersi alla prova, la passione per le altezze e per l’inesplorato, il confronto con se stessi e i propri limiti, la solidarietà e il senso di responsabilità in cordata come in una nave sballottata nell’oceano, la competenza come elemento necessario per affrontare i rischi e la paura. Il dovere di essere sempre all’altezza della situazione: sulla tolda di una nave come su una parete verticale o davanti a una pagina bianca, tutta ancora da scrivere.
Per Rigoni Stern Tifone restò solo una lettura giovanile?
Il romanzo racconta di come il capitano MacWhirr alla fine riesce a salvare nave, equipaggio e immigrati cinesi (i coolies). Come fece Rigoni Stern quando portò in salvo i 70 uomini del suo plotone lungo la ritirata fino a Nikolajewka e oltre. Salvò se stesso e soprattutto chi si era affidato a lui, esprimendo quel senso di solidarietà che lega i marinai come gli alpinisti. La barca è come la cordata: o ci salviamo tutti o periamo tutti. Quando era in guerra gli sarà tornato in mente di sicuro, perché le cose lette da ragazzi restano dentro. E al contrario di Stevenson, Salgari o Verne, Conrad è un autore che, se ti prende veramente, lo leggi da grande: c’è tutto il mondo e un modo complesso di leggere la realtà, raccontandola in maniera innovativa, sfruttando molti punti di vista narrativi come avrebbe fatto Dostoevskij, senza per forza seguire l’andamento cronologico.
Con Conrad Primo Levi condivide anche il senso dello sradicamento, del sentirsi stranieri in patria, una condizione subita da tanti ebrei dopo le leggi razziali.
Era il suo autore preferito. Lo posiziona tra i suoi riferimenti etico-culturali nel libro La Ricerca delle radici. Con i suoi frequentava la Valle di Cogne e scrive infatti che i suoi oceani sono i ghiacciai dell’Herbetet. C’è una bellissima foto del 1940, ora esposta al Museo della Montagna a Torino (per la mostra "Le ossa della terra" su Primo Levi e la montagna, a cui ha contribuito anche Mendicino, NdR), di lui a cavallo del camino del Rifugio Vittorio Sella, dove un anno prima anche Rigoni Stern si era fatto fotografare. È una coincidenza impressionante: i due si erano sfiorati senza incontrarsi, sarebbero diventati amici tanti anni dopo. Primo Levi vedeva tre cose in Conrad: il coraggio, il senso di responsabilità verso gli altri e poi anche la passione per il lavoro. La precisione nel verificare ogni convinzione con la prova dei fatti, con passione, con serietà e con competenza, vale per il chimico, vale per il capitano e vale anche per l’operaio specializzato Fassone in La chiave a stella, che infatti si chiude con una citazione da Tifone.
Tra i “conradiani” citi Calvino e Buzzati, ma bisogna dire che Conrad era fra le consuete letture per ragazzi…
Calvino ha iniziato e finito la sua vita letteraria con Conrad: ha scritto la tesi di laurea su di lui e lo ha citato ripetutamente nelle Lezioni americane (rimasero incompiute, perché Calvino morì nel 1985 prima di completarle, NdR). Condivide questa passione con molti alpinisti, come Bonatti, che impara l’istinto dell’avventura leggendo Melville, Stevenson, Jack London, e come Messner, per non parlare degli alpinisti inglesi che lo leggevano regolarmente. Perché c’è il senso dell’avventura, il senso di responsabilità e anche la profondità. Mila lo nomina in una bellissima lettera scritta alla madre dal carcere, quindi privato della libertà, della musica, delle montagne, alla Vigilia di Natale. Mi commuove pensare a questo figlio che in una cella buia scrive alla madre parlando di un grandissimo autore pieno di orizzonti immensi…
Fin da giovane Conrad voleva esplorare gli “spazi bianchi” sulla mappa geografica: l’esplorazione incarna il senso profondo dell’alpinismo, ancora oggi che sembra tutto già visto.
Ce lo ha insegnato Bonatti che l’alpinista può essere anche esploratore e viceversa. Ad accostare Conrad all’alpinismo è proprio il gusto di scoprire cosa c’è in questi spazi vuoti, il desiderio di conoscere l’ignoto e di misurarsi con se stesso. Vedere cosa c’è oltre le colonne d’Ercole, ma anche dentro di sé è una caratteristica che io trovo in tanti grandi alpinisti e in tanti grandi navigatori, come il coraggio e il senso del limite.
Il senso del limite dirige la bussola dell’esplorazione dall’esterno all’interno, dalla geografia all’animo umano, delle persone come dei personaggi letterari. Conrad dichiara che il mare è stato per lui solo un pretesto per indagare “l’implacabile oceano della vita umana”. Calvino lo ama perché “naviga l’abisso e non ci affonda”.
Cercare i propri limiti significa anche saperli accettare, fermandosi prima di una vetta se si è troppo stanchi o il tempo non lo consente. Pure Conrad è arrivato al limite, ha rischiato di morire quando è andato nel Congo, i danni alla salute se li è portati dietro per tutta la vita, ma anche scrivere, con la dedizione con cui lo faceva lui, era un lavoro fisico sfibrante, la moglie racconta che ne usciva distrutto.
Primo Levi annoverava Conrad fra gli scrittori di cui si distingue “la statura dell’uomo” e anche tu sembri usare questo criterio nelle biografie che hai pubblicato, a cosa lavorerai in futuro?
In effetti non mi basta un bel libro per appassionarmi, deve piacermi anche l’autore, amo scoprirne le qualità, la coerenza, il codice di valori e al proposito vorrei citare anche due donne eccezionali: Giovanna Zangrandi e Tina Merlin. A fine anno vado in pensione, vorrei approfondire il rapporto fra scrittori e montagne, ci avevo già provato con Portfolio alpino. Alcuni sono fantastici, Mila andrebbe riscoperto.
Dichiari che in Italia, nonostante gli ottomila chilometri di costa, manca una diffusa letteratura di mare, quella di montagna va meglio?
Forse la montagna, con il suo silenzio, ispira di più alla riflessione, alla lettura. Dalle Alpi agli Appennini, ho incontrato spesso persone che non hanno avuto la fortuna di studiare, ma hanno letto moltissimo. E chi legge è inevitabilmente portato a scrivere. Penso a Walter Bonatti, a Giovanni Cenacchi, a Fosco Maraini, il maggiore di tutti. Buzzati più di chiunque sa raccontare il mare e la montagna: in un’intervista rivelò di essersi ispirato a Lord Jim nel Deserto dei tartari per parlare di quel senso di incompiutezza che dà il vedersi scappare un avvenire che immaginava glorioso.
Ma quelli erano giornalisti prima di tutto. Perché invece è difficile oggi trovare uno come Bonatti?
Alpinisti e scrittori del Novecento, da Ettore Castiglioni a Massimo Mila, scalavano le montagne seguendo le linee più naturali, per quanto fosse difficile la parete. Non c’era l’ansia della prestazione. Quando prevale l’ansia dell'impresa sportiva non si perde solo la capacità di leggere, di scrivere, ma per me a volte anche il senso vero della montagna: conoscere se stessi, i propri limiti, mettersi alla prova, scoprendo anche il proprio senso di responsabilità verso gli altri. Sono valori e idee comuni a tutte le latitudini, che travalicano l’essere uomo o donna, o l’appartenenza a un’idea politica.