Civetta d'inverno: la sfida solitaria di Marco Anghileri

Era la metà del gennaio 2000 quando Marco Anghileri ha scelto di mettersi alla prova in solitaria e d'inverno sulla nord del Civetta. Il suo obiettivo era la via Lettenbauer-Solleder.
Marco Anghileri © Facebook Marco Anghileri

Dal 14 al 18 gennaio 2000 Marco Anghileri sale in prima invernale solitaria la via Lettenbauer-Solleder sulla parete nord-ovest del Civetta, una delle più grandi delle Alpi, sul lato in ombra di un monte colossale citato fin dal Seicento come Sass di Zuìta, che in zoldano vuol dire “civetta”, ma che nella carta del Regno Lombardo Veneto del 1833 cambia lingua e sesso e diventa Civita al maschile, perché la dolomia incorpora le murate, i merli, le torri, i bastioni e gli spigoli delle roccaforti medievali, destinate a catturare gli sguardi e respingere gli assalti.  Tuttavia non esiste una parola domestica per descriverla adeguatamente. Nessun concerto di voci e mura di città. Nessuna civitas o armonia urbana. La Civetta è solo natura estrema, e mistero, e sfida verticale. Montagna tentatrice nelle promesse algide dell’alba, nel sole di mezzogiorno e nella meraviglia dei tramonti sui precipizi settentrionali, quando per inganno sembra dolce anche lo spavento. Come scrisse il più ispirato interprete delle sue verticali di roccia pericolante, Emilio Comici, la Civetta è una femmina che “la incanta”. 

 

Il primo sesto grado

Proprio quest’anno saranno cent’anni dalla prima salita di Gustav Lettenbauer ed Emil Solleder, che i testi di alpinismo considerano il primo sesto grado nella storia della scalata e di sicuro fu un’impresa memorabile. Era il 7 agosto 1925. Lo sconosciuto Gustav Lettenbauer e la famosa guida di Monaco Emil Solleder s’incontrarono per caso al rifugio Coldai; c’era anche un terzo scalatore, ma rinunciò dopo un tentativo. Così i due formarono la cordata casuale e fortissima che salì la parete delle pareti, alternandosi in testa alla cordata. La via diventò la Solleder perché Emil era l’eroe del momento mentre Lettenbauer era solo l’oscuro tecnico ortopedico che presto avrebbe lasciato l’alpinismo estremo per dedicarsi alla professione e alla famiglia.

 

La solitaria di Anghileri

Marco Anghileri, talentuoso alpinista di Lecco e figlio d’arte, scala da solo la grande parete nei gelidi giorni tra il 14 e il 18 gennaio 2000, su una via che ha già percorso d’estate. Al ritorno racconta a Vinicio Stefanello: “I primi due giorni sono volati via. Non c’era tanta neve. Freddo sì, e sui tiri del camino bloccato e della svasatura le scarpette non avevano proprio aderenza perché c’era come una patina di ghiaccio, ad ogni modo salivo. Dopo è arrivato quel vento allucinante. Neve portata e freddo, era come se nevicasse tutto il giorno. Con le scarpette ho fatto solo quattro tiri, poi ho messo gli scarponi e dal Cristallo in su ho dovuto arrampicare sempre con i ramponi e i guanti… Altro enorme problema, che già conoscevo, è stato il recupero del saccone. Se ben ricordo, solo quattro volte sono riuscito a recuperarlo direttamente dalla sosta. Tutte le altre volte dovevo scendere, caricarlo sulle spalle o attaccarmelo all’imbrago e risalire sulle jumar. Che fatica!” Il saccone di Marco pesava 33 chili. Lui era un grande.