Cile: Marco Zanchetta e Domenico Mottarella aprono "Perdidos en el mundo"

I due alpinisti lombardi hanno ripetuto la bella big wall di Pedeferri e compagni nella valle del Cochamó, oltre ad avere aperto una nuova linea nella Valle de la Paloma
Zanchetta (sx) e Mottarella (dx) in vetta © M. Zanchetta, D.Mottarella

Marco Zanchetta e Domenico Mottarella sono appena tornati dalla Valle del Cochamó, nelle Ande. In quella che viene anche chiamata la “Yosemite cilena”, hanno ripetuto Perdidos en el mundo sul Cerro Walvalun, una bella via di Simone Pedeferri, ma hanno aperto anche un nuovo itinerario in una valle adiacente. Il viaggio ha lasciato ottime sensazioni ai due alpinisti, come ci conferma lo stesso Marco, aspirante guida alpina e membro dei Ragni di Lecco. “Sto ancora cercando di abituarmi all'idea di essere tornato, ci vuole sempre un attimo a riprendersi. Il posto dove siamo stati è stupendo: assomiglia un po' alla Val Masino: come granito, come struttura di parete e come avvicinamenti. La differenza è che lì ora è estate, per cui di neve ne abbiamo trovata proprio poca. Siamo partiti il 22 gennaio, siamo andati per scalare un po' di tutto. Eravamo stati a Yosemite e cercavamo qualcosa di simile, al caldo”.

Lo schizzo di Perdidos nel mundo © S. Pedeferri
Mottarella su Perdidos en el mundo © M. Zanchetta, D.Mottarella

Zanchetta e Mottarella sono riusciti anche ad aprire una nuova via nella Valle de la Paloma: El diedro de lo squalupo, 150 metri con difficoltà fino a 7c. Nonostante tanto lavoro di pulizia, è avanzato abbastanza tempo anche per ripetere una bella big wall del 2013 di Simone Pedeferri, Mirko Masé, Andrea Zaffaroni, Mattia Tisi e Lorenzo Lanfranchi. ”Simone ci era stato un po' di volte, aveva aperto una via che si chiama Nunca mas mariscos e altre, ne avevamo sentito parlare. Le sue vie sono una garanzia: il suo stile è proteggersi dove si può, ma su placca, se non c'è modo, si fa senza. Non ti manda a morire, la via ha il suo ingaggio ma anche la sua logica, oltre a essere molto bella. La prima parte, i primi 12-13 tiri, erano tutta placca, anche piuttosto lisciata dagli agenti atmosferici, la parte alta invece proseguiva su un sistema di fessure, con il granito che mordeva un po' di più ed era anche un po' più sporco a dire il vero. Probabilmente in tanti scendono dopo la prima parte e non ripetono la seconda. Noi il primo giorno siamo saliti fino alla fine delle placche, dove c'è una grande cengia, un vero hotel. Ci sono belle piazzole e anche un rigagnolo d'acqua, non ce la siamo dovuta portare su. Abbiamo fatto un ottimo bivacco e il giorno dopo siamo andati fino in cima con altrettanti tiri”. 

La via ha uno sviluppo di circa 870 metri, con difficoltà fino a 7b+, obbligatorio 6c. “Dalla cima abbiamo fatto doppie fino alla cengia, abbiamo recuperato il materiale da bivacco e siamo scesi alla base. Alle 8 di sera eravamo in campeggio a mangiare, meglio non poteva andare. Il bello delle vie di quel gruppo lì è che vai sul sicuro: sono belle pepate ma non ci si fa male inutilmente, in zona abbiamo trovato vie di cui non si può dire altrettanto. Noi venivamo dall'apertura di una linea nostra [ne scriveremo a breve, ndr], c'erano rimasti un paio di giorni ed è stato il modo migliore per impiegarli”.