Ci hanno lasciato

Nel corso del 2020 l'alpinismo è stato colpito da una serie di lutti che hanno scosso molti dei praticanti della montagna. A tutti gli scomparsi va il nostro commosso ricordo
Che il 2020 sia stato un anno difficile lo dicono tutti e lo confermano le cronache. Tra pandemia e disastri naturali, la coda del secondo decennio del secolo verrà ricordato come uno dei periodi peggiori della storia recente. Non per nulla, alcune recenti statistiche ci hanno ricordato che negli ultimi dodici mesi l’Italia ha avuto un numero di morti pari a quelli del 1944, quando il Paese era in guerra. Anche l’alpinismo italiano è stato colpito da un serie di tragedie che ancora oggi, a distanza di tempo, continuano a suscitare costernazione e dolore, considerando soprattutto la personalità e la giovane età di alcuni degli scalatori che ci hanno lasciato. Ragazzi il cui nome è apparso spesso nelle cronache delle ascensioni degli ultimi anni e ai quali vogliamo dedicare un ricordo affettuoso. Sfogliando a ritroso l’agenda dell’anno che sta per concludersi, è doveroso ricordare, accanto a diversi altri che non riusciamo a citare, due noti scalatori scompari a causa di incidenti capitati in montagna, la cui figura rimarrà impressa per sempre nella storia.
Matteo Bernasconi
Matteo Bernasconi, 38 anni, classe 1982, nato a Lecco ma residente a Busto Arsizio, era entrato nel gruppo Ragni della Grignetta nel 2003. Nel 2011 aveva ottenuto il brevetto di guida alpina. Era un alpinista molto forte, serio e determinato in montagna, ma allegro e scanzonato nella vita di tutti i giorni. Il “Berna”, come lo chiamavano tutti, aveva cominciato ad arrampicare da ragazzino, e possedeva un curriculum di scalate davvero impressionante. Nel 2006, con Hervé Barmasse, Lorenzo Lanfranchi e Giovanni Ongaro, aveva aperto una via sulla parete nord del Monte San Lorenzo (Patagonia), fino a quel momento mai scalata. Nel 2008 con Fabio Salini, aveva portato a termine la prima ripetizione italiana della via dei Ragni sul versante ovest del Cerro Torre. Poi, tra il 2010 e il 2013, aveva partecipato a tre risoluti tentativi di salita sulla parete ovest della Torre Egger (dopo il suo rientro in Italia per impegni lavorativi, la via era stata terminata da Della Bordella e da Luca Schiera). Infine, lo scorso inverno, sempre in Patagonia, assieme a Della Bordella e a Matteo Pasquetto, Bernasconi aveva aperto la via Il dado è tratto sulla parete nord dell’Aguja Standhardt (gruppo del Cerro Torre), e poco dopo aveva ripetuto la via del 40° dei Ragni di Lecco sulla Nord dell’Aguja Poincenot (gruppo del Fitz Roy). Il 12 maggio, il “Berna” è rimasto vittima di una valanga nel corso di una scialpinistica solitaria nel Canale della Malgina sul Pizzo del Diavolo, nelle Orobie, in Valtellina.
Matteo Pasquetto
Nel pomeriggio del 7 agosto scorso, scendendo lungo la cresta del Reposir sulle Grandes Jorasses, ha perso la vita anche Matteo Pasquetto. Aveva appena terminato una difficile via nuova sulla parete est assieme a Matteo Della Bordella e a Luca Moroni. Alpinista fortissimo e particolarmente dotato, sempre attento e prudente, con un palmarès di scalate davvero invidiabile, Pasquetto era aspirante guida e conosceva a fondo il massiccio del Monte Bianco, dove aveva realizzato grandi scalate, come Groucho Marx sulle Grandes Jorasses, o Divine Providence al Grand Pilier d’Angle. Con il “Berna” e con Della Bordella, Pasquetto aveva firmato in Patagonia vie di assoluto prestigio. Lo scorso inverno, i “tre Mattei” avevano tentato il mitico Diedro degli inglesi sulla Est del Cerro Torre, poi avevano aperto la via Il dado è tratto sulla Aguja Standhardt e, ancora, erano riusciti a ripetere la via del 40° dei Ragni di Lecco sulla nord dell’Aguja Poincenot. Infine, Pasquetto aveva ancora tracciato con Della Bordella la via Jurassic Park sulla parete nord di El Mocho, nel gruppo del Cerro Torre. Originario della provincia di Varese, Pasquetto avrebbe compiuto 26 anni l’11 agosto.

Leggende dell’alpinismo d’antan

L'alpinista americano Dee Molenaar
Nel corso del 2020, il mondo dell’alpinismo internazionale è stato punteggiato dalla scomparsa di diversi altri nomi illustri. Il 19 gennaio è scomparso l’americano Dee Molenaar, 101 anni, che oltre a un’intensa attività in montagna eccelleva anche nel campo della fotografia ed era un talentuoso acquarellista. Nativo di Los Angeles, era l’ultimo alpinista vivente della spedizione americana al K2 del 1953.  
Joe Brown © Nat Allen
Il 15 aprile scorso, a 89 anni, se n’è andato in punta dei piedi anche il britannico Joe Brown © Nat Allen, classe 1930, leggendario scalatore che aveva fatto la storia moderna dell’arrampicata e dell’alpinismo britannico. Nativo di Ardwick, nel circondario di Manchester, ultimo di sette figli di una modesta famiglia della working class, aveva mostrato fin dall’adolescenza una particolare predisposizione per l’arrampicata. Ancora oggi sono celebri le sue vie sulle rocce nello Snowdonia National Park e nel Peak District. Nelle Alpi occidentali la Fissure Brown sull’Aiguille de Blaitière è tuttora un mito nella storia dell’alpinismo. Ma Joe Brown © Nat Allen seppe farsi valere anche alle altissime quote. Nel maggio del 1955, con George Band, portò a termine la prima ascensione del Kangchenjunga, e l’anno successivo, con Ian McNaught-Davis, vinse la difficile Muztagh Tower in Karakorum.
Robert Gabriel sulla Torre di Valgrande © Georges LIvanos
Nel corso dell’autunno se ne sono andati altri tre alpinisti molto conosciuti. Il 4 novembre ci ha lasciato il marsigliese Robert Gabriel, 97 anni, storico compagno di George Livanos “Le Grec” e autore di scalate dolomitiche di altissimo livello (qualche settimana fa gli abbiamo dedicato un breve ricordo).
Hamis McInnes
Meno di tre settimane dopo è scomparso lo scozzese Hamish MacInnes, 90 anni, uno dei padri della scalata sul ghiaccio in piolet-traction (Mac Innes era stato l’inventore di attrezzi rivoluzionari – piccozze e martelli in metallo, tra cui il famoso Terrordactyl), nome di spicco del Soccorso alpino e alpinista di fama. Nel 1953, senza permesso, era partito con l’amico John Cunningham per tentare l’Everest in due, sperando di utilizzare il cibo avanzato dalle spedizioni del 1952 e del 1953, ma i due furono poi costretti a ripiegare sul Pumori perché, una volta giunti al campo base, non trovarono granché per sfamarsi. Da ultimo ricordiamo la morte di Doug Scott, il 7 dicembre, altra grande star dell’alpinismo d’oltre Manica. Anche a lui Lo Scarpone aveva dedicato un ricordo.
un ritratto dello scalatore