Chantal Mauduit, giovane per sempre

Alpinista pura, Chantal Mauduit ha affrontato le vette più alte senza ossigeno e in stile alpino, vivendo un'esistenza tra avventura, poesia e impegno sociale. Non amava far parlare di sè, se ne è andata nel silenzio.
Chantal Mauduit © Facebook Association Chantal Mauduit

Il 24 marzo 1964 nasce a Parigi Chantal Mauduit, una ragazza speciale, graziosa e tenace. “Mi chiamo Chantal – spiegherà anni dopo in uno dei suoi libri –, la mia passione nasce da una rima banale: Chantal e Himal, che vuol dire montagna in nepalese. Eh già, era scritto fin dalla nascita. Da quel giorno ogni oracolo avrebbe visto brillare la stella dell’avventura su di me, come un tatuaggio indelebile… Non sono mai stata attirata dalla normalità che fa rima con banalità, e così ho sempre vissuto fino in fondo”.

Chantal conosce la montagna a Chambéry, dove si trasferisce con la famiglia alla fine degli anni sessanta. Scopre l’escursionismo e lo sci. Poi l’alpinismo sulle Alpi, con salite sempre più difficili. Assaggia le grandi classiche occidentali, dalle nord delle Grandes Jorasses e del Cervino al granito del Petit Dru. Presto è attratta dalle vette più alte, come l’Urus e l’Huascarán sulle Ande. Poi la Yosemite Valley, dove la roccia è calda ma difficile. C’è anche il mare nella sua vita, con una traversata in barca a vela da Città del Capo ai ghiacci del Sud, e la scalata di un iceberg in piolet-traction. Amore, poesia e letture condiscono le avventure.

Dal 1992 decide di affrontare gli ottomila in stile alpino e senza ossigeno. Nell’estate raggiunge la cima del K2 appoggiandosi parzialmente alle altre cordate presenti sullo Sperone degli Abruzzi. Chantal non ama il clamore e candidamente precisa: “Gli alpinisti francesi non sono affatto più bravi degli altri; sanno solo far parlare molto più di sé”. Nel frattempo, in primavera, è morta sul Kangchenjunga l’himalaista più accreditata della storia: la polacca Wanda Rutkiewicz. Aggregata a una spedizione polacco-messicana, il 13 maggio ha abbandonato l’ultimo campo ed è sparita nella tempesta. Nessuno potrà mai dire se Wanda abbia raggiunto il suo settimo ottomila. Prima di partire per l’ultimo viaggio himalayano aveva confidato a Jozef Nyka: “Tutto ciò che mi mancherà dopo la morte saranno le montagne”.

Chantal forse la imita, ma è diversissima da lei. Solare, socievole ed estremamente vitale, anche se la sua esperienza alpinistica è spesso accompagnata dalla morte. Mauduit è anche una donna impegnata nel sociale e il 10 marzo 1997 scala la guglia di Notre-Dame de Paris per denunciare l’invasione del Tibet e appendere una bandiera in difesa del popolo usurpato. Nel frattempo si sobbarca ben sette tentativi di ascensione all’Everest, che sale solo nel 1995, rischiando la vita e salvandosi per un miracolo. L’esperienza non le manca, perché nell’ottobre del 1993 ha scalato lo Shisha Pangma dalla parete sud, e poi il Cho Oyu. Infine il Lhotse, il 10 maggio 1996, dove ha firmato la prima ascensione femminile. Dieci giorni dopo ha raggiunto la vetta del Manaslu.

L’anno successivo tocca al Gasherbrum II, con successo, ma l’11 maggio 1998, mentre tenta il Dhaulagiri (8167 m), Mauduit e lo sherpa Ang Tshering muoiono nella tenda del Campo 2, probabilmente uccisi da una scarica di sassi o di ghiaccio, a 6500 metri di quota, dopo un periodo di tempo orribile. Chantal se ne va nel silenzio, giovane per sempre.